Il buio delle tre: le pecche dell’editoria tra comicità e tragedia
Lo scrittore e regista Vladimir Di Prima ha presentato il romanzo alla Feltrinelli di Catania
Tragico eppure comico, sognante eppure reale, il sesto libro dello scrittore e regista Vladimir Di Prima – Il buio delle tre (edito da Arkadia Editore) – lascia piacevolmente colpiti da una riflessione che si cela, incessante e puntuale, dietro le pagine: l’editoria è satura, le librerie piene di libri di poco conto, e chi nutre da sempre il sogno della scrittura rarissime volte riesce nel suo intento. È proprio questo il filo strutturale della storia, il ‘grillo parlante’– come lo definisce lo stesso Di Prima – nella vita e nella mente del protagonista Pinuccio Badalà, dal nome sicilianissimo come la terra in cui vive. Figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna, morto qualche anno dopo a causa di un buffo incidente, Badalà a un certo punto inizia a coltivare il sogno di diventare uno scrittore e si fa strada nel mondo difficoltoso dell’editoria, mentre tutti sembrano disprezzare il suo manoscritto. Ma il protagonista non si perde d’animo e, tra mille peripezie, si dedica alla ricerca di un buon editore per più di vent’anni. Inoltre, c’è il Sud e c’è il Nord in questo libro, c’è la differenza ancora impelagante tra terroni e settentrionali. Il Salone del Libro di Torino, ad esempio, è un’occasione di incontro per tanti scrittori facoltosi o che si credono tali, facilitati da concorsi e da scuole di scrittura; e poi c’è Pinuccio, un personaggio bizzarro, ironico e umile, che però, come accade quando non si riesce a raggiungere degli obiettivi, matura una crescente invidia per chi realizza il proprio sogno. Il protagonista sembra non farcela mai, ma nonostante questo si rialza, non si arrende. È forse il suo mentore, il suo insegnante, a fargli da guida, un po’ come Virgilio faceva con Dante. Tutto ha inizio con una serie di tragedie: l’incidente di Ustica, la strage di Bologna del 2 agosto 1980, fino ad arrivare a un excursus di alcuni dei momenti chiave della storia italiana e non solo (l’elezione di Gorbaciov, la strage di Capaci, il crollo delle torri gemelle, la cattura di Bernardo Provenzano, l’attentato a Charlie Hebdo). Il Buio delle tre ci invita a interrogarci sul valore della cultura, in un mondo che appare sempre più povero di letteratura vera e ricco piuttosto di libri senza valore. Pagina dopo pagina, l’autore rivela a noi lettori alcune massime sulla scrittura e sul mestiere dello scrittore, grazie alla vita ‘comica’ e allo stesso tempo veritiera del protagonista. Il buio delle tre è un libro autobiografico, come lo stesso autore ha affermato in occasione della presentazione.
Laureato in Giurisprudenza e poi anche una laurea magistrale in Criminologia. Se posso, da cosa nasce questo distacco così profondo tra ciò che ha studiato e le attività che svolge adesso, quelle di regista e scrittore? Cosa le è rimasto di quegli studi?
«Mi sentivo ingabbiato in qualcosa che non faceva parte di me, non mi immaginavo chiuso in un ufficio o in un tribunale – racconta Vladimir Di Prima -. A un certo punto ho sentito l’esigenza di fare un lavoro più creativo. Non rinnego assolutamente i miei studi, perché studiare è importante e sicuramente il mio percorso di formazione mi ha lasciato qualcosa, ma ho avuto la fortuna di capire che non era la mia strada e di avere al mio fianco dei genitori che mi hanno sostenuto in questa scelta».
Spostandoci sul libro adesso… Il buio delle tre è un testo tragicomico che segue le peripezie di Pinuccio: lei ha senz’altro puntato sull’ironia in un mondo e in una generazione che tendono sempre più alla tristezza. Secondo Lei perché molti giovani sono ‘amanti’ della tristezza?
«La generazione dei giovani vive dentro il mondo dei social media, che li costringe a guardarsi costantemente in uno specchio falsato: quello di altri giovani che fanno cose sempre più belle, più entusiasmanti – spiega lo scrittore -. Qui già si crea una prima frattura. E allora iniziano a maturare sentimenti negativi, legati soprattutto legati a un senso di inferiorità. I giovani credono di essere felici nella loro nicchia di infelicità».
Nel titolo la parola ‘buio’ si ricollega al mondo dell’editoria. Come lascia intuire Pinuccio Badalà, si tratta di un mondo un po’ oscuro?
«Indipendentemente da quello che Pinuccio Badalà pensa sul mondo dell’editoria, io adesso vorrei spezzare una lancia a favore di quest’ultimo: tantissime case editrici ricevono a settimana cinquecento manoscritti – aggiunge Di Prima -. Come leggerli tutti? È necessario fare una cernita. Il messaggio che alla fine vorrei diffondere tramite Il buio delle tre è che c’è sempre speranza, che è giusto fallire e poi rialzarsi e non smettere mai di credere nei propri sogni».
Chiara Schembra
Il link all’intervista su Unict Magazine: https://bitly.ws/3baU7