Uno dei romanzi più delicati, venati di ironia e sinceri che abbia letto negli ultimi anni è Un bambino sbagliato di Giovanni Lucchese, appena pubblicato da Arkadia, un marchio che si segnala per coraggio e capacità di reclutare nomi di tutto rispetto, magari fuoriusciti (sia detto a loro onore) dalle major editoriali. Nel caso di Lucchese, che non è un esordiente, si tratta invece di un salto qualitativo, del tutto meritato, soprattutto per l’armonia tra scrittura e vissuti narrati, sostenuti da una grazia che accompagna chi legge e non potrà dimenticare quel ragazzino che s’impegna sulle ruote della bici come su quelle della vita. Tutto è iniziato con la decisione di partecipare a un laboratorio di scrittura autobiografica tenuto da Rossana Campo. <<Ci sono andato in punta di piedi, lei è una scrittrice che da ragazzo adoravo e seguivo, è stato emozionante trovarmi seduto di fronte a lei. Fino a quel momento non credevo che la mia vita fosse interessante al punto da scriverci un libro. È stata lei a farmi capire che ogni momento è degno di nota, basta trovare la voce giusta per saperlo raccontare. Ho iniziato a rivivere alcuni momenti della mia infanzia e sono riuscito fin dal principio a trovare il filo conduttore>> spiega l’autore romano.
È stato difficile aprire il cassetto interiore dove tenevi custodite le esperienze che hanno segnato la tua infanzia?
È stato un vero e proprio vaso di Pandora. Sono partito proprio dal primo capitolo del libro, che è uno dei miei fatti più intimi e da quello è partita una reazione a catena. Un episodio tirava l’altro, un personaggio ne richiamava altri al suo fianco. Mi è sembrato di sentire le voci della mia infanzia, gli odori delle domeniche nella casa di campagna dove sono cresciuto, l’euforia dei giochi con i miei cugini e la rabbia che prova ogni bambino nei momenti in cui si sente sbagliato e non riesce a capire il perché. Mi sono divertito tantissimo, è un’esperienza che tutti dovrebbero fare arrivati alla mia età.
È possibile, per la tua esperienza di vita, uscire indenni dall’infanzia?
No, e non dovrebbe essere qualcosa che cerchiamo. Le ferite dell’infanzia sono quelle che ci formano come uomini e donne adulti. Bisogna saperle curare, aspettare che rimarginino, osservarle mentre si trasformano nelle cicatrici che determineranno i lineamenti del nostro carattere. Dobbiamo prendercene cura sapendo ridere di loro quando è necessario e portare loro il rispetto dovuto. Diffido fortemente da chi mi dice di avere avuto un’infanzia del tutto serena, priva di traumi e crisi esistenziali. Sono persone che mentono a sé stesse o, peggio ancora, hanno davanti a loro una vita piuttosto piatta e noiosetta.
Persone che non si siano sentite sbagliate per le false convinzioni dei benpensanti o le imposizioni culturali e sociali ne hai conosciute?
Pochissime. Meglio così, le persone ferite sono le più interessanti. Hanno ottenuto la loro emancipazione pagandola a caro prezzo, spesso sono state emarginate, hanno vissuto lunghi periodi bui o in totale solitudine. Ma hanno lottato, hanno saputo difendere i loro valori e ideali fino a diventare dei veri e propri angeli che camminano sulla nostra terra. Sono le poche persone in grado di leggerti dentro, di andare oltre le apparenze, di riconoscere un’anima pura da una inquinata, e possono darti gli insegnamenti e i consigli più utili che tu possa mai ricevere.
L’ironia e l’autoironia rappresentano sempre la salvezza o la via d’uscita?
