Berlino


Il libro Stefano Zangrando nel nuovo romanzo analizza scenari passati e contemporanei

L’Europa dopo il Muro

Lo scrittore: «Il confronto con altri mondi arricchisce»

È tra i quattro finalisti italiani del concorso European Union Prize for Literature 2019, (la proclamazione del vincitore mercoledì 22 maggio), ed è anche candidato al Premio Comisso. Stefano Zangrando, scrittore dell’Alto Adige, con il nuovo libro Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. (Arkadia Editore) sarà a Rovereto il 30 maggio, in un reading musicale di Marco Buzzoni alla biblioteca dell’Istituto Don Milani (ore 15), modera Laura Modena.

Il romanzo, intrecciando biografia, finzioni, documenti e traduzione, racconta dello scrittore Peter Brasch (Cottbus, 1955 – Berlion, 2001), che in Ddr visse il crollo del Muro di Berlino e il cambiamento che ne seguì. Zangrando, nato a Bolzano, è autore, traduttore e docente. Nel 2008 ha ottenuto una borsa di scrittura dell’Accademia delle Arti di Berlino, nel 2009 il riconoscimento Nuove leve del Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria. Tra le sue opere Quando si vive (Keller, 2009) e Amateurs (Alpha Beta, 2016). Vive e lavora fra il Trentino-Alto Adige e Berlino.

Zangrando, chi è Peter B. e in che senso è un «fratello minore»?

«Peter B. è la trasfigurazione romanzesca di uno scrittore di Berlino Est realmente esistito, figlio di ebrei tedeschi fuggiti dal nazismo e poi rientrati nelle Germania socialista. Amico stretto della mia pensionante berlinese, Peter era il fratello minore di uno degli autori più dotati della Germania Est, fuggito ad Ovest nel 1976, mentre lui rimase dall’altra parte del Muro. Ma è un “minore” anche nel senso che la sua carriera non è mai decollata e la sua opera è rimasta poco nota anche in Germania. Il libro vuole recuperarne la memoria, il valore umano e artistico, e in un certo senso riportarlo in vita».

Insieme agli altri artisti citati nel libro, Peter B. come ha vissuto il ruolo di intellettuale prima e dopo la caduta del Muro di Berlino?

«Peter B. scrive che dopo l’89 si passa da una “dittatria” a una “democratura”. Buona parte della popolazione nei regimi realsocialisti sperava che la cosidetta svolta avrebbe portato a una riforma del sistema, più libertà e democrazia; non si aspettava invece quella che agli occhi di molti non fu una riunificazione, ma un’annessione dell’Est da parte dell’Ovest. I frutti più estremi della disillusione che ha fatto seguito a questo processo sono gli odierni rigurgiti neonazisti».

Secondo Peter B. la StaSi sapeva che il paese era alla frutta e ne ha accompagnato il crollo. Emerge questo dallo studio delle sue opere?

«Non proprio. L’opera letteraria di Peter è ricca di immaginazione, spesso fiabesca, a volte onirica. Tutto ciò che in questi testi  si può cogliere della realtà è filtrato dalla fantasia, dissimulato, anche il senso di immobilità storica che si scontava Ddr. Intorno all’89 Peter lavorava per il teatro e da un suo dramma di quegli anni, emerge più che altro lo scetticismo nei confronti di ogni rivoluzione non accompagnata da un vero istinto ribelle, in grado di riflettere a fondo su come il singolo e la società possano migliorarsi».

Che idea di Europa è messa in luce dal suo romanzo «Fratello minore»?

«Il libro è senz’altro animato da una certa nostalgia europeista, e un recensore ci ha visto una parabola della perdita della funzione dell’intellettuale dopo l’89. Di certo è anche un confronto fra diversi momenti della storia europea: quello di un regime illiberale, in cui la critica poteva solo nascondersi tra le righe di un dramma, e quello di una libertà insidiosa, perché offerta in cambio delle trasformazioni di ognuno, nel modo più pervasivo possibile, in consumatore. Nel libro tuttavia queste due epoche sono confrontate con l’oggi, dal quale forse è possibile rileggere quella duplice storia traendone nuovi spunti».

Lei cita anche due poeti sudtirolesi, Kaser e Pichler. C’è qualche tratto che li accomuna a Peter B.?

