Carlos “Kaiser” Henrique Raposo


Kaiser 

Carlos Henrique Raposo è riuscito a spacciarsi per due decenni per calciatore professionista, facendosi ingaggiare dai maggiori club brasiliani praticamente senza giocare mai un intero match. Privo di talento ma ampiamente dotato di sfacciataggine e scaltrezza da strada, si è reso protagonista di una delle più incredibili vicende dell’ambiente sportivo di tutti i tempi: è alla sua vita che si è ispirato Marco Patrone – scrittore e blogger culturale ideatore del sito Recensire il mondo – per il suo secondo romanzo, Kaiser (Arkadia editore).  Il suo Carlos Kaiser Henrique è un campione del così è se vi pare, del lasciar credere: nato abbastanza povero, asseconda chi lo immagina proveniente da una favela – per pigrizia mentale o facile adozione di un luogo comune – e si introduce per vie traverse -amicizie, sorrisi, scambi di favori (era così: un sorriso, tu facevi una cosa, e un altro ne faceva una per te) – nell’ambiente calcistico, dove viene ribattezzato Kaiser per una vaga somiglianza di postura con Beckenbauer. Giocare, in effetti, non sa, ma Kaiser ricorre a espedienti che lo salvano sempre: l’asso nella manica è un infortunio, un’espulsione autoprovocata, un evento possibilmente plateale che induca il medico della società o l’allenatore a metterlo in panchina per settimane o mesi. Procede così per lustri, Kaiser, di ingaggio in ingaggio, perché nessuno si pone il dubbio che dietro all’assenza dal campo di gioco ci siano incapacità e inettitudine. Nessuno dubita della bravura del giocatore che, come vuole l’adagio, ha il calcio nel sangue come tutti i brasiliani. Nel romanzo di Patrone a raccontare la sua vicenda mirabolante è un giornalista di provincia, ribattezzato (anche lui) Dosto da Dostoevskij, uno che ambiva a diventare scrittore ma a cui la vita aveva poi riservato un percorso più modesto, fatto di cronache di Giana-Pro Patria: nelle parole di Dosto, da writer a sportswriter a nothingwriter, in una parabola dell’ambizione discendente verso la sua apoptosi. L’occasione di riscatto tramite la scrittura di qualcosa di finalmente importante arriva con il caso che dovrebbe gettar luce sulla vicenda di Kaiser, appunto, riassurto agli onori delle cronache per un oscuro episodio che riporterà al centro dell’attenzione il sommo ingannatore. Ci sono tutti gli elementi del buon romanzo, in Kaiser: bene ha fatto Patrone a scegliere di tracciare una trama avvincente basata sul reale, mantenendo alto – con facilità di scrittura – l’interesse per il mistero che aleggia di capitolo in capitolo, infittendosi man mano. Traccia con maestria e cura i personaggi, Patrone, quando gli bastano un solo dettaglio e una manciata di aggettivi per rendere in toto splendori e miserie di un intero ambiente (le pagine sulla superficialità del mondo del calcio e lo squallore del suo sottobosco, in particolare, sono realmente efficaci). In questo romanzo c’è poi dell’altro: Patrone suggerisce una critica velata alla sciatteria del linguaggio, elencando appropriati esempi di un linguaggio sportivo impoverito, appiattito su formule vuote mal recitate dai giocatori che riportano ciò che ha detto il Mister senza metterci del proprio. I calciatori sono esseri completamente letterali, dal loro linguaggio ogni metafora è bandita, fa dire al suo giornalista-narratore che a ben guardare a margine della cronaca indugia spesso su riflessioni su scrittura e racconto (Una volta facevamo le cose, ora c’è bisogno di trasformarle in narrazione). A un secondo livello di lettura, Kaiser diventa metaromanzo e – pur nell’ironia che lo pervade – metafora di una società dove il gioco delle parti e delle apparenze riesce a spacciarsi per unica, irrefutabile realtà.

Anna Vallerugo



Cristiano Ronaldo, Duncan Edwards, Kaiser Raposo: campioni veri o…presunti

 Tre libri su tre campioni: l’asso arrivato in bianconero, il ragazzo del Manchester United scomparso troppo presto, il re dei bugiardi calcistici