Guarda, viva sempre chi sa ridere di sé stesso e delle proprie disgrazie. Anche degli altri, perché saper prendere in giro il mondo in cui viviamo è sempre un dono, ma è un lavoro che va fatto prima sulla nostra, di vita. Per uno come me l’ironia è una chiave di lettura da utilizzare più o meno sempre, mi viene naturale. È come un paio di occhiali attraverso i quali osservo ogni cosa, mi aiuta tantissimo a sdrammatizzare, a riordinare le priorità, a uscire indenne dalle mie crisi di ansia e smania di controllo, a capire che ogni ostacolo che si pone sul nostro cammino è stato messo lì al solo scopo di farci crescere e diventare più forti. È poi vuoi mettere, spiazzare qualcuno che si prende estremamente sul serio facendolo ridere di gusto. Una soddisfazione impagabile.
Il senso di emarginazione e il dolore sono serbatoi imprescindibili per chi voglia fare, creare, scrivere, inventare?
Sicuramente la fame aumenta la smania, la voglia di fare, il desiderio di riscatto, quindi ti dico di sì, ma con una riserva. L’emarginazione, il dolore, un trauma, qualsiasi evento drammatico che ci accade, vanno masticati, digeriti e metabolizzati. Solo dopo averlo fatto possiamo costruirci qualcosa sopra. Chi ha sofferto scrive meglio, ma lo fa dopo che il dolore è passato.
Mariano Sabatini
Il link all’intervista su Fattitaliani: https://bitly.ws/3bhBT
La poesia di Francesco Cusa, Valerio Mello e Roberto Piumini inaugurano la doppia settimana del nostro blog: il primo per Robin, il secondo per Ensemble, il terzo per Scalpendi. Interessante il primo volume del 2024 per Giazira che per penna di autori vari presenta le storie e i racconti del mondo scout. Il Saggiatore si impone con diversi titoli: dal sociale e psichiatrico con “Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin” di Franco e Franca Basaglia a Vincenzo Levizzani, autore di “Quando fuori piove. Storia e futuro della pioggia” a Julio Llamazares con “Diversi modi di guardare l’acqua” e Federico Maria Sardelli che onora il genio musicale con “Vivaldi secondo Vivaldi. Dentro i suoi manoscritti”. Deborah Levy con “Cose che non voglio sapere” (NN Editore) è la sorpresa da scoprire. Il 9 febbraio gli scelti in copertina: Arkadia conquista il #librocopertina con “Hotel DF”, di Guillermo Fadanelli. Aldo Nove con “Pulsar” e “Woobinda”, per Il Saggiatore, si aggiudica la controcopertina. Debutta nel nostro blog CN, il nuovo marchio editoriale del gruppo Oligo, con “Giacomo Leopardi e la cultura inglese” di Silvia Girometti.
Che ve ne pare di questo passaggio a febbraio? Buona lettura a tutti e arrivederci a martedì 13!
Le uscite di martedì 30 gennaio
Francesco Cusa, Il giusto premio, Robin
“Finire. Si muore nel buio dei secoli con gli ultimi respiri pietrificati e le iridi spalancate d’azzurro nel ricordo silenzioso del mare”
Dodicesima opera del Maestro Francesco Cusa, musicista col “vizio” letterario tra racconti e poesie, quinta silloge dove i versi demarcano un momento cruciale del recente vissuto del poliedrico artista, musico, poeta e scrittore etneo.
Valerio Mello, Hypsas, Ensemble
Srive Andrea Carnevale: «Il fiume scorre, trascina, pulisce, conduce ciò che conserva e lo porta in offerta. Il denso e mirabile poemetto di Mello fa diventare le antiche divinità – a cominciare da quella fluviale a cui è ispirato e dedicato – incarnazioni stesse della Poesia e del suo attraversare la storia. Un fluire che conserva e innova a ogni svolta le sue origini (il mondo greco e l’acume virgiliano), che travolge una lingua che non sa più dire per offrirla in sacrificio nel suo andare, con una voce che “abita a ritroso”, verso la sorgente di ogni domanda».
