Scrivevo nel 2017 sul blog di Gianluigi Bodi “Leggere sempre. L’ossessione della lettura. Leggere: Un testo da studiare, un bugiardino dei medicinali, una composizione della marmellata, un’opera teatrale. Leggere un gesto, un fatto, un non fatto, un commento, un post. Stiamo qui a leggere sempre. Oziosi e curiosi. Vivi e decisi a far vivere, far provare anche a chi non legge il piacere della lettura.”
Nel 2017 ha dato vita a “Senzaudio Servizi Editoriali” un’associazione che si occupa della valutazione dei manoscritti. Gianluigi Bodi è il creatore del sito “Senzaudio.it” che si occupa di case editrici indipendenti. Già nel 2015 ha vinto il concorso letterario indetto dal CartaCarbone Festival di Treviso con il racconto “Perché piango di notte”. Nel 2016 ha curato la raccolta di racconti “Teorie e tecniche di Indipendenza” (Verbavolant) e nel 2021 ha curato “Hotel Lagoverde” per Liberaria Editrice.
Esce questo anno la sua raccolta di racconti pubblicata da Arkadia dal titolo “Un posto difficile da raggiungere”.
Dei racconti di Gianluigi Bodi voglio parlarvi de “Il rito”, un racconto sui rapporti fra padre e figlio. Chi racconta è un figlio giovane alle prese con un padre che una sera ha un infarto davanti a lui. Il figlio non ha nessuna reazione, sarà la madre a chiamare il 118 e salvare il marito. Dopo questo episodio il figlio dovrà seguire una psicologa che gli consiglia di andare a vivere per proprio conto. Il padre personalità debordante concede al figlio un appartamento in periferia. Perché ve lo racconto? Per la crudeltà insita in rapporti che hanno una ritualità familiare, nel caso di questo racconto sarà il compleanno del padre. Un compleanno orribile vedrete. Per respirare un po’ vi consiglio il romantico racconto “Il vecchio in bicicletta” e vi rappacificherete con i sentimenti e con i sogni. Veramente un posto difficile da raggiungere: “persone che cercano un proprio posto nel mondo senza comprendere fino in fondo quale sia la strada da percorrere.”
L’intervista
[Ippolita Luzzo]: Noi ci siamo conosciuti proprio all’indomani della nascita del tuo blog, da allora tu hai continuato a scrivere e i tuoi racconti sono apparsi su “Il primo amore”, “Pastrengo”, “Altri Animali”, “Narrandom”, “Malgrado le Mosche”, “Rivista Blam!”, “Spaghetti Writers”, “Ammatula”, “Spazinclusi”, “Crack” e su altre riviste letterarie sia digitali sia cartacee. Nel 2020 un tuo racconto breve è stato incluso nella raccolta I giorni alla finestra (Il Saggiatore). Hai curato le antologie Teorie e tecniche di indipendenza (VerbaVolant, 2016) e Hotel Lagoverde (LiberAria, 2021). Un tuo scritto è stato inserito in Ti racconto una canzone (Arcana, 2022). Hai vinto il premio #Comisso15righe per le recensioni sui libri in concorso e collabori con il sito web del Premio Comisso sul quale tieni la rubrica “Venetarium”. Siamo quindi a casa tua, tu vivi a Mogliano Veneto. Forse ho scordato tanto altro da scrivere ma tu ora integrerai quello che io ho dimenticato. Che esigenza hai sentito nel creare un sito che si occupasse proprio di editoria indipendente?
Gianluigi Bodi
[Gianluigi Bodi]: La cosa si è sviluppata un po’ per gradi. Nel 2013 ho aperto Senzaudio perché avevo l’esigenza di raccontare. Non solo libri, ma anche esperienze personali, scelte musicali, momenti importanti. Venivo da un lungo periodo in cui mi sembrava di essermi tenuto tutto dentro. Senzaudio all’epoca era un blog multi autore e quindi c’era una certa pluralità di stili e voci, ma a un certo punto ho capito che volevo qualcosa di diverso e che in realtà mi interessava parlare solo di libri. A quel punto ho iniziato a frequentare la Libreria Marcopolo a Venezia che, all’epoca, era ancora situata nella piccola sede vicino al Teatro Malibran. Lì ho fatto la conoscenza, grazie al titolare Claudio, di un mondo editoriale che fino a quel punto avevo conosciuto solo marginalmente. Ho incontrato case editrici di cui non conoscevo l’esistenza e ho scoperto che c’era un enorme fermento dietro ai soliti quattro o cinque marchi editoriali ben noti. Da questa scoperta è nata la versione attuale di Senzaudio che ha ormai compiuto dieci anni di vita. Alla base di tutto c’è l’idea di far conoscere libri, autori, editori che magari hanno più difficoltà a raggiungere le case dei lettori perché la loro presenza nelle librerie non è sempre garantita.
Mi era sembrato che ci fosse, una decina di anni fa, l’idea che pubblicare per una casa editrice indipendente significasse pubblicare per un editore di serie B, un editore che non avendo la disponibilità economica dei grandi marchi era costretto a pubblicare autori poco sconosciuti dalle dubbie qualità. Invece, leggendo le proposte editoriali di questi editori mi sono accorto della grandissima qualità delle loro proposte e a poco a poco è cambiato anche il mio rapporto con la grande editoria. Ora, se voglio comprarmi un libro di un autore o un’autrice che non conosco mi indirizzo di preferenza verso le case editrici indipendenti perché negli anni si è sviluppato un rapporto di fiducia.
Come nascono i tuoi racconti e come hai incontrato la casa editrice Arkadia che sicuramente ha trovato un suo spazio nel pubblicare nuovi autori che nascono dal mondo social, dai blog ma anche da altre realtà e sono agganciati però alle realtà del territorio?
I miei racconti nascono in modo diverso, il processo di creazione non è sempre lo stesso. A volte mi capita di partire da un’immagine, qualcosa che all’improvviso mi si crea nella mente e che non mi abbandona. Da lì mi trovo a rimuginare su cosa rappresenti quella singola immagine e poi, quando è il momento giusto mi metto alla tastiera e inizio a scrivere.
Altre volte vengo colpito da una domanda: cosa succederebbe a una coppia che non sa nemmeno di essere in crisi se avesse la possibilità di isolarsi in uno spazio sicuro? Cosa accadrebbe a Venezia se all’improvviso dei mostri carnivori uscissero dai tombini della città?
Queste domande mi costringono a trovare una risposta, una risposta che sia solo mia.
Altre volte ancora parto da un personaggio, non è necessario che sia di pura finzione, può essere anche qualcuno che ho visto in treno. Se quel personaggio mi interessa decido di raccontare la sua storia, me la invento.
Perché, in fin dei conti, ciò che mi piace fare è raccontare storie.
L’incontro con Arkadia è avvenuto grazie al blog Senzaudio. Nella continua ricerca di nuove case editrici indipendenti da studiare mi sono imbattuto in questa casa editrice sarda. Negli anni, con alcune delle persone che animano questa casa editrice è nato un rapporto di stima e di amicizia. Ho seguito da vicino la nascita della collana SideKar, che è poi la stessa che ospita il mio libro, e ho conosciuto autori davvero meritevoli. Non vorrei fare un elenco perché so che poi mi dimenticherei qualche nome, ma “Stato di famiglia” di Alessandro Zannoni è ancora adesso uno dei libri che mi ha scosso più nel profondo. Quando ho dovuto scegliere a chi mandare i miei racconti, Arkadia mi è sembrata una scelta naturale. Sapevo che a loro il genere breve interessava, cosa purtroppo non scontata, e quindi ho inviato il manoscritto e dopo qualche mese mi hanno avvisato che gli era piaciuto quello che avevano letto e che volevano pubblicare la raccolta.
Come vedi tu ora da lettore e da autore il fluire dell’offerta editoriale e la così variegata offerta di lettura di questi tempi? Non ci sentiamo un po’ tutti come l’asino di Buridano di fronte ad offerte eccessive?
Devo dire la verità, a volte, quando entro in una libreria di catena, mi sento sopraffatto dall’enorme quantità di libri sugli scaffali. Non è un’oppressione legata alla tipica affermazione che sento spesso: così tanti libri e così poco tempo per leggerli.
In realtà ciò che mi fa pensare è un altro aspetto: ma questi libri avranno almeno un lettore?
Si dice spesso che in Italia si pubblicano troppi libri e questa è una polemica che si ripropone ciclicamente. Io non so se questa affermazione sia vera, credo però che in effetti ci siano pochi lettori per i libri che si pubblicano e forse, più che incidere sulla diminuzione di titoli pubblicati proverei a capire come fare a incidere sull’aumento dei lettori.
Non ho ricette e non mi piacciono nemmeno quegli atteggiamenti che tendono a sottolineare il fatto che chi legge sia migliore di chi non legge perché mi sembra una cosa assurda da pensare. Mi piacerebbe che venissero attuate delle politiche atte alla promozione della lettura fin dalla tenera età, fin dalla scuola materna. Mi piacerebbe che venisse trasmesso il piacere della lettura, il piacere di assaporare le storie che ti portano lontano. Credo che poi, di conseguenza, anche il lato istruttivo del leggere e dell’accrescimento culturale troverebbe un proprio spazio.