«Norbert Kaser e Anita Pichler sono citati non solo virtù di certe affinità o coincidenze, ma anche dell’incontro tra un autore di frontiera e il suo soggetto tedesco. Il libro è tutto costruito nel confronto con l’altro, così come lo è la storia soprattutto novecentesca e contemporanea dell’Alto Adige. Crescere fra due mondi in senso geografico, com’è successo a me, o in senso storico, come Peter B., insegna a guardare le cose da prospettive diverse, e l’Europa è una continua variazione prospettica. Spostare lo sguardo, sconfinare, uscire da sé per arricchirsi e maturare: Fratello minore parla anche di questo, e ogni riferimento all’Alto Adige o all’Europa non è casuale».

Gabriella Brugnara



Note di lettura: “Fratello minore : sorte, amori e pagine di Peter B.” di Stefano Zangrando.

Di quali intrecci di emozioni, nonostante l’approccio razionale che si raccomanda nell’avvicinare l’opera di un autore, di quali aspirazioni identitarie, anche inconsce, e anche di quali aspirazioni ad evidenziare distanze per mantenere un atteggiamento critico si colora, soprattutto se sostenuto da una intensa frequentazione, il rapporto tra uno scrittore ed uno suo studioso? Quali implicazioni possono implicitamente arricchire chi studia rispetto all’esempio che riceve? Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. di Stefano Zangrando (Arkadia editore) è la trascrizione di questo genere di avventura interiore, resa ancora più intensa dal fatto che lo studioso è anche autore in proprio, disponibile quindi alla decifrazione degli aspetti più nascosti della relazione vita – composizione letteraria. Zangrando infatti è studioso di narrativa in lingua tedesca, nonché autore di opere di narrativa, come Quando si vive (Keller, 2009) e Amateurs (alpha beta, 2016). L’autore oggetto dell’indagine è Peter Brasch (1955 – 2001), scrittore tedesco poco noto in Italia, ed un po’ dimenticato anche nel suo paese. Zangrando azzarda con successo la coniugazione della simpatia umana per il personaggio – autore (“si scrive soprattutto per chi si ama, vivo o morto che sia”) e la consonanza critica con le sue opere. E’ la tentazione costante che, quando anche negata, alberga frequentemente negli studi critici, qui sottoposta a parziale sedazione dalle suggestioni indotte dall’andamento narrativo del testo. Zangrando prova a raccorciare al minimo possibile lo scarto tra vita ed opera, attraversando la vita del suo autore come se fosse un’opera letteraria, o meglio, rinunciando con scelta felice a tracciare una linea netta di demarcazione tra esperienza assistenziale e tensione artistica. (posto che una tale rigida distinzione possa in ogni caso plausibilmente proporsi). Durante i suoi soggiorni berlinesi, Zangrando inizia a seguire le tracce del suo autore, frequentando i quartieri in cui aveva vissuto, incontrandone amici e compagne, leggendone gli scritti. Più si addentra nella ricerca, più sente crescere affinità e vicinanze, avverte con consapevolezza via via crescente un senso di confidenza con il suo autore, scandaglia qualche elemento di identificazione :”c’era qualcosa, in quel giovane uomo tormentato, che toccava una mia corda nascosta. Perché lo sentivo così vicino, così familiare?”. Peter Brasch è figlio di un ebreo in fuga dal nazismo che, appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale, rientra a Berlino. Qui si converte al comunismo, e si costruisce una carriera da burocrate di partito nella Germania di Pankow. Questi trascorsi possono bastare a spiegare una certa rigidità nei suoi rapporti con i figli, che a sua volta contribuisce a motivare alcuni tratti del carattere del Brasch adulto. Come il fratello Thomas, poeta e regista, fin dall’università (da cui verrà espulso per aver espresso solidarietà al poeta dissidente Wolf Biermann) matura una profonda insofferenza verso il regime che opprime la Germania Est, e conculca le aspirazioni alla libertà di espressione della cerchia di letterati ed artisti di cui fa parte. Mentre il fratello riparerà all’Ovest, Peter resterà nella DDR, sperando dapprima nello sviluppo di qualche riforma di regime, ma via via perdendo fiducia in soluzioni interne al sistema comunista. La sua posizione di dissidenza appartata si prolungherà anche nel periodo successivo alla caduta del muro, relegandolo al ruolo di giovane (muore a 56 anni) sopravvissuto sia al regime comunista sia alla sua antitesi, quel capitalismo presto galoppante che pervade la Berlino appena riunificata. Zangrando compie una sorta di itinerario interiore, alla ricerca dell’altro, di quel Peter che è indubitabilmente altro da lui, ma che a mano a mano che ne esplora ogni possibile espressione della personalità gli si manifesta in