AA.VV., Mamma che rover! Storie, racconti e visioni da un campo scout, Giazira
Le storie nascono da un atto d’amore. La vita di un personaggio, i luoghi che attraversa, le avventure che vive, tutto si sviluppa da un atto d’amore. Quello del narratore, che coltiva la sua storia con una dedizione tale da donarla al mondo nel momento in cui tutto nella sua testa diventa bello al punto da essere incontenibile. Da qui viene l’esigenza di condividere una storia ed è così che il mondo diventa più ricco: grazie alle storie che i narratori concepiscono, amano e condividono. Ecco perché questo libro è un dono prezioso che ti offrono i tanti autori di queste storie, giovani rover degli Scout Cngei che, guidati da Cristiano Marti (editore ed esperto di scrittura creativa) hanno unito i loro immaginari e coltivato le trame che ti appresti a leggere. Fallo senza fretta. Prenditi il tempo necessario. Quello che serve allo stupore.
Le uscite di venerdì 2 febbraio
A cura di Franco e Franca Basaglia, Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Il Saggiatore
“Morire di classe”, pubblicato originariamente nel 1969, è un’opera eccezionale. Criticando attraverso immagini inequivocabili le condizioni in cui si trovavano gli ospedali psichiatrici italiani dell’epoca, fu un importante fattore nella battaglia di Franco Basaglia per far chiudere quegli istituti. Insieme un libro fotografico, politico e so- ciologico; un libro da guardare – o da cui distogliere lo sguardo – tanto quanto da leggere. Gli scatti in bianco e nero di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin – due dei più rappresentativi fotografi italiani – dove si alternano muri, porte, chiavi, corpi, materassi, alberi, camicie di forza, sguardi vivi in corpi imprigionati, furono realizzati in quattro ospedali diversi. Nel manicomio di Gorizia diretto da Basaglia i criteri di contenimento tradizionali erano stati abbandonati, mentre la reale situazione dei manicomi era evidente a Colorno, Ferrara e Firenze, dove i fotografi poterono andare solo una volta e non furono ben accolti. Le foto e i testi, selezionati da Basaglia stesso (tra gli altri sono raccolti brani di Erving Goffman, Michel Foucault, Primo Levi, Jonathan Swift, Rainer Maria Rilke e Peter Weiss), impongono al lettore una presa di coscienza inevitabile: perché la società e la psichiatria sono molto cambiate, ma la domanda sul rapporto tra follia e società e sulla funzione della cura e delle istituzioni non ha perso di senso.
Roberto Piumini, Panegimo e altri poemi, Scalpendi editore
C’è un luogo felice della letteratura, in cui scrittura poetica e narrazione sono rimaste unite. Lì, la voce (fiato/suono/corpo/ritmo) non si limita alla cronaca lirica, all’avvenimento del sé, ma racconta storie, allarga il gioco all’avventurosa diacronia del mondo. Dopo i suoi sonetti (nostrani ed elisabettiani) raccolte di canti, parodie (il Melangolo, Interlinea, Feltrinelli) dopo la traduzione dei Sonetti e di Macbeth di Shakespeare, di Paradiso perduto di Milton, di poemi di Browning, de l’Aulularia con finale apocrifo di Plauto (Bompiani, Einaudi) e i poemi de “Il piegatore di lenzuoli” (Marietti1820) Roberto Piumini propone ai lettori adulti l’oralità ricca e soddisfacente della poesia narrativa. A Panegìmo, nella prima storia, accade di scrivere una poesia di tre versi, diassoluta perfezione. Per pubblicarla degnamente, intraprende un lungo viaggio, durante il quale i primi due versi perdono tutta la loro bellezza: nel primo caso salvandolo da una condanna a morte, nel secondo facendo innamorare una persona. Panegìmo raggiunge infine le Edizioni Stellari, dove l’ultimo verso incontra l’incresciosa avidità dell’editore, e sacrifica la perfezione che aveva conservato in un ultimo dono. Nel secondo poema, il solitario traghettatore Nemau trasporta di qua e di là del fiume, a lunghi intervalli, una viaggiatrice, diretta ogni volta a nuovi amori. A ogni passaggio, silenziosamente innamorato di lei, il traghettatore vede diminuire in lei la bellezza, l’entusiasmo e la vitalità: fino a quando, con decisione sapiente ed efficace, lui risolve la questione. Nel terzo poema, uno straordinario mascheraio è ingaggiato da una duchessa per un carnevale, in cui Bamberto cade vittima innocente di un atroce scherzo di cortigiani, ed è condannato alla decapitazione. Nel buio della cella, con l’inconsapevole aiuto del mite carceriere Sciapignac, il mascheraio prepara quello che, insieme a certe cipolle e a un fedele cavallo, lo porterà a salvezza.