Mi pare che ancora per molti il libro non sia un oggetto familiare, sia qualcosa di respingente e “pesante”. Forse lavorerei in questo senso, lavorerei sul riconoscere il libro come alleato e non più come nemico e a quel punto i tanti libri stampati durante l’anno avrebbero più lettori ad accoglierli.
Ippolita Luzzo
Il link all’intervista su Premio Letterario Giovanni Comisso: https://bitly.ws/TXHM
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Piuma. Per me la poesia è qualcosa di lieve, anche quando ha dentro la disperazione. Un libro sottile, la pagina più vuota che piena, le parole come disegni. La trama, i personaggi, se pure ci sono, si realizzano in uno svolazzo, in un ribaltamento, in una giravolta, liberi dalla costruzione e dall’abbondanza della prosa
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Da bambina con le filastrocche di Rodari, poi a scuola Leopardi, Montale e i crepuscolari. Finita la scuola ho abbandonato la poesia per qualche anno, poi un libro di Francesca Genti incontrato per caso, “Poesie d’amore per ragazze kamikaze”, mi ha fatto capire che con la poesia si poteva parlare di qualunque cosa in qualunque modo e da lì ho letto tutto il resto
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Innanzitutto perché se scrivi poesie e dici che vuoi vendere te ne fanno vergognare, c’è molto snobismo in questo senso. Non vorrai mica promuoverti! Il poeta deve scrivere nel segreto di una grotta, misconosciuto al mondo: solo così è puro.
Poi perché per un insieme di ragioni la poesia risulta poco appetibile ai lettori, forse perché a scuola non sempre viene insegnata nel modo giusto e lascia un senso di rigetto, forse perché quella contemporanea, almeno in Italia, oscilla tra incomprensibilità e banalità, con poche eccezioni difficili da scoprire.
In più un libro di poesie di solito costa troppo rispetto al numero di pagine, e anche se non siamo in salumeria la gente quando compra guarda pure a questo.
Temo quindi ci si debba rassegnare al fatto che la poesia sia poco venduta e che nessuno ci si potrà mai guadagnare da vivere. Non rassegniamoci però anche al fatto che sia poco letta: oggi può esserlo molto, grazie al web e ai social. I poeti avranno pochi soldi in tasca, ma la poesia non morirà. Sarà free, open source, insomma gratis, come la luce del sole, e va bene così se l’alternativa è che la poesia smetta di esistere
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Tante di Francesca Genti, Vivian Lamarque, Wislawa Szymborska, ma scelgo questa
MILANO DI NOTTE di Francesca Genti
vorrei essere la slava del metrò
che combatte gli albanesi attaccabrighe.
la ragazza kamikaze poesia
che ti uccide e si sfracella in quattro righe.
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Vorrei proporne una che non è tra quelle che mi vengono segnalate di solito tra le mie più belle, anzi è spesso criticata e fraintesa.
Credo dipenda dal fatto che oggi si tende a raccontare in poesia i sentimenti positivi più di quelli negativi, come se chi scrive dovesse dimostrare ai lettori di essere “una bella persona”. Infatti spesso leggo sulle pagine di poeti noti commenti del tipo “si capisce da questa poesia che sei una bella persona”.
In questa poesia invece ad esempio non c’è una bella persona, c’è tutto il peggio della maternità. Io non scrivo per essere una bella persona. Se qualcuno dopo aver letto il mio libro ne concludesse che sono una stronza, mi starebbe benissimo
VORREI UNA FIGLIA
Vorrei una figlia e dirle
se non fosse per te
sarei Étoile al Bolshoi
se non fosse per te
capitana d’industria
se non fosse per te
le sfilate a Parigi
se non fosse per te
sarei moglie di un re
vorrei una figlia uguale a me
e dirle figlia ingrata
farei sì grandi cose
se tu non fossi nata
da “La bambina impazzita”
Mattia Cattaneo
Il link all’intervista su Circolare Poesia: https://bitly.ws/U5kJ
BLOG La speranza si afferma nei libri copertina con la Romania post-Ceaușescu nel romanzo di Vincenzo Fiore e la disamina sui nuovi manicomi di Barbara Giangranvè. Curiosità per le nuove prove della messinese Nadia Terranova, della palermitana Rosalia Messina e dell’ex Premio Strega Emanuele Trevi. A metà mese torna il “Termini Book Festival”, IV edizione del festival ideato e diretto dallo scrittore termitano Giorgio Lupo
Dopo il caldo devastante che ha messo a rischio la comunicazione della nostra Sicilia col resto del mondo… (ma questa è un’altra storia, o forse no?), rieccoci con “Massimo Volume”, il blog di consigli per la lettura. Una cosa è certa, se il caos aeroporti fosse andato ancora avanti, le difficoltà per far giungere i libri in tempi puntuali sarebbe stata notevole. Ma bando alle notizie sempre più dolorose, ristoriamoci con le nostre segnalazioni letterarie da martedì 5 a lunedì 18 settembre e annunciamo, dal 15 al 17 settembre, la IV edizione del Termini Book Festival: Giorgio Lupo e Fabrizio Melfa ripropongono la bellezza di un festival tra i migliori della Sicilia con ospiti eccellenti e grandi sorprese: imperdibile!
Buona scelta e buone letture, ci rivediamo il 19 settembre!
Le uscite di martedì 5 settembre
Sualzo, Dove c’è più luce, Tunuè
Il signor Voynich è un apprezzato libraio antiquario, la cui vita è stata sconvolta dall’abbandono della moglie che, dopo un’amnesia, lo ha dimenticato. Il signor Voynich trascorre perciò le sue giornate spiando la moglie e cercando di farle tornare la memoria. Reso cinico da ciò che gli è successo durante la vita, l’uomo è scortese con tutti, salvo con suo nipote Carlo e con Anna, l’anziana assistente della sua libreria. Un giorno, però, entra in negozio una ragazza che vorrebbe stimare un libro, e il signor Voynich, per quanto cerchi di mascherarlo, resta colpito da lei.
Silvia Di Natale, Una donna nell’ombra. Le memorie di Gina Lombroso, Clichy
Essere la figlia di Cesare Lombroso, l’antropologo, psichiatra e criminologo di fama mondiale: questo è Gina. Lei cresce a Torino, nell’ambiente anticonformista della colta famiglia ebrea, e a dodici anni inizia ad aiutare il padre nel suo lavoro di studioso e divulgatore. Gina ha capacità intellettuali non comuni, eppure i genitori tardano a riconoscerle, tanto sono abituati a ritenerla soltanto una bambina buona che si prende cura degli altri. Gina vorrebbe studiare Medicina, ma finisce per iscriversi a Lettere, perché lo studio della Medicina è considerato disdicevole per una ragazza come lei. In questa scelta risiede tutto il suo dramma: abituata com’è a subordinare le proprie esigenze a quelle degli altri, pur di non dispiacere nessuno. Una condizione che si porterà dietro tutta la vita, anche con il marito Guglielmo Ferrero. Con questo libro, Silvia Di Natale inventa un nuovo modello di romanzo storico e ci restituisce le vicende personali di un’intellettuale eccezionale eppure così tanto vicina a noi.
Claire Kohda, Cronache della mia fame, HarperCollins
Lydia ha fame, ha ventitré anni da molto tempo e ha sempre voluto provare sashimi, ramen, onigiri con umebosh… tutto quello che suo padre amava mangiare. E poi ancora gelati, torte e gli ortaggi coltivati dagli altri artisti come lei, nel complesso di loft in cui dovrebbe solo lavorare, ma in cui segretamente vive. Eppure, Lydia non può mangiare nessuna di queste cose. Il suo corpo non funziona come quello degli altri. L’unica cosa che riesce a digerire è il sangue, ma procacciarsi sangue fresco di maiale a Londra – dove si è trasferita da quando si è separata dalla madre, vampira pure lei – sembra oltremodo complicato. Per non parlare di tutti gli umani che conosce e che sarebbero le sue prede naturali. Ma Lydia non se la sente di nutrirsi di loro e finisce per passare le notti a fare binge watching di Buffy The Vampire Slayer e video di ragazze che mangiano su YouTube, e a riflettere sul suo vero posto nel mondo.
Andrea Levi, Genetica dei ricordi. Come la vita diventa memoria, Il Saggiatore
Sappiamo che nel DNA sono conservate e tramandate informazioni importantissime riguardanti il nostro aspetto fisico e le nostre funzioni strutturali, ma c’è di più. Andrea Levi, neurobiologo, ha indagato i processi per cui anche la memoria è strettamente legata al DNA. Noi siamo i nostri ricordi e i ricordi di chi ci ha preceduto: ciò che ricordiamo è connesso agli avvenimenti vissuti in prima persona ma anche alle vicende che hanno interessato i nostri antenati. Un viaggio affascinante alla scoperta di quanta parte della nostra memoria ha componenti genetiche.