una singolare contiguità. Scava nel suo personaggio fino ad essere pervaso del suo modo di vedere il mondo, e lo rivela quel tu con cui nella prima parte si rivolge a Peter e che poi si trasforma nel tu con cui colloquia con se stesso nella terza. La conoscenza del carattere dell’uomo si ricava dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, gli amici, anzitutto, con cui ha condiviso idee e visioni del mondo: sono anni in cui, anche al di là del muro, certe affinità ideologiche cementano anche i rapporti amicali, ne costituiscono anzi a volte il necessario presupposto. Il ritratto si completa con i ricordi delle donne che lo hanno amato, spesso con grande dispendio di confusa generosità, ma certo senza riuscire a lenirne l’inquietudine esistenziale che lo ha accompagnato dai tempi dell’università, e che la grande quantità di alcool consumato non è riuscita a guarire. Ma il ritratto si completa, agli occhi di uno scrittore, anche con la lettura appassionata e felicemente priva di acribia critica (è l’uomo, nella sua integralità che qui si ricerca) delle opere di Brasch, che, ben oltre il valore letterario (che peraltro il libro proclama, invitando alla riscoperta di testi quasi dimenticati) ne denunciano le incertezze, e ne rivelano attese e delusioni. E Peter scrive per il teatro, lavora, sempre in via precaria, per la radio, scrive poesie (a volte fin troppo influenzato dalle opere del fratello, dirà una sua amica), scrive per i bambini, verso i quali dimostra una straordinaria capacità di ascolto e di parola, fino all’ultimo sfortunato tentativo narrativo. Ne deriva un profilo straordinariamente dettagliato: un artista maledetto nient’affatto compiaciuto del suo stato. Un’esistenza costantemente “contro” logora più o meno fatalmente i rapporti con se stesso, perché corrode l’opinione di se e del proprio agire (con conseguenze tanto più esiziali per un artista, che nella sua opera riversa le proprie attese più urgenti), compromette relazioni e ed amori. Brasch è figlio del suo tempo e del suo mondo, in modo del tutto particolare, ponendosi sistematicamente in posizione antagonistica verso le idee dominanti; da ciò la sua condanna ad una marginalità che si direbbe al tempo stesso subita e goduta, visto che gli consente autonomia assoluta di giudizio. Soffre però molto del cupo conformismo imposto dal comunismo, ne patisce l’angustia di orizzonti che il regime impone per perpetuarsi, una religione senza dei, che nella Germania est almeno dagli anni Settanta del Novecento tende a degradare la lotta di classe in ossessione del controllo. Ma la caduta del muro non lo coinvolge granché: non riesce a trovare sintonia (o non vuole) con il capitalismo aggressivo che subito comincia a manifestarsi. Come dirà la sorella Marion, in una testimonianza – rappresentazione teatrale che Zangrando inscena nella seconda delle tre parti del libro: “(Peter) non stava da nessuna parte, non con il sistema, non con l’annessione da parte dell’occidente. Non eravamo neanche nei movimenti per i idirtti civili, non eravamo i dissidenti sotto i riflettori dell’ovest: Eravamo un’opposizione interna, diffusa, che puntava a liberarsi del vecchiume senza gettarsi nelle braccia del mercato.” Tutto ciò, avendo a che fare con la Germania, riguarda tutti noi europei, e contribuisce, lo si voglia o no, alla comprensione del nostro presente a volte così avaro di punti di riferimento. Ma quanto tempo è passato, da quando questi temi erano centrali per la nostra cultura? Zangrando ci fa riflettere sulla precarietà del concetto di contemporaneità, che pare divorato dall’urgere sempre più rapido degli anni. E allora, Peter, per molti di noi più o meno un coetaneo, è un nostro contemporaneo? Molti di noi hanno assistito, sia pure molto da lontano, agli avvenimenti che hanno contribuito a formare l’universo culturale di Brasch, eppure oggi il suo quotidiano ci pare già consegnato alla storia, non ci riguarda se non per stimolare un confronto tra il suo modo di interpretare il mondo (come ci perviene dai suoi scritti), e il nostro essere nel mondo di allora. Ed ecco quindi che la commemorazione di Brasch, nel giorno in cui avrebbe compiuto sessant’anni, a cui partecipa Zangrando con altri amici e conoscenti dell’autore, presso la birreria gestita dal poeta Bert Papenfuß, (che avrebbe chiuso il giorno dopo), assume una funzione di rito catartico. Consacra un distacco, e finisce per sancire una distanza (anche se non voluta) non tanto cronologica quanto culturale, tra Brasch e Zangrando, e di riflesso tutti noi, che, grazie alle suggestioni che questo libro esprime, del mondo interiore dello scrittore tedesco abbiamo conosciuto rabbie, ideali, disamori ed utopie.