L’ultima volta che l’autore ha incrociato Ronaldo è stata un mese fa, nello spogliatoio di Verona, subito dopo il debutto con il Chievo. Alla richiesta di Balague, di rispondere a qualche domanda, CR7 ha così reagito: «A te no». Ecco, quando si tratta di biografie, il rischio di sconfinare nell’adulazione, nell’eccesso di complimenti, è sempre dietro l’angolo. Dato il rapporto tra i due – bruscamente incattivitosi quando Balague osò riportare, nel suo libro su Messi, l’epiteto che Ronaldo negli spogliatoi del Real utilizzava quando parlava della Pulce (“motherfucker”, figlio di puttana) – capirete subito che un pericolo simile non c’è, nella riedizione (aggiornatissima, fino all’approdo a Torino) di questa potente biografia, stampata per la prima volta nel 2015 (e vinse il Cross Sports Book Award, come migliore libro di sport dell’anno). Guillem Balague, spagnolo trapiantato in Inghilterra, considerato tra i più autorevoli giornalisti sportivi, ci regala un ritratto senza sconti di Ronaldo, in tutte le sue sfaccettature: il calciatore dai numeri clamorosi, autore di prodezze che già fanno parte della storia del calcio, l’uomo esigente e narcisista, maniaco dell’allenamento e della cura del corpo, ma anche il ragazzino che è diventato fuoriclasse malgrado una infanzia molto particolare, di quarto figlio (non voluto) di una famiglia povera di Madeira, con un padre assente e alcolizzato. Lisbona, Manchester, Madrid, Torino, le tappe di un viaggio straordinario, la scalata di un giovane calciatore che volle diventare il più grande.
CR7 LA BIOGRAFIA, di Guillem Balague, Piemme Edizioni, 355 pagine, 19,50.

Per restare in tema di grandi campioni, due libri agli antipodi ma che trattano comunque di fuoriclasse, veri o presunti. Partiamo dalla bella biografia di Duncan Edwards, giovane prodotto del calcio britannico degli anni Cinquanta, che trovò la morte nella tragedia del 6 febbraio 1958, nell’incidente alla partenza dall’aeroporto di Monaco di Baviera che fece 23 vittime, tra cui 8 calciatori del Manchester United. Un anti personaggio, definiremmo ora Edwards, un fuoriclasse timido e schivo, lontanissimo dagli eccessi dei moderni divi del pallone. Uno che, proveniente dalle Midlands operaie e nere di carbone, debuttò dodicenne nella formazione Under 14 del Manchester United fino ad affacciarsi in prima squadra – e lì restare – a nemmeno 17 anni. Alto e robusto, giocava mediano (esterno sinistro di centrocampo, diremmo ora) ma se serviva era pronto anche a fare il centravanti. Ben presto divenne uno dei Busby Babes, i promettenti ragazzi del vivaio del Manchester che il tecnico Matt Busby stava valorizzando, e che stavano contribuendo a portare in alto il Manchester United. Tra i sopravvissuti all’incidente di Monaco un certo Bobby Charlton, che portò il Manchester a vincere la Coppa dei Campioni e la Nazionale a trionfare nel Mondiale del 1966. Di Duncan parlava così: «Ripenso a lui e mi chiedo perché qualcuno debba avere avuto così tanto talento. Era semplicemente il più grande di tutti.»

Un grande campione, ma della truffa, è stato anche Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser per una certa somiglianza addirittura con Franz Beckenbauer. Uno dei tanti bambini del Brasile cresciuto con il pallone tra i piedi, anche se una piccola differenza con gli altri c’era: lui, il pallone non sapeva proprio come trattarlo, era davvero scarso. Per un brasiliano, poi… Ebbene, Raposo, che ora ha 55 anni, è riuscito prima a diventare amico di calciatori importanti (Renato Portaluppi e Romario, tanto per citare due nomi) e poi a spacciarsi per calciatore professionista, e quindi a cambiare in venti e più anni di carriera una decina di squadre – dal Flamengo ai francesi dell’Ajaccio – riuscendo a non giocare praticamente mai, per non… tradirsi. Un genio della bugia, dalla vita picaresca e dagli aneddoti incredibili (quando nel Bangu dovette scendere in campo e provocò subito una rissa clamorosa con tanto di sospensione della partita; oppure quando ad Ajaccio, nel giorno della presentazione, per paura di far vedere come calciava male il pallone, cominciò a scagliarli tutti verso la tribuna dei tifosi, fino a che furono scomparsi tutti), da cui Marco Patrone ha preso spunto per un divertente romanzo, nel quale un cronista di provincia si imbatte nella figura di questo simpatico cialtrone, un libro che è anche una riflessione su una società basata sull’apparire più che sull’essere, sulle bugie più che sui fatti.

DUNCAN EDWARDS, IL PIU’ GRANDE, di James Leighton, 66THA2ND, prefazione e traduzione di Wu Ming 4, 299 pagine, 20 euro. KAISER, di Marco Patrone; Arkadia Edizioni, 140 pagine, 14 euro.