Claude Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore
Il cibo, il fumo. La sensualità, la spiritualità. La natura, la cultura. Con Dal miele alle ceneri Claude Lévi-Strauss continua la sua analisi delle opposizioni simboliche dell’umano attraverso lo studio di miti e leggende degli indios sudamericani. Una prosa poetica, ricca e varia, che va oltre la sfera della sensibilità – crudo e cotto, fresco e putrido, secco e umido – per approdare a un momento fondamentale della storia occidentale: quello in cui il pensiero mitico, raggiungendo la sua espressione più alta, è sul punto di risolversi nella riflessione filosofica e scientifica.
Silvia Calderoni, Denti di latte, Fandango
Denti di latte, romanzo d’esordio di Silvia Calderoni, racconta il tempo dell’infanzia, quello dei denti di latte e dello stupore, un tempo che non passa, si dilata, invece, come in un incantesimo. Agli occhi della protagonista di questa storia la realtà si profila come uno spaventoso oggetto di indagine, nulla è in fondo come sembra, tutto va studiato, analizzato, sezionato.
Fabien Grolleau e Thomas Brochard-Castex, Grande Oceano, add editore
Un evento catastrofico ha causato lo sprofondamento delle terre e ha dato vita a un nuovo continente, indiviso e acqueo, chiamato «Grande Oceano». Forse, nonostante le onde popolate da mostri marini e le tante società galleggianti, la terraferma esiste ancora. Un graphic novel, a metà tra incisione e gekiga, che parla di speranza a dispetto della fine imminente, e anche di amore tra padre e figlio, tra passato e futuro.
Francesco Pacifico, Il capo, Mondadori
Un romanzo che, nell’età del quiet quitting e delle grandi dimissioni, indaga il modo in cui sta mutando il nostro rapporto con il lavoro. Protagonista è Gaia, che ha subìto un abuso sul lavoro e che, durante una passeggiata notturna, racconta a Francesco cosa è accaduto. Da anni Pacifico si occupa attraverso la scrittura di decostruire il privilegio di classi e di genere, e questo romanzo è un punto essenziale della sua ricerca perché riflette sul potere, sul desiderio e sulla manipolazione, sia questa intellettuale o economica, oppure ancora letteraria.
Vincenzo Latronico, La chiave di Berlino, Einaudi
In questo romanzo di formazione, personale e generazionale, Vincenzo Latronico narra una storia che è anche europea. «Nessun’altra città è così piena di vuoto»: alle soglie del nuovo millennio i grandi vuoti storici di Berlino si riempiono con i sogni di un’intera generazione che da tutta Europa si è trasferita qui. Molti sono naturalmente anche gli italiani, fra i quali Vincenzo Latronico, venuto qui più che ventenne e senza una vera ragione, e che parlando di Berlino finisce per parlare di una generazione tutta.
Emanuele Trevi, La casa del mago, Ponte alle grazie
Dopo la vittoria nel 2021 dello Strega con Due vite (Neri Pozza, 2020), Emanuele Trevi torna in libreria con il romanzo suo più personale. L’occhio è puntato sulla sua famiglia, e in particolare su suo padre Mario Trevi, celebre e riservato psicoanalista junghiano. Per il figlio Emanuele, il padre è il «mago», un guaritore di anime. Alla sua morte lascia in eredità un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, e nel quale il figlio decide di trasferirsi, in un’atmosfera inquieta e feconda. In questo modo prova a sciogliere (o ad approfondire?) l’enigma del padre.
Le uscite di mercoledì 6 settembre
Christiane Vadnais, Faune, Codice
Siamo in un mondo distrutto da inondazioni e inquinamento, e popolato da un parassita che uccide le creature che attacca. La natura, in questo panorama, è rigogliosa e brutale, e allo stesso tempo affascinante e terrificante; elimina i confini con l’uomo e ne invade ogni spazio. La biologa Laura si muove tra fiumi che straripano, sotto lune verde tossico, tra villaggi ricavati da relitti di imbarcazioni e persone divenute oramai ibridi tra umano e animale. La missione della biologa è catalogare queste nuove forme di vita, e comprendere una natura che, per sopravvivere al cambiamento climatico, impone il proprio stato selvaggio. In questa sensuale e onirica opera di climate fiction, che ricorda quelle di Jeff VanderMeer, Christiane Vadnais ci mostra un ipotetico futuro non molto distante.
Viktor Šklovskij, Rozanov dal libro “L’intreccio come fenomeno di stile”, Wojtek
Il formalismo russo, di cui Viktor Šklovskij è considerato fondatore, ha contribuito a produrre, agli inizi del Novecento, uno sguardo che interroga la letteratura dall’interno: la domanda non afferisce più al significato dell’opera, ma al modo in cui è stata realizzata. Šklovskij isola un elemento, l’intreccio, e vi dedica una ricerca che durerà tutta la vita. L’intreccio ha una funzione ambivalente: è la somma dei procedimenti di costruzione dell’opera e la disintegrazione della fabula; è un «fenomeno di stile» e, allo stesso tempo, il principio di manipolazione e assoggettamento del materiale di cui l’opera si compone. Nei testi del saggista, scrittore e filosofo religioso Vasilij Vasil’evič Rozanov (1856-1919), Šklovskij intravede una forma nuova: una prosa «senza intreccio», in cui l’autore sconfessa i temi tradizionali dei classici russi e, attraverso l’utilizzo del frammento, arriva a rivelare i procedimenti della letteratura e che coincide con il tentativo di «uscire dalla letteratura», di liberare, cioè, il materiale dagli automatismi della finzione letteraria. Rozanov, la cui stesura avviene negli anni appena successivi alla Rivoluzione d’ottobre, è il quarto titolo della collana Ostranenie.
Le uscite di venerdì 8 settembre
Daniel Clowes, Patience, Coconino
Patience è un meraviglioso compendio di tutto il percorso artistico di Daniel Clowes che arriva in libreria in una nuova edizione arricchita da una lunga intervista all’autore, una raccolta di disegni inediti. Un libro d’amore e di viaggi nel tempo, tra noir e fantascienza retrò, che si interroga sui grandi temi esistenziali. «È innegabile che dobbiamo includere Clowes in quel novero di autori americani che tra la fine del Novecento e l’inizio di questo secolo hanno reinventato l’immaginario suburbano americano come un luogo dell’anima, come se non ci fosse nemmeno da raccontare la distruzione di un sogno, ma solo il tentativo di abitare certi incubi» (dalla postfazione di Veronica Raimo).
Vincenza Alfano, La guerra non torna di notte, Solferino
L’esistenza di Cenzina è segnata fin dall’adolescenza: cresciuta da uno zio ricco che trova per lei un buon partito, sarà moglie e madre nella Napoli borghese. Eppure, per via dell’abbandono materno, l’inquietudine devia continuamente la traiettoria e diluisce le piccole felicità quotidiane. Quando arriva la guerra, suo marito Pasquale sembra avere tutte le risposte: si tratta di prendere le parti dei più forti, i fascisti, e poi di sopravvivere indenni al conflitto. È per questo motivo che si trasferiscono in una casa più sicura davanti al mare. Ma nell’estate del ’43 il destino li raggiunge nella forma di due aviatori polacchi ed ebrei caduti con l’aereo. Cosa fare: condannare due esistenze o rischiarle tutte?
Fabrizio Tavernelli, Quando gli alieni rapivano le mucche, Oligo Editore
Uno sguardo allucinato su una provincia in declino. Un cammino iniziatico e visionario che dà vita a una nuova forma di fantascienza. L’io narrante viaggia stando fermo, in uno spazio interstellare fatto di costruzioni postmoderne, consorzi agrari, rustici in rovina e figure aliene. Citazioni letterarie raffinate si fondono con immaginari della cultura pop e underground, ma anche con il sapore naïf della grande pianura. Non senza un umorismo dal retrogusto tragico, scopriremo quanto possa essere alienante un paesaggio di solito rassicurante, a cui occhi nuovi e liberi assegnano nuovi codici e nuovi significati.
«In fondo ho sempre osservato le mutazioni del territorio attraverso le visioni della fantascienza. Prima la mia cameretta era piena di ritagli di giornale che documentavano avvistamenti UFO, oggi vedo atterrare dal nulla solidi, parallelepipedi, monoliti che si materializzano nelle campagne. Hub di logistica completamente robotizzati, nessun umano intorno, soltanto fantasmi di animali selvatici» (Fabrizio Tavernelli)
Claude AnShin Thomas, Una volta ero un soldato. Dall’orrore del Vietnam all’incontro con il buddhismo, Il Saggiatore
Arruolatosi volontario per la guerra in Vietnam a soli diciassette anni Claude AnShin Thomas è stato responsabile della morte di molte persone e della distruzione di interi villaggi. Come altri veterani di guerra, dopo il suo ritorno a casa da eroe pluridecorato, non è stato capace di reintegrarsi in una società indifferente alla salute psicologica di chi aveva vissuto gli orrori della trincea: “Ero stato addestrato a uccidere e non mi avevano mai aiutato a essere qualcosa d’altro se non un killer”.