Luigi Preziosi



«Critica e rispecchiamento» Zangrando racconta Peter B.…in seconda persona

Studi psicologici statunitensi (ce ne sono sempre di nuovi, all’ultimo grido) sostengono che l’uso della seconda persona (alternativo a quello della prima o della terza) rende più sicuri, e più spigliati e incisivi. Usare il “tu” invece dell’“io” creerebbe una salutare distanza da se stessi, come a chi accada di guardarsi nello specchio per rivolgersi rimproveri o invece lodi, o sul proprio taccuino personale di annotare stati d’animo e pensieri attribuendoli a un “tu” immaginario, ma in realtà l’amico più intimo, perché di altri non si tratta che di noi stessi. Là dove la seconda persona è invece sostituita dalla terza, il viraggio di punto di vista ottiene l’effetto contrario: avvicina. L’altro al quale ci si rivolge frontalmente, quel “lui” o “lei” che diviene all’improvviso semplicemente “tu”, perde di fredda oggettività e guadagna in termini di prossemica, divenendo oggetto di un’assonanza che se portata all’estremo si fa persino fusione, simbiosi. In versione narrativa, i risultati sono pressappoco gli stessi. Una biografia, e biografia romanzata peraltro, definisce attraverso l’uso del “tu” una posizione dello scrittore-narratore molto peculiare. Quest’ultimo stabilisce di osservare lo scorrere del tempo di un altro, del personaggio del quale racconta la vita, ma è giocoforza che via via alla temporalità di quell’altro mescoli la sua propria; giocoforza che il protagonista della biografia divenga una sorta di alter-ego del biografo, e che le due vite amalgamandosi diano luogo a un ibrido nuovo, capace di modificare le esistenze di narrato e di narratore, di biografo e di “biografato”. Stefano Zangrando, autore trentino ma berlinese di adozione, dedica un romanzo “saggistico” alla vita di un autore ebreo tedesco: Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B.. Lo fa sin dalle prime pagine dichiarando come la sua ricognizione biografica disegni anche un proprio personale percorso. Sebbene «sottomessa alla metamorfosi», la Berlino lungo le cui grandi arterie Zangrando muove i suoi passi, le case, i teatri, gli altri luoghi sui quali punta il suo sguardo accurato, rapito ma esatto, è la stessa città dove il protagonista, Peter Brasch (poeta, drammaturgo, scrittore) ha consumato la parte più prolifica della sua breve vita (muore quarantenne). Dove si è dissipato, si è dato all’alcol, dove con ambivalente partecipazione ha seguito successi e destini diversi dai fratelli: Klaus, Marion, Thomas, tutti come lui letterati. E là dove ancora ha avuto amori, troppi amori, sino all’incontro con una vera compagna la cui presenza comunque non arresta l’inquietudine profonda che anima Peter B.. Prima c’è stato il ritorno dei genitori in Germania, una volta finita la guerra e di poco attutite le peggiori minacce antisemite (un senso di straniamento profondo continua a serpeggiare in famiglia). Poi, per il giovane Peter, l’università, abbandonata dopo accuse di sobillazione politica (siamo negli anni settanta). La fuga dalla Germania es. La definitiva scelta di dedicarsi alla letteratura, «in mancanze di vie di fuga». E una poliedricità di scrittura che lo insegue, è spinta creativa che lo tiene in vita tanto quanto affatica i suoi fragili nervi. Tormenti del protagonista che trascolorano nei rovelli del biografo (per il quale «critica e rispecchiamento» sono speculari all’interrelazione tra verità e finzione). In molti raccontano Peter B.. E di questa ricostruzione polifonica di un artista e del suo mondo, il punto più debole è paradossalmente la soluzione stilistica scelta come la più connotante: l’uso della seconda persona. Il “tu” pronunciato per buona parte del libro, se trasmette tutta la potenza del “corpo a corpo” tra lo scrittore e il suo materiale, e tra Peter B realmente esistito e quello re-immaginato dall’autore, però crea uno iato, uno spazio vuoto e smaterializzante, che non sempre è facile riempire.

Lisa Ginzburg



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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