Oltre ai tre poemi, il libro propone un particolare gioco. Generoso è il gioco della lettura di poesia, in cui alla vastità-intensità-intimità della parola, risponde, con risonanze, ardimenti e movimenti, la visione di chi legge. A qualcuno piace prendere appunti, scritti a bordo pagina o in spazi tipografici vuoti, su foglietti inseriti fra le pagine, persino in quaderni di lettura, straordinari libri paralleli, preziosi e personali libri-risposta. In questo libro si dà spazio, nelle pagine di sinistra, ad alcuni dei tanti possibili giochi di lettura come la scelta del verso preferito, o meno apprezzato, la modifica, soppressione o aggiunta di un verso, tra quelli della pagina a destra. Lo stesso può farsi per più versi, in libero esercizio del gusto: avendo l’accortezza di accettare la scommessa metrica, rispettando il ritmo in endecasillabi del poema. Al di fuori di questi (o altri possibili) interventi sul testo, lo spazio di sinistra può servire a osservazioni linguistiche, critiche, riferimenti narrativi, notazione di ricordi o sviluppi di fantasia, e così via, in un’agenda operativa, linguistica e emotiva, pagina dopo pagina, del libro. Un’agenda che, oltre ad arricchire il contenuto espressivo del libro coi suoi momenti di gioco e memoria, lo renderebbe enormemente più ricco in quella situazione che, per un libro di poesia, è tra le più preziose: essere prestato, o regalato, a una persona amica o amata.
Vincenzo Levizzani, Quando fuori piove. Storia e futuro della pioggia, Il Saggiatore
Dopo averci accompagnati all’interno delle nubi e averci insegnato a riconoscerle, Vincenzo Levizzani ci porta ora alla scoperta di uno dei fenomeni più rilevanti non solo per la vita stessa del pianeta, ma anche per i sistemi culturali, religiosi e artistici di tutta l’umanità: la pioggia. Dal diluvio universale biblico alle danze sciamaniche per invocarla, dal culto di Giove Pluvio agli dèi precolombiani: l’umanità ha sempre avuto consapevolezza dell’importanza e del fascino della pioggia. E anche del suo potenziale distruttivo. Partendo dalla cultura e dall’arte per arrivare alla scienza e alla meteorologia, Levizzani racconta tutto quello che possiamo desiderare sapere sulla pioggia. Sul suo passato e sul suo futuro, su cosa significano siccità e temporali per il domani della Terra, su come si generano e come cambiano il mondo intorno a noi.