In balia dello stress post-traumatico, dipendente dall’alcol e dalle droghe, AnShin vive per anni per strada nell’isolamento e nella più totale disperazione finché l’incontro con il maestro zen Thich Nhat Hanh e la pratica della meditazione aprono il sentiero alla guarigione. Su questo cammino, dall’inferno della sofferenza alla consapevolezza della pace, attraverso le tappe del suo percorso spirituale accanto a moltissime persone segnate dai traumi, AnShin conduce il lettore con un linguaggio semplice e toccante nella sua straordinaria testimonianza dell’insensatezza della guerra e di ogni tipo di violenza, anche quella insita inconsapevolmente in molti dei nostri comportamenti quotidiani.
Emily Dickinson, Buste di poesia, Il Saggiatore
Buste di poesia comprende 52 fotografie di versi appuntati da Emily Dickinson su buste postali, utilizzate o meno: un libro dunque che unisce poesia e arte visiva, e aiuta a inda- gare ancora più a fondo il mistero della poetessa di Amherst e il fascino delle sue opere. Nella raffinata calligrafia dickinsoniana, sono qui riunite brevi liriche e versi singoli, illuminazioni e visioni, aforismi e frammenti, e anche un testamento poetico: tutte queste “buste” sono infatti successive ai fascicles, i pacchetti di fogli ripiegati e cuciti con ago e filo nei quali furono ritrovate dopo la morte le sue oltre 1700 poesie. Un volume raffinato ed elegante che aggiunge un tassello all’opera di una delle potesse più sfuggenti e affascinanti dell’intera storia della letteratura.
Le uscite lunedì 11 settembre
Emanuela Da Ros, Bufalino, Parapiglia
Pietro è un undicenne che frequenta la prima media. Non ama tanto la lettura, ma ha accettato di leggere ogni pomeriggio il giornale a nonna Giacoma. Pietro a scuola è chiamato Bufalino (sia per la sua abitudine a raccontare un sacco di frottole e storie di fantasia, sia per aver scambiato una «bufala» per una notizia), e quando viene organizzato un torneo nel quale si premiano le notizie più inconsuete e accattivanti, decide di partecipare.
Beatrice Galluzzi, Sangue cattivo, effequ
Beatrice è difettosa; è cresciuta nella periferia romana con un padre lunatico e squilibrato al punto da apparire comico e del quale è sicura di aver ereditato la follia. Quando, con la morte del padre, il presente pare aprirsi a un nuovo inizio, Beatrice deve fare i conti con la scoperta di una malattia autoimmune e con una quotidianità piegata alle esigenze ospedaliere. Il dolore, di questo Beatrice ne è convinta, è meritato. Un’idea contrastata a colpi di ironia e caricature mitologiche che conducono a un lieto fine o a qualcosa che gli assomiglia.
Libro controcopertina, In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito di Barbara Giangranvè, Fides Edizioni
Nel 1978, la cosiddetta “Legge Basaglia” sancisce la chiusura dei manicomi in Italia. Si prospetta, idealmente, una nuova era, in cui chi soffre di disturbi mentali non venga più stigmatizzato e rinchiuso in spaventose strutture di contenimento ma riabilitato e reinserito nella società. Ma, da quel momento a oggi, cosa si è realmente fatto? Cosa è davvero cambiato? Questo libro rappresenta una testimonianza diretta della realtà dei “nuovi manicomi”, uno spaccato di vita all’interno di una clinica psichiatrica italiana, dove l’autrice entra di sua spontanea volontà per provare a sconfiggere quel cancro dell’anima che risponde al nome di “depressione”, un male invisibile e, in quanto tale, troppo spesso sottovalutato e banalizzato da chi non lo prova sulla propria pelle. Un racconto potente nella sua semplicità, un collage di fatti, riflessioni e ricordi, capace di risvegliare le coscienze e scagliare il lettore in una dimensione a cui la maggior parte dei cosiddetti “sani” non vuole neppure pensare.
Le uscite di martedì 12 settembre
Cecilia Sala, L’incendio, Mondadori
Kateryna ha 28 anni, è stata una modella e i suoi amici sono sparsi per l’Europa. All’inizio del 2022 spera che in Ucraina scoppi la guerra. Oggi Kateryna è un soldato. Assim invece ha 23 anni e studia Ingegneria aerospaziale all’università di Teheran. Da quando Mahsa Amini è morta, con il suo gruppo ha iniziato a scrivere il nome di Mahsa nei bagni e nei treni. Nabila è campionessa di kick boxing, è lesbica ed è una fedele conservatrice della Repubblica islamica, ma la vicenda della ragazza fermata in stazione per il velo malmesso e poi riconsegnata morta ai familiari è per lei un’atrocità. Zarifa appartiene a una generazione cresciuta su presupposti incompatibili con le regole integraliste e che rifiuta di considerare il movimento dei talebani il proprio destino. Questi sono soltanto alcuni dei protagonisti raccontati da Cecilia Sala che li ha seguiti tra le feste e le bombe.
Tiziano Scarpa, La verità e la biro, Einaudi
«Tutto quello che non si può dire perché ferirebbe chi ci vuole bene, perché ci metterebbe in cattiva luce, perché non è il caso, perché chi me lo fa fare, perché la vita è già pesante così, perché non occorre complicarla, perché sì, perché no, perché…». Difficile trovare qualcuno che ci dica la verità, visto che siamo noi stessi i primi a evitarla. Eppure non fa che inseguirci: è indelebile come la penna biro su un taccuino. La verità e la biro non assomiglia a nessuno dei romanzi di Tiziano Scarpa; è allo stesso tempo una confessione, un saggio, un memoir, una riflessione sui nostri desideri e su quest’epoca che ci vuole trasformare in esibizionisti e gladiatori.
Natasha Solomons, Romeo e Rosalina, Neri Pozza
Quando Romeo la vede per la prima volta è subito amore. Intorno a loro la festa si muove, in un turbinio di vesti variopinte, musica e vino, ma Romeo Montecchi non vede che lei. Tra le loro famiglie è in corso una faida antica le cui origini a Verona nessuno ricorda più. Qualsiasi relazione fra loro sarebbe considerata scandalosa. Lei è Rosalina Capuleti e conosce l’amore così, proprio lei che è destinata al convento. Ma quando Romeo le chiede di mentire, rubare, tradire, in Rosalina si insinua il dubbio: e se Romeo non fosse chi dice di essere? Qualcuno aveva tentato di avvertirla tuttavia lei, prima, era incapace di vedere. E intanto Romeo, scordate per un attimo le promesse fatte, ha già rivolto le sue attenzioni a un’altra Capuleti.
Melissa Broder, Affamata, NN Editore
“Sgranocchiavo, succhiavo, scioglievo, ripulivo tutto con la lingua in preda all’estasi
– solido e soffice, dolce e dolcissimo –
in un prisma di bellezza al tempo stesso terrena e divina,
mentre, ancorata al suolo, non ero altro che una bocca e una lingua giganti,
e mangiavo e mangiavo per il puro e semplice piacere di mangiare”
Rachel ha venticinque anni, vive a Los Angeles e soffre di un disturbo alimentare: calcola ossessivamente le calorie, cerca di ignorare la fame e trae un piacere quasi erotico dai pochi cibi che si concede. Lavora per un noto agente dello spettacolo, ogni giovedì sera si esibisce come stand-up comedian e si nasconde dalla madre, anaffettiva e dominante. Rachel usa la solitudine come scudo contro le relazioni e le tentazioni, finché un giorno, nella gelateria dove consuma di nascosto uno yogurt ipocalorico, incontra Miriam, la nuova commessa. Miriam è l’opposto di Rachel: un tripudio di curve e morbidezze, il trionfo dell’abbondanza sulla privazione. Le due ragazze si innamorano, si esplorano attraverso il cibo che consumano insieme, si riconoscono nei corpi che traboccano di piacere. L’amore innesca una rivoluzione nella vita di Rachel, che però dovrà fare i conti con la famiglia ebrea ortodossa di Miriam e con le ipocrisie del suo ambiente di lavoro. Serrato, impetuoso e provocatorio, Affamata parla di sensi e appetiti: di sesso, di cibo e di ossessioni. Con una lingua ironica e sensuale, Melissa Broder rivela che per sfuggire all’infelicità l’unica strada è tornare a se stesse, affrontando il rischio di non essere conformi e la vertigine del desiderio.
Questo libro è per chi sa che i biscotti della fortuna non mentono mai, per chi sogna di chiedere a Midge Maisel la ricetta del suo brisket, per chi vorrebbe scoprire quali sono gli m&m’s preferiti da dio, e per chi ha capito che nella vita non bisogna per forza andare avanti, ma ci si può muovere liberamente, verso l’alto e poi giù in profondità, in una serie di infiniti crescendo.
Francesco Piccolo e Fumettibrutti, La separazione del maschio, Feltrinelli
Il maschio protagonista di questo romanzo è un genitore attento e un marito premuroso, ma è anche un poligamo compulsivo. La sua è una vita avvitata alla menzogna, all’Edonismo e all’autoindulgenza. Il romanzo di Francesco Piccolo, audace e di grande successo, diventa un fumetto; il percorso resta lo stesso: una via verso l’introspezione sui temi della fedeltà, dell’amore, della famiglia.