Massimo Grilli



Kaiser: il più grande truffatore nella storia del calcio

In questo limbo calcistico caldo, orfano di un mondiale appassionante anche guardato da esterni e in attesa di un campionato nazionale che prefigura grandi cose, non c’è lettura migliore da fare se non Kaiser di Marco Patrone, edito Arkadia editore.
Kaiser è Carlos Kaiser Henrique Raposo: calciatore brasiliano passato alla storia di certo non per le sue doti. Nessun mondiale vinto per Raposo; nessuna nomina da enfant prodige né gol particolarmente spettacolari a porre luce su carriere sotto tono. Raposo, detto Kaiser per la sua somiglianza fisica con Franz Beckenbauer, è passato alla storia per essere “il più grande truffatore nella storia del calcio”. Una ventina d’anni di carriera, da club in club, da una nazione all’altra senza giocare praticamente mai. Dalla sua una furbizia spudorata, finti infortuni, risse e una rete di amicizie – da giocatori a medici – pronti a partecipare a questo processo di insabbiamento.
Fate una rapida ricerca attraversi i nostri – forse abusati – mezzi di comunicazione e vedrete che è tutto vero. Strumenti di informazione la cui assenza ai tempi d’oro di Raposo si fece complice fidata delle sue menzogne. Ma da questo breve volume di Patrone non aspettatevi un’accurata biografia né un’apologia del personaggio, anzi. L’autore affonda le mani in questa simpatica storia e con ironia ci restituisce un romanzo a più voci, sull’inganno, l’ambizione e il bisogno quasi fisiologico di conquistarsi delle rivincite personali.
La voce che ci introduce nelle vicende di Kaiser è Dosto, cronista sportivo e nothingwriter – come si definisce lui stesso. A lui viene suggerita la storia di Kaiser, di nuovo in auge per un suo recente tour, e da lui parte la necessità di costruirne una grande storia, svelando anche presunti lati più oscuri della sua figura. Primo interlocutore di Dosto e seconda voce del romanzo è l’amico francesce, a sua volta giornalista, che anni addietro aveva difatti incontrato e intervistato Kaiser. Anche Kaiser stesso prende parola in questo romanzo ed è la sua testimonianza diretta che arricchisce la pluralità di questo romanzo.
Kaiser non si risparmia nel raccontarsi. Dagli appunti di François traspare un personaggio furbo, irriverente, che non cela la sua truffa al mondo del calcio né ha intenzione di farlo. Vi è una certa fierezza, nell’essersi costruito da sé, svincolandosi da una mediocrità da calciatore che non vi era proprio motivo di digerire. Stessa mediocrità da cui certa di sfuggire il nostro Dosto che vede nella storia di Kaiser la possibilità di svelare uno scandalo capace di dargli una fama anelata e mai raggiunta.
Il romanzo di Patrone non è quindi solo un romanzo sul calcio, ma anche un testo sull’ambizione, sulla manipolazione della storia e quindi le possibili narrazioni della stessaUna volta facevamo le cose, ora c’è il bisogno di trasformarle in narrazione. Un bisogno apparente, dare loro un altro nome, per essere rassicurati di costruire qualcosa d’importante.Lo stile è ironico, svelto, semplice senza mai essere banale. Quella che ne viene fuori è una riflessione importante sulla costruzione delle notizie, in tempi in cui era difficile trovare delle fonti, ma anche adesso in cui è difficile trovarne di credibili e districarsi nel nebbioso confine tra verità e falsità. E nonostante il libro sembri prendere una direzione parallela a quella strettamente legata al pallone, il calcio resta comunque uno dei protagonisti: raccontato più come fenomeno antropologico che sportivo, in cui è impossibile non riconoscersi per gli appassionati e capace di incuriosire anche quelli che hanno ancora difficoltà a comprendere il fuorigioco.

In definitiva, Kaiser è un romanzo breve, leggero senza mai risultare sciocco. Con la sua punta di carisma che ti fa proprio andare avanti con scioltezza di capitolo in capitolo e lo rende perfetto per questa stagione.

Martina Neglia



Il campo di carta

Marco Patrone, Kaiser

Che truffatore! Si tratta di Carlos Henrique Raposo il più formidabile Cagliostro che la storia del calcio ricordi. Calciatore brasiliano, l’unico attaccante, senza talento, che è riuscito a mettere nel sacco club, a firmare contratti per giocare senza mai giocare. Bugiardo, impostore. Patrone ne ha composto un romanzo. Un gioco di specchi che sarebbe piaciuto al Nobel argentino Jorge Luís Borges

Mauro Querci



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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