Julio Llamazares, Diversi modi di guardare l’acqua, Il Saggiatore
“Diversi modi di guardare l’acqua” è il romanzo di un malinconico ritorno a casa, il racconto corale di come la memoria attraversi sempre le generazioni. L’anziano contadino Domingo è morto con un desiderio in- compiuto e i suoi familiari si incontrano per provare a esaudirlo, almeno postumo: la moglie, che con lui ha condiviso tutto; i figli, che hanno abbandonato progressivamente la casa di famiglia per lavorare in città; i nipoti, così distanti dalla sua concezione di vita eppure ancora capaci di comprenderla e ammirarla. Si radunano tutti davanti a un piccolo lago racchiuso dalle montagne, sul cui fondo giacciono invisibili agli occhi degli estranei le rovine di villaggi abbandonati e i ricordi dei vecchi abitanti come Domingo, al quale un giorno qualcuno ha ordinato di andarsene e farlo subito; la loro città sarebbe stata sommersa per la costruzione di una gigantesca diga, e loro avrebbero dovuto ricominciare la loro vita da un’altra parte. Gli eredi di Domingo si riuniscono sulle sponde di quel la- go per restituire il defunto al luogo cui è sempre appartenuto con lo spirito, ognuno di loro costretto nel mentre a confrontarsi su quella riva con il trauma che ha segnato la storia della famiglia. In questo romanzo Llamazares raccoglie le loro voci e i loro ricordi, la loro malinconia avvolta dallo stesso silenzio che circonda il paesaggio, disegnando così i contorni di una figura ingombrante e carismatica, un uomo duro ma gentile, saldo ma fragile, simbolo di un’epoca giunta alla fine, che non per questo è concesso dimenticare.
Federico Maria Sardelli, Vivaldi secondo Vivaldi. Dentro i suoi manoscritti, Il Saggiatore
Antonio Vivaldi è stato forse il compositore più oggetto di equivoci di lettura e deliberati fraintendimenti tra quelli del suo tempo. Riscoperto relativamente di recente rispetto a Bach o Händel, infatti, la sua musica ha subito per decenni letture estremizzate e approcci superficiali. Ancora oggi ci si inganna credendo che sia un autore facile o leggero, e le sue partiture poco più di tracce stenografiche da integrare con ornamentazioni, improvvisazioni, effetti speciali e ogni tipo di licenza interpretativa. Federico Maria Sardelli, tra i più autorevoli studiosi e interpreti del maestro veneziano, con quest’opera ridà il giusto valore alle intenzioni di Vivaldi. Grazie a una ricognizione minuziosa sulle sue istruzioni musicali manoscritte, Sardelli rivela come le partiture siano, in genere, già complete di molte indicazioni utili all’esecuzione. Al contrario della vulgata, infatti – e sebbene Vivaldi non abbia mai scritto un solo rigo sulla sua musica, la sua poetica, il suo modo di comporla o eseguirla –, queste carte lo rivelano come il compositore italiano barocco più prodigo d’informazioni tecniche e musicali. Guidati da Sardelli, entriamo per la prima volta in intimo contatto con i suoi manoscritti, rivelatori di un’impressionante mole di notizie, cruciali per ricostruire il suo modo d’intendere e d’interpretare le sue creazioni.
A metà tra saggio speculativo e manuale pratico, questo li- bro, che si impone anche per la brillante vena scrittoria, ci permette di avere accesso come mai prima a un universo musicale, in cui ogni effetto risulta perfettamente calibrato e ponderato per emozionare l’ascoltatore.
Le uscite di venerdì 9 febbraio
Libro copertina, Hotel DF di Guillermo Fadanelli, Arkadia
Tutto ruota attorno a un hotel nel centro di Città del Messico e ai personaggi che vi transitano: due turisti europei, un giovane artista in fuga dal successo, una ragazza benestante e un manipolo di sicari. Pare che l’hotel sia anche la base di una banda criminale, ma non è molto chiaro di quali crimini si tratti. Nonostante le premesse, tuttavia, Fadanelli ci porta da un’altra parte. Al grande autore spagnola non interessa il thriller e la violenza rimane sullo sfondo. In realtà ecco emergere un anti-thriller, in cui il vero protagonista è il caseggiato, le vite che ospita e, in senso più largo, la metropoli, con una serie di percorsi che si incrociano in modo mirabile. Città del Messico e i suoi abitanti, pian piano, prendono il sopravvento, aprendo al lettore una pluralità di punti di vista che sono narrati con maestria e capacità non comuni, immergendoci in una realtà ben più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista: l’indifferenza degli abitanti della metropoli nei confronti di ciò che li circonda, l’abbandono degli anziani, il vuoto di un mondo in cui le persone non si parlano più.