Le uscite di mercoledì 13 settembre
Nadia Terranova, Omero è stato qui, Bompiani
Aunire le otto storie di questo libro è quel sottilissimo lembo d’acqua che separa Messina da Reggio Calabria. Scilla e Cariddi e la loro avversa fortuna, Dina e Clarenza che con coraggio hanno difeso Messina dall’attacco dei nemici, Ulisse ammaliato dalle Sirene, Cola Pesce in carne, ossa e squame: sono alcuni dei personaggi che da un passato lontano arrivano fino a noi, sono storie da custodire e raccontare ancora e ancora, affinché non vengano dimenticati. L’omaggio di Nadia Terranova alla sua città, Messina, e al suo mare.
Jón Kalman Stefánsson, Quando i diavoli si svegliano dèi, Iperborea
Protagonista di questa raccolta in versi di Jón Kalman Stefánsson è la quotidianità, vissuta in una stanza ai confini del mondo, a Reykjavík, con le faccende da sbrigare, la confusione dei vicini e i fiordi in lontananza. Ma anche in questo luogo apparentemente protetto irrompe il dolore e assume le forme delle grandi tragedie del nostro tempo: i ghiacciai che si sciolgono, i mari punteggiati di plastica, i naufragi al largo della Sicilia, un attentato terroristico, il campo profughi di Lesbo. In un mondo così le poesie finiscono allora per essere «notizie dalla vita» che la morte non può sconfiggere.
Alfredo Zucchi, Demolition Job. Lettere all’usurpatore, Edicola Edizioni
In un’alternanza fra sviluppo dell’azione e riflessione teorica, in Demolition Job, Alfredo Zucchi sceglie la via dell’accumulazione e dell’esplosione formale per raccontare aspetti come l’autorità e la morte, il desiderio e l’amore, il sogno e il linguaggio. Cinque racconti in cui le voci delle singole storie scavalcano i confini che le separano ribellandosi al narratore e scrivendo di sé.
Le uscite di giovedì 14 settembre
Libro copertina, Storia di Sorana di Vincenzo Fiore, Nulla Die
«Sorana, sì, Sorana se non ho capito male. Perché la conoscevi?», ripeté spezzando in due la mia speranza disattesa. Sentii come esplodermi Dio in petto. […] Fu in quel momento che capii che la prossima storia che sarei andato a raccontare sarebbe stata proprio la mia». La storia si muove sullo sfondo delle macerie di una Romania post-Ceaușescu, nei sobborghi di Bucarest, dove il cielo che vedono i bambini è fatto di tombini e di fogne. Sorana fugge dal proprio inferno personale, nel tentativo di respingere il proprio destino. L’incontro con Cesare, giovane studente universitario, dà vita a una narrazione a due voci, capace di turbare il lettore dall’inizio alla fine.
Dougal Dixon, After man. Una zoologia del futuro, Moscabianca
Dopo l’estinzione dell’umanità, quali strani animali potrebbero popolare la Terra? È la domanda che Dougal Dixon, paleontologo e geologo britannico, si è posto quarant’anni fa quando fu pubblicato questo saggio per la prima volta, ottenendo grande successo di critica. In questa nuova edizione che celebra il quarantesimo anniversario, Dixon rivisita la sua opera più importante sulla base delle recenti scoperte scientifiche con schizzi e materiale di produzione inediti.
Le uscite di venerdì 15 settembre
Rosalia Messina, Nulla d’importante tranne i sogni, Arkadia
Una donna che cova una atroce vendetta contro tutto e tutti per definire veramente la propria personalità
Un romanzo in cui la vendetta prende il sopravvento, nella disperata ricerca di una definizione di se stessi. Rosalia Messina ci regala pagine intense in cui prevalgono sentimenti contrastanti e mai univoci. Rosamaria Mortillaro, detta Ro, nota scrittrice siciliana, ha un rapporto altalenante e complicato con la sorella Annapaola, detta Nana, dalla quale cerca di farsi perdonare tutto ciò che ha avuto in più dalla sorte. Nana ogni tanto crea le condizioni per un allontanamento e rende difficili le riconciliazioni. Il filo usurato e più volte riannodato finisce per spezzarsi in modo irreparabile a causa di un banale contrasto innescato da Nana, a seguito del quale Ro decide, con dolorosa lucidità, di volersi sottrarre al gioco delle tregue e dei conflitti. Quando scopre di essere ammalata e di non poter sperare in un recupero della salute, Ro, provata anche dalla fine improvvisa dell’unico amore dal quale si è lasciata davvero coinvolgere, si isola nella sua villa nei pressi di Acireale in compagnia dell’amica e segretaria Anita Attanasio. Qui comincia a progettare la sua morte, cercando una vendetta contro la sorella e la figlia di lei, Giada. Inizia così un percorso grottesco e per certi tratti singolare che farà emergere un mondo di conflitti ma anche di sentimenti che riveleranno, finalmente, chi fosse in realtà la vera Rosamaria.
Lukas Bärfuss, Koala, L’orma
“Koala” è il soprannome di un uomo schivo e indolente, che un giorno decide di togliersi la vita. Il fratello minore è Lukas Bärfuss, che comincia a farsi domande, interpella amici, casi clinici e antiche saggezze. Il racconto cede al fascino di quel soprannome e arriva fino in Australia. Romanzo autobiografico atipico e al tempo stesso resoconto d’avventura, con Koala, Bärfuss si interroga sul rapporto potente fra umano e animale, e difende i motivi dietro alla libertà di rinunciare.
Nicola Romano, Al centro della poesia, Il ramo e la foglia edizioni
Questi sono i versi, pubblicati postumi, di un poeta vivace che nel passeggio della propria vita osserva la vita stessa e ne scrive, annotandone le variegate modulazioni sulle persone, sui luoghi, sui tempi e sui sentimenti che esse vivono; il suo è uno stare che diventa viaggio, è un camminare con sincerità d’animo e passione, ma anche con garbato equilibrio, in un mondo bellissimo ma insidioso; e il poeta non tralascia di schierarsi, se occorre, di denunciare con versi che si fanno taglienti all’interno di un profilo armonico normalmente dolce, per quanto intenso. Ci sono metafore e ipotesi sul senso della vita, tentativi di trovare un silenzio adatto a capire come tornare al centro delle cose. La sua lingua è ricca ed evoca i grandi poeti del Novecento, a ragione si può affermare che è proprio questa a rendere particolare il percorso poetico di Nicola Romano: ponendo la propria storia nel crogiolo di una scrittura attenta e ben rifinita, la rende universale, facendo sì che ognuno possa riconoscerci la propria storia e i propri sentimenti.
Dalla prefazione di Neria De Giovanni: «Tutta la silloge è invenata di un doppio percorso che trova crocicchi di connessioni, tra il sacro e il laico. Ci imbattiamo spesso in versi in cui la descrizione della condizione umana, fragile e sofferta in cui si trova il poeta, pone una domanda sull’esistenza stessa del divino. Tra i due livelli non c’è contrasto né contraddizione, invece un possibile congiungimento».
Francesco Savio, Felice chi è diverso, Fernandel
Questa è la storia di un libraio che si alza alle 4,55 per andare a lavorare in un’altra città e che legge la realtà che gli si presenta come fossero le pagine di un libro. Ciò lo rende diverso dalla maggioranza delle persone: felice di essere straniero, a tratti preoccupato per la fatica che questa diversità comporta. Camminando osserva gli alberi e riflette sul metodo migliore per riuscire a sopravvivere, economicamente e poeticamente, incapace com’è di accettare ingiustizie sociali e diseguaglianze che sempre più spesso vengono ritenute normali e inevitabili. Il suo desiderio è quello di non tradire la “visione”, quando tutto invece sembra orchestrato per renderci ciechi. Visioni sperimentate per la prima volta da ragazzo, e che le difficoltà della vita quotidiana sembrano rendere meno frequenti. Che si trovi su un treno, in un bar oppure nella libreria in cui lavora, che vaghi solitario o insieme ad altre persone, le sue associazioni d’idee ci accompagnano in un viaggio che coinvolge chi, come lui, è ancora sensibile alla bellezza. Felice chi è diverso è un romanzo che racconta una vita sospesa fra candore e fervore, un libro che abolisce la fretta per ricordarci che il difficile non è vivere, ma farlo in modo autentico.
«Mi alzavo alle 4,55 per andare a lavorare. Ero abbastanza contento, anche se sul treno dei pendolari raramente incontravo intellettuali […]. Mi sarei potuto alzare anche alle cinque del mattino, cinque minuti a certe latitudini orarie possono fare la differenza, ma avrei dovuto fare tutto di corsa. Anzi, avrei dovuto proprio correre. A volte immaginavo di farlo davvero. Di chiudere senza rumore il cancelletto grigio del giardino della casa in cui abitavamo, osservando con dispiacere i due abeti potati male che mi facevano venire in mente le donne di Egon Schiele, per poi iniziare a correre fino alla fermata della metropolitana, dosando la forza degli allunghi, perché fermarsi, in questo gioco immaginario per non perdere la metropolitana e di conseguenza il treno, non valeva. Passavo comunque venti secondi a guardare con attenzione i due abeti potati male il giorno di santa Lucia dai barbari armati di camioncino, motosega e scala elevatrice. Il dispiacere si trasformava in sgomento quando i miei occhi planavano sul ceppo del terzo abete del giardino, quello che con i suoi rami verdi e profumati era il più vicino al nostro balcone, facendo naturalmente ombra durante la stagione estiva, abbattuto nell’ipotesi che l’intero albero, o parte di esso, potesse cadere e danneggiare la casa in cui vivevamo. Il ventomoto che nell’ottobre 2018 si era scatenato sull’Italia del nord sradicando, secondo le stime, circa dodici milioni di alberi, aveva lasciato tracce nella testa delle persone. Molte piante erano cadute, e qualcuno aveva consigliato ai proprietari di abitazioni con alberi in giardino di sfoltirle o sopprimerle, per evitare a tronchi e rami di atterrare rovinosamente su tetti o individui, spinti dalle feroci raffiche di vento, prive di dolcezza. Il risultato era che, nel quartiere più verde della piccola città, troppi alberi vicino alle case erano stati abbattuti o potati senza pietà, a causa di una paura insensata e di una serie di dozzinali interventi privi di senso estetico».
Le uscite lunedì 18 settembre
André Van Lysebeth, Enciclopedia dello yoga. Tutte le âsana passo passo. Hata Yoga, Mursia
André Van Lysebeth, primo maestro occidentale dell’Hatha Yoga a essersi dedicato all’insegnamento di questa disciplina per molti anni, ci apre le porte di una vera e propria arte di vivere: le posizioni illustrate passo passo; gli errori da evitare e i modi per correggerli; gli effetti benefici e le controindicazioni per ogni postura; gli esercizi per imparare a respirare correttamente: il prânayama; i consigli quotidiani su come scegliere l’alimentazione e digerire meglio, addormentarsi più facilmente, combattere l’invecchiamento…; i principi di meditazione e rilassamento. Tecniche yogiche dettagliate per comprendere meglio il corpo e raggiungere il benessere fisico e mentale.
Dalla prefazione di Willy Van Lysebeth, formatore di insegnanti attraverso la Scuola Van Lysebeth di Parigi, membro della Federazione Mediterranea Yoga di Catania: «Accogliendo un centinaio di futuri insegnanti, André Van Lysebeth sorrideva a ciascun viso, a ogni sguardo. Vedeva in ognuno di loro gli allievi a venire. Allo stesso modo incontrava le innumerevoli persone che si dedicavano alla propria realizzazione attraverso lo yoga. Papà puntava anzitutto alla salute. Con tutto sé stesso, incitava alla realizzazione dell’intelligenza del corpo, alla bellezza, alla forza della vita. Diceva che la salute è una ricerca aperta, permanente e anche un dovere. La vita si realizza, si afferma nel minimo dettaglio attraverso una varietà di esercizi, di precetti e talvolta di “piccoli trucchi”. La rivista di papà (“Yoga”) raccoglie numerosi consigli, alcune volte prosaici consigli d’igiene dentale o oculare, come anche pratiche fondamentali che assicurino benessere e protezione contro svariati mali. La salute vissuta nella pratica quotidiana è in risonanza con la vita sentita e concepita come una proprietà dell’Universo. Ascoltiamolo: “Per quanto diverse siano le forme che la vita adotta, già incredibilmente sulla nostra Terra, come nel resto dell’universo, noi non ne siamo separati, noi ne facciamo parte. E il senso della vita cambierà, diventerà più vasto, più cosmico, più entusiasmante. Che questo possa divenire una realtà per tutti, ecco quello che vi auguro di cuore!”. Nell’ottica di André Van Lysebeth, la presente opera invita, attraverso il suo contenuto e grazie a un tocco di ludica creatività, alla piena realizzazione del potenziale dell’essere»
Salvatore Massimo Fazio
Il link alla segnalazione su SicilyMag: https://bitly.ws/U5ji
Struggente, commovente, semplicemente splendido, uno dei libri più affascinanti che abbia letto (e chi mi segue da tempo sa che non sono pochi…), questo è “Folisca” di Miriam D’Ambrosio che rimane nel cuore per vari motivi. In primis per la storia narrata che è ispirata a una storia vera, accaduta nel 1913, che D’Ambrosio ha rielaborato in modo così sapiente, delicato e rispettoso che sembra di essere lì con Rosetta-Folisca e le/i tante/i co-protagoniste/i: complimenti! La storia è narrata in prima persona da Rosetta ma l’autrice ha usato l’escamotage d’inserire brani, narrati in terza persona da persone che l’hanno conosciuta, che aiutano a conoscere meglio la giovane protagonista, regalandoci un ritratto a tutto tondo che le rende merito: standing ovation! Magica la connotazione psicologica di ogni personaggio, da Arturo, Maria e Anna, fratello e sorelle di Rosetta, a Leda e Gina, due care amiche, da Gino ad Attilio e al Cavaliere; nella parte finale del libro entra in scena anche un personaggio che determinerà la storia del nostro paese dopo la prima guerra mondiale e che non vi anticipo: bravissima!
Daniela Domenici
Il link alla recensione su Daniela e dintorni: https://bitly.ws/TL2G
[Da un po’ ragionavo su come costruire una rubrica di interviste, in modo che sia qualcosa di personale, in cui autori e autrici possano dire dei propri libri, di sé, del proprio modo di ragionare, di dare forma al mondo, tentando, da parte mia, di porre meno vincoli possibili. Con le dovute distanze teorico-metodologiche, ho pensato alle libere associazioni.
Mi sono reso conto che, spesso, finisco un libro avendo in testa delle parole specifiche, così mi sono detto: perché non condividerle con chi quel libro l’ha scritto? E poi, per dare struttura: perché non sceglierne cinque? Così è nata cinque parole.]
(Le nuove idee c’è bisogno di sperimentarle.
In questi mesi ho avuto la fortuna che un caro amico – Gianluigi Bodi – ha esordito con la sua prima raccolta di racconti, Un posto difficile da raggiungere, edito da Arkadia editore. Ho avuto la fortuna di sperimentare sensazioni che si tramutavano in parole, parole collegate fra loro da quel lavorio di filtro che la testa fa con le storie che colpiscono nei punti sensibili, mescolandole con il passato, con le aspettative verso il futuro, e così rendendole esperienza personale. In questo modo, Un posto difficile da raggiungere si è preso spazio fra le raccolte di racconti da tenere sugli scaffali buoni della libreria. In questo modo, mi sono trovato una dozzina di parole che avrei voluto inviare a Gianluigi. Ne ho scelte cinque. Le ho mandate e queste sono le risposte che lui mi ha spedito.
Buona lettura.)
Cinque parole #1: Gianluigi Bodi, Un posto difficile da raggiungere
Speranza
Ho sempre avuto un rapporto particolare con la speranza, un rapporto altalenante. Da un lato ho sempre pensato che sperare in qualcosa, sperare di diventare qualcuno, sia un modo per avere uno scopo nella vita.
Ho sperato per anni di diventare uno scrittore, anche quando non scrivevo e non scrivevo perché mi dicevo che non era ancora arrivato il momento. Era la speranza che mi teneva ben avvinghiato a quel sogno, non l’idea di avere le capacità per realizzarlo. E anche adesso che è uscita la mia prima raccolta di racconti quella speranza che avevo di diventare uno scrittore è ancora lì che mi fa compagnia perché, al momento, non mi sento ancora arrivato dove vorrei essere.
Ma la speranza è anche subdola, perché ti fa crede che basti lei sola a darti una spinta per fare le cose che vorresti fare, baciare la ragazza che vorresti baciare, trovare la tua strada nella vita. Non basta, anzi. Se ti fidi troppo della speranza sei finito, perché a un certo punto le speranze possono diventare rimpianti.
Ai protagonisti dei miei racconti accade un po’ questo, la speranza è una presenza ingombrante che funziona un po’ come promemoria di quella che è la direzione desiderata. Ma va sempre fatto un primo passo verso quella direzione, altrimenti la speranza si dissolve e diventa tossica.
Casa
Per me e per i personaggi dei racconti la casa ha sempre un duplice aspetto. Può essere porto accogliente e sereno o può essere il posto in cui iniziano tutti i problemi che una persona si porta dentro. Molto spesso mi sono soffermato sul secondo aspetto. Il bambino di “Capitani coraggiosi”, l’uomo di “Un gatto morto sul ciglio della strada” sono esempi di come il malessere possa nascere proprio partendo dalle mura familiari. Quelle mura diventano una prigione emotiva, diventano il luogo in cui nasce l’insicurezza, il pensare di non essere mai abbastanza e di non avere le capacità necessarie per vivere come gli altri si aspettano che tu viva.
Anche nel racconto “Il vecchio in bicicletta” la casa è il palcoscenico di un rapporto ormai stantio che ha bisogno di una scossa. Forse, per alcuni dei personaggi dei miei racconti il posto difficile da raggiungere è anche quello da poter chiamare realmente casa.
Lavoro
Nato in Veneto nella metà degli anni settanta non mi è mai balzato per la testa che il lavoro fosse meno importante del respirare e del nutrirsi. Ho iniziato molto giovane a fare qualche lavoretto per cui si può dire che è dall’età di quattordici anni che frequento l’ambiente lavorativo. Soprattutto quello delle piccolissime imprese a carattere familiare che formano un po’ il tessuto economico di gran parte delle zone in cui ho vissuto tra la provincia di Venezia e quella di Treviso.