Silvia Girometti, Giacomo Leopardi e la cultura inglese, CN/OLIGO
La ricerca ha lo scopo di evidenziare il contrasto fra l’isolamento recanatese e la spaziatura degli interessi di Leopardi verso il mondo intero, a dispetto delle difficoltà che un intellettuale italiano di provincia nell’Ottocento doveva affrontare per tenersi aggiornato. In particolare, l’attenzione si concentra sull’effetto più o meno consapevole della cultura inglese sulla meditazione leopardiana, in cui il confronto con il pensiero di filosofi, estetologi o letterati anglosassoni restituisce un’accezione nuova e una trattazione originale. Offrendo stimoli per un aggiornamento sull’influenza di Leopardi alla produzione letteraria inglese successiva, lo studio si concentra sulla risposta del poeta recanatese agli autori inglesi precedenti o a lui contemporanei, in una sorta d’intervista ideale.
Deborah Levy, Cose che non voglio sapere, NN Editore
Nel primo volume della sua Autobiografia in movimento, Deborah Levy si sposta tra i suoi tre luoghi del cuore, che hanno avuto un impatto indelebile sulla sua vita. Il primo è Maiorca, l’isola dove si ritira per riflettere e ritrovarsi; il secondo è il Sudafrica, il paese della sua infanzia, segnata dall’arresto del padre militante contro l’apartheid; infine, l’Inghilterra, il paese che l’ha adottata e dove ha trascorso un’adolescenza da esule prima di scoprire la scrittura. Affidandosi alla memoria e a una penna vitale, acuta e ironica, capace di illuminare le felicità più cristalline così come le depressioni più cupe – le cose che non vogliamo sapere, quelle che rischiano di inghiottirci quando ci troviamo ad affrontare gli abissi della vita – l’autrice prova a far luce sulle ragioni della sua scrittura e delle sue scelte, nel tentativo di comprendere il suo percorso di donna e di scrittrice. Cose che non voglio sapere è un memoir femminista sulla scia di Rachel Cusk, Simone De Beauvoir e Virginia Woolf, la storia di una donna sradicata che nella scrittura trova lo strumento per far sentire la propria voce.
Libri controcopertina, Woobinda e Pulsar di Aldo Nove, Il Saggiatore
Aldo Nove, Woobinda
Ragazzi e ragazze pronti a uccidere i propri genitori per aver comprato il bagnoschiuma sbagliato, uomini e donne adulti che si vestono eleganti per andare a fare i turisti nel luogo di una strage, o che trasformano il proprio cellulare in un sex toy. Tutto questo e molto altro è contenuto nelle pagine di “Woobinda”, tornato in libreria grazia a Il Saggiatore. Un libro che dalla sua prima comparsa, nella stagione cannibale del 1996, non ha mai smesso di provocare, disturbare e divertire, raccontandoci la violenza del capitalismo e la dissoluzione umana. Come un televisore in preda allo zapping, Aldo Nove ci mette davanti a un vortice di storie esilaranti e mostruose che non concedono mai un lieto fine e sul cui fondo, come un jingle fastidioso, passa la storia di quegli anni: l’incidente di Vermicino, la guerra del Golfo, l’ascesa politica di Berlusconi. Un carosello di banalità e goffaggini, solitudini e crudeltà, capace allo stesso tempo di spaventare e suscitare tenerezza; di mostrare il vero aspetto di una società schiacciata tra il consumismo e lo schermo televisivo, con il pericolo di riconoscervi ciò che eravamo e chiederci che cosa mai siamo diventati.