Nei racconti della raccolta c’è ne sono almeno due in cui il lavoro ha un ruolo primario ed è quasi un protagonista. Si tratta de “La macchina che produce gli ingranaggi” e di “Limonium Vulgare”. Nel primo il lavoro è diventato l’emanazione della vita intera del protagonista: monotona, ripetitiva, senza possibilità di sbocchi. Al punto che è, per il protagonista, perfino meglio sacrificarsi per dare importanza alla sua esistenza. Nel secondo la laurea e un lavoro “adeguato” alle aspettative sono profondamente legati al tema della speranza. In questo caso la protagonista spera che tutti gli sforzi fatti da lei e dai suoi genitori vengano ripagati con un lavoro degno degli studi portati a termini. Il lavoro quindi diventa una gratificazione, la dimostrazione che si è “qualcuno di importante”.
Genitori
Credo che questo sia un tema fondamentale per buona parte della letteratura mondiale di tutte le epoche. I genitori sanno essere un agglomerato di aspettative e sanno produrre sensi di colpa come poche altre persone al mondo. Nei racconti questo accade spesso. In “Capitani coraggiosi” è evidente che il protagonista si considera sbagliato perché capisce che il padre non lo rispetta. Però dall’altro lato c’è anche il padre di “Limonium Vulgare”, essere umano capace di dare supporto senza interferire nelle scelte della figlia.
Credo però che il racconto più emblematico di un certo modo di intendere la genitorialità sia “Il rito”. Quel tipo di famiglia mi spaventa. Il tipo di prevaricazioni che possono nascere in un rapporto del genere sono terrificanti e io non posso che parteggiare per il figlio che, lontano dall’essere perfetto, non nasconde la propria vulnerabilità
Volontà
Il tema della volontà è profondamente legato a quello della speranza, ma in particolare negli ultimi anni ho spesso pensato all’uso che facciamo di questo termine.
Devi perdere peso e non ce la fai? Non hai abbastanza forza di volontà.
Sei depresso? Devi solo voler stare meglio.
Volere è potere.
Non sono d’accordo. Ci sono cose che non si possono raggiungere solamente con la forza di volontà. Serve un altro elemento, l’aiuto. Un aiuto che può arrivare da noi stessi o anche dagli altri, ma che è fondamentale. C’è bisogno di una piccola spintarella.
In “Limonium Vulgare” si tratta di un incendio, in “Un gatto morto sul ciglio della strada” è un incidente, in “Bar posta” un’automobile in panne. A volte abbiamo bisogno di uno strappo, di una rottura; abbiamo bisogno di toccare il fondo per riuscire a raggiungere la speranza con la volontà.
A molti dei personaggi della raccolta di racconti manca esattamente quel minuscolo passo in avanti per iniziare a far quadrare le cose e credo che il vero terrore sia non riuscirlo a compiere perché a un certo punto ci si convince, o ci convincono, di non essere abbastanza forti per poterlo fare.
Alessandro Busi
Il link alla recensione su Come un cane sulla luna: https://bitly.ws/TGIm
Recensire un libro di recensioni è una cosa strana, forse anche paradossale, ma con Anna Vallerugo vado sul sicuro. Mi si conceda anche un articolo un po’ atipico, perché questa volta non posso non inserire qualcosa di personale, ossia la stima che nutro verso chi, come me, legge e scrive di libri con passione e dedizione. Se di una critica genuina abbiamo bisogno, allora mi affido a chi in maniera chiara espone un romanzo, un saggio o una raccolta poetica utilizzando non solo i mezzi tecnici, ma anche le proprie sensazioni. Non sono mai stato tra coloro che celebrano il funerale della critica, che giudica inutile parlare di libri, che considera banale affidarsi a dei giudizi che potrebbero essere guidati da logiche di mercato, di appartenenza o di casta. No, sono convinto che il “giornalismo culturale”, capace di testimoniare attraverso il suo “fare” ciò che accade, abbia prima di tutto il compito di stimolare, di incuriosire, di scompigliare le carte in tavola. Forse, la discussione andrebbe incentrata su quanto si è liberi di scegliere, di scrivere, di combattere certe sovrastrutture e, soprattutto, quanto il giornalismo, in ogni settore, voglia essere la Spada di Damocle che pende sulla testa del Potere. Ma perché parlo di giornalismo? Perché Anna Vallerugo è prima di tutto una giornalista che si è “sporcata le mani” con un’altra materia, quella della cronaca quotidiana, dopodiché l’amore innato per la letteratura e la sua propensione per il “raccontare”, l’hanno portata a imboccare la strada della critica letteraria. Ma anche “critico letterario” è solo un’etichetta di comodo, un termine tecnico che serve a rendere “scientifico” un campo che per sua natura tratta dell’uomo, quindi di un essere imprevedibile. Ben vengano i critici di professione, coloro i quali sono specialisti della materia, ma non si disdegni anche chi racconta con la precisione del proprio “sentire” i libri che legge. Con ciò, non voglio affermare che tutti possono parlare di libri o che tutti sono in grado di farlo; anzi, penso che ci voglia un grande amore per la conoscenza, per l’arte, per la filosofia, per il sapere a tutto tondo; penso anche che ci voglia una dedizione particolare per la lettura, vista non come momento di svago, o peggio ancora come attività lavorativa, quindi forzata, ma come atto di meditazione, di riflessione e di dialogo con sé stessi. Proprio perché indipendente, Vallerugo parla solo dei libri che hanno innescato in lei qualcosa. Lo si vede da come ne scrive, da come stimola la curiosità del lettore, da come non tratti mai il libro come oggetto, ma come “testimonianza vivente”. Leggendo questa raccolta di articoli, composti tra il 2015 e il 2021, molti dei quali ormai introvabili, ho potuto cogliere bene questo richiamo a una lettura sentimentale che riconosce al libro una “natura umana”. Cosa rara in un momento in cui i libri sono diventati sempre più oggetti dall’obsolescenza programmata. Basti pensare che dopo sei mesi dalla sua uscita, un’opera è già considerata “vecchia”. In questo modo, cosa resta della letteratura? La risposta a voi. Il volume – si legge nella quarta di copertina del libro – comprende oltre cinquanta recensioni e saggi brevi scritti tra il 2015 e il 2021 per lo storico portale e rivista di critica letteraria italiana ‘Satisfiction’; ed è stato proprio negli anni in cui ho scritto su questa testata che ho potuto confrontarmi con Anna Vallerugo. Pertanto, consiglio questo libro a chi vuole scoprire classici o autori contemporanei del panorama italiano, partendo da un costrutto emotivo argomentato con passione e, in particolar modo, con precisione. In ogni recensione, a vincere è l’amore per la letteratura.
Martino Ciano
Il link alla recensione su Border Liber: https://bitly.ws/TGEY
Mi capita (alla vista) a distanza di un anno e mezzo dalla sua pubblicazione un romanzo, mentre cerco e rivedo titoli in libreria. Leggendo il nome, mi chiedo se è il filosofo del pessimismo ragionato o della corrente della quale viene definito fondatore, nichilismo cognitivo, anche se lo stesso ha respinto più volte questa etichetta. È lui, Salvatore Massimo Fazio, che in Irpinia più volte è stato ospite, ma in veste di saggista e filosofo, non con poche polemiche. La prima, tanti anni fa presentò in una sala gremita le sue “Insonnie” e polemizzò con tutta la classe politica, quel fare polemista tipico dell’uomo di sinistra che rivendica i diritti per tutti, ma la sorpresa venne dopo qualche minuto, Fazio si dice bombacciano e marxsista, mai leninista e a sinistra non vota, piuttosto dall’altra parte della barricata sta più comodo (n.d.a.), nonostante non frequenti né pratichi alcuno dei contemporanei, al centro? Come se avessimo scatenato un demone… anni dopo lo annunciano col saggio “Regressione suicida, dell’abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalmabro”. È sorprendente Fazio, moderato nei toni e intellettualmente maestoso. La sua vena culturale viene dall’amore per la cucina dirà, e l’editoria si sta spingendo oltre: “Arriveremo a 100.000 titoli l’anno, chi li dovrebbe leggere? Bene per gli editori, malissimo per tutti coloro che si inventano addetti ai lavori imbrogliando gli altri”. Ed ecco il paradosso, sconfessando quanto aveva detto, alludendo alla narrativa, nel 2021 a dicembre, esce “Il tornello dei dileggi”, suo primo, e unico fino ad oggi, romanzo (100 pagine e 14,00 € ben spesi), di cui vi dicevo che mi è apparso agli occhi. Dentro c’è tutto quanto che ho tentato di rappresentare nell’ideologia vita pre mortem di questo non più giovane autore, che in Italia è ben conosciuto anche per quella vena di cui dicevamo prima. Il romanzo mi è piaciuto molto, è allegro e sorprendente. Coraggioso nello sperimentare i generi e gli stili. Ho cercato altre recensioni e interviste, ne sono state pubblicate a bizzeffe, sicché c’è da chiedersi come mai anche riviste di genere preferiscono sempre e soltanto i soliti nomi e i soliti temi? Forse la risposta possono darla i racconti e le chiacchierate che Paolo, protagonista del romanzo fa con se stesso, che poi si chiama Adriana, che è sua figlia, la sua donna, sua moglie o il suo fantasma… fino a giungere a un doppio finale, degno di un colpo di scena mai letto ad oggi: perché gli addetti ai lavori non si sono accorti di questo piccolo gioiello editoriale? Sicuramente Arkadia, che lo ha pubblicato, è stata coraggiosa (e lo ha candidato anche al Premio Campiello nel 2022), e le soddisfazioni le ha avute (tra l’altro lo hanno pubblicato in collana Eclypse, che è la collana storica per antonomasia dell’editore sardo, anche se a parere nostro data la molteplice territorialità, Torino, Catania, Madrid e Palermo sono i luoghi reali e anche ipnocentrici, poteva meglio essere collocato nella sorella più piccola Senzarotta, oppure nella più avanguardista Sidekar, quest’ultima coglie infatti autori coraggiosi e fuori dagli schemi). Forse Fazio è Paolo stesso? Personaggio divertente, colto ma che non le manda a dire? Forse Giovanna è Fazio nella sua deviazione inconscia? La scrittura seppur scorrevole, merita di far ritornare indietro, in alcuni passaggi, specie nei racconti di calcio: c’è un professionista di ambito medico che ultimata una visita lascia lo studio e si perde in un ricordo alla vista di un amico: lì è il momento della meta narrativa. Ma il titolo vi chiedereste? Semplice, riporta al pensiero dell’abbattimento dei valori di cui l’autore è specialista: secondo il plurilaureato scrittore (filosofia, pedagogia e recentemente in psicologia) non esiste persona che non subisca la derisione almeno una volta nella vita e quando succede che non si presenta una derisione, subentra a massacrare la discesa degli infami, creando disagio a chi subisce perché non viene creduto. Chiudiamo valutando questa bella lettura come una metafora per affrontare la vita: o la subisci e taci o ti accontenti, con le parole dell’autore, dell’emarginazione se non stai dietro il gregge.
Nunzio Esposito
Il link alla recensione sul Corriere dell’Irpinia: https://bitly.ws/TuV7
Ci sono alcune pagine di rara intensità, in questo volume, che lo scrittore cubano Abilio Estévez sceglie di dedicare alla presenza dell’opera del pittore francese Henri Rousseau, detto “il Doganiere”, nella produzione letteraria di un altro grande autore cubano, José Lezama Lima (1910-1976). Leggendole, non ho potuto fare a meno di pensare a John Berger, e non soltanto perché lo scrittore inglese è stato un grande estimatore di Rousseau, ma anche perché – pur tenendo presente la notevole differenza di interessi e posizionamenti tra i due autori – la qualità del saggismo di Estévez si rivela altrettanto alta, con uno sguardo sempre alla ricerca di una determinata densità stilistica per parlare di arte, o di letteratura, senza accademismi o altri vincoli. Questo, lo sottolinea anche il traduttore e curatore del volume, Alessandro Gianetti, in una nota alla traduzione che diventa, in fin dei conti, qualcosa di simile a una postfazione (giocando sul fatto che una traduzione è, in primo luogo, un’operazione peculiare, appassionata e approfondita, di lettura critica): “Poche volte mi era capitato di leggere un testo così misteriosamente chiaro nell’individuare i temi fondamentali della scrittura”. È un dato che sembra vero anche al di là delle successive annotazioni di Gianetti, che rimandano all’intreccio, nella scrittura di Estévez, di letteratura ed esperienza. Certamente, le annotazioni autobiografiche e la loro pregnanza conferiscono intensità ai sette scritti dell’autore cubano riuniti nel volume; tuttavia, sembrano avere perlomeno pari importanza, da un lato, la collocazione politica del suo autore nel contesto del regime castrista e, dall’altro, il rapporto con la poesia – così rilevante, quest’ultimo, da indurre la casa editrice Arkadia a licenziare la traduzione con un titolo, Testimonianze di un’orgia poetica, che aggiunge un attributo (non tanto perché pudico, quanto perché criticamente preciso) all’originale, Testimonios de la orgía (2020). La dissidenza, innanzitutto, è vissuta tanto dall’interno quanto dall’esterno di Cuba, con un’esperienza dell’esilio che accomuna Estévez a Reinaldo Arenas (1943-1990) – attorno al quale ruota il penultimo saggio, peraltro il più lungo, intitolato Reinaldo Arenas, immagine di un allucinato – ma anche a Virgilio Piñera (1912-1979), poeta, narratore e drammaturgo che non lasciò mai l’isola di Cuba, cui Estévez dedica invece il saggio che dà il titolo all’intera raccolta. Un po’ più giovane di Arenas e di molto rispetto a Piñera, Estévez nondimeno condivide la loro prospettiva di rottura con il conformismo ideologico e omofobo imposto dal regime, senza per questo allinearsi con una destra liberale controrivoluzionaria e altrettanto odiosa. Dissidenza che si riversa sul piano formale in modo poderoso, e comunque sempre cristallino, per tutti e tre gli autori, tra i quali è forse Arenas ad aver goduto di maggiori traduzioni in Italia (anche per effetto del film Prima che sia notte di Julian Schnabel del 2000, con Javier Bardem), seguito da Estévez (i romanzi Tuo è il regno e I palazzi lontani sono stati tradotti per Adelphi) e a maggior distanza – purtroppo – da Virgilio Piñera (del quale risultano finora poche traduzioni sparse, a cura, soprattutto, di Gordiano Lupi). È Piñera, in particolare, a costituire il trait d’union con l’altro filo rosso che unisce i sette saggi, ovvero la tradizione poetica cubana, esplorata a volo d’uccello nel testo conclusivo, Poeti cubani naufragati sull’isola, ma presente anche negli altri testi. A tornare più volte è, tra gli altri, quel Julián del Casal (1863-1893) che condividerà con José Lezama Lima la sorte dell’insilio, neologismo che indica la condizione di esilio di chi, fisicamente, resta per tutta la vita, o quasi, nell’isola. Tuttavia, al di là di questa connessione esplicitamente istituita da Estévez, del Casal sembra apportare anche l’immagine del poète maudit di ispirazione ottocentesca ed europea, ossia del poeta che cerca di scardinare, in letteratura, le convenzioni sociali, culturali e morali della propria epoca – trovando, peraltro, notevoli difficoltà sul piano politico – come poi Arenas ed Estévez avrebbero cercato di fare con la loro. A “naufragare” sull’isola, secondo il titolo del saggio, sono, in vario modo, i più famosi tra i poeti spagnoli: fra tutti, Federico García Lorca, Luis Cernuda e Juan Ramón Jiménez. Sarà in particolare quest’ultimo, nel corso del suo soggiorno, a dar prova di aver capito poco o nulla di Cuba – d’altronde, poco più di una colonia recentemente persa, ai suoi tempi, agli occhi di un letterato spagnolo. È anche per questa distorsione dello sguardo che Estévez ce ne dà ora testimonianza: non soltanto per riparare ai danni di uno sguardo esotista o coloniale tout court, ma per restituirci tutta la varietà e potenza di un’orgia poetica, ovvero di un percorso nella storia della narrativa e della poesia cubana, che è anche un percorso nella Letteratura più in generale.
Lorenzo Mari
Il link alla recensione su Pulp Magazine: http://bitly.ws/REyS
un romanzo molto particolare questo di Paola Musa, scrittrice, traduttrice e poeta, che tratta il tema dell’invidia, uno dei vizi capitali, il quarto con cui si cimenta, sempre per Arkadia editore, dopo quelli dell’accidia, della superbia e dell’avarizia. Sono due le protagoniste principali di questa storia, Marla e Ania, che si conoscono sin da piccole perché vivono nello stesso paese vicino a delle miniere; faranno un cammino di vita totalmente diverso ma rimarranno in contatto, seppur in modo distorto, doloroso e incomprensibile, per molti anni fino al tragico epilogo. Intorno a loro ruotano numerose persone, in particolare i genitori di Ania e suo fratello Reza e Arteno Gora, marito di Marla, sono i principali co-protagonisti/e. L’elemento che contamina profondamente la relazione tra Ania e Marla è l’invidia che quest’ultima prova da sempre verso l’amica e che la porta a commettere continue azioni insensate, traumatiche, assurde che rovinano il loro legame e avranno delle ricadute sulle persone a loro vicine. L’autrice usa l’escamotage, molto originale, di immaginare che un giornalista chieda ad Ania, ormai anziana e sola, di raccontargli con sincerità la sua vita e il suo rapporto con Marla, che ha fatto una fulminante e incomprensibile carriera politica accanto ad Arteno, per scriverne un articolo e questo le dà lo spunto per confessargli alcuni fatti di cui nessuno era a conoscenza i quali, seppur ancora dolorosi, aiutano a tracciarne un ritratto completo seppur distorto dall’umor vitreo dell’invidia.
Daniela Domenici
Il link alla recensione su Daniela & Dintorni: http://bitly.ws/REvL