Scrittore e poeta, Aldo Nove (Viggiù, 1967) tra i suoi libri in prosa ha scritto “La vita oscena” (2010) e “Amore mio infinito” (2022). Tra quelli di poesia ricordiamo “A schemi di costellazioni” (2010), “Poemetti della sera” (2020) e “Sonetti del giorno di quarzo” (2022). Il Saggiatore ha in corso la pubblicazione della sua intera opera e sempre il 9 febbraio pubblica l’ultimo romanzo “Pulsar”.
Aldo Nove, Pulsar
Pulsar comincia nel 1967. In quell’anno nasce la voce che racconta questa storia. Una voce che racconta dell’amore per sua madre, per i suoi nonni; che parla di Viggiù e della sua infanzia. L’infanzia è infatti la stella pulsante nelle vite di ciascuno di noi, le cui onde influenzano chi siamo e soprattutto chi saremo. Il racconto di questa voce si forma anno dopo anno, perché nella vita di un bambino ogni anno è un secolo e una rivoluzione, ogni anno è un’esplosione di vita incontrollabile. Poi, a un certo punto, si interrompe: l’infanzia finisce, e la voce capisce che anche lei deve trasformarsi. Deve farsi storia di tutti, deve raccontare il percorso di un’umanità verso un futuro sempre più incomprensibile e pieno di violenza. Allora si passa dall’«io» al «noi», dalla storia individuale alla narrazione per decadi, con le loro catastrofi. Si passa alla speranza di continuare a sentire l’eco della stella che pulsa, alla speranza che l’infanzia non finisca e che, anzi, possa cambiare la collettività, la storia e l’avvenire. L’infanzia che è il gesto d’amore supremo. La stella che non muore.
Salvatore Massimo Fazio
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Venerdì 26 febbraio, presero la “Sala Contemporanea” di Opificio Innova a Cagliari, è stato presentato il libro: “ERANO GLI ANNI”, dello scrittore Daniele Congiu, edito da “Arkadia Editore”. L’incontro è stato moderato da Giacomo Pisano. Durante la serata, Evelina Bassu ha letto alcuni passi del libro. Congiu ambienta il proprio romanzo, in un quartiere popolare di Cagliari “San Michele”, ispirandosi alla sua vita personale con fatti e personaggi puramente inventati, ovviamente romanzato. Racconta una “saga familiare”. Nel romanzo, personaggi ironici, come Nonno Leonardo. Una storia, dove emerge un contrasto tra generazioni. Una storia si divertente, ma raccontata brillantemente con serietà e profondità, ma anche tanta semplicità. vincente poi, la scelta della copertina, una foto di lui bambino che corre in spiaggia, visto che racconta aneddoti di vacanze estive al mare, esattamente a “Cala Cipolla” (Domus De Maria – Pula) Noi siamo riusciti ad intrattenerci, con lo scrittore:
«Il romanzo è una Saga familiare, che racconta la storia di Cagliari, dai primi del ‘900 a oggi. Raccontata però, dal punto di vista di un bambino dii dieci anni, in modo ironico e molto divertente»
Daniele Cardia
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PISTOIA – Giovedì 1 febbraio alle ore 17 nella Sala Manzini della biblioteca San Giorgio, presentazione del libro “Il babbo di Pinocchio” di Paolo Ciampi (Arkadia, 2023). Dialogano con l’autore, Rossella Chietti presidente dell’associazione Amici della San Giorgio e Giuseppe Previti. L’evento è stato curato dall’associazione Amici della San Giorgio, in collaborazione con Giallo Pistoia.
È la notte di San Lorenzo, una notte di festa nel cuore della torrida estate fiorentina, la città come sempre presa d’assalto dai turisti. Due uomini si siedono sulla stessa panchina, osservano il mondo che passa intorno a loro, cominciano a chiacchierare. Chi parla è un giornalista dei nostri anni, che avrebbe preteso di più dal suo lavoro e comunque dalla vita. Ma possibile che l’altro sia Collodi? Perché no? Sono tante le cose che possono succedere nella notte di San Lorenzo a Firenze, se si ha voglia di crederci. Soprattutto se si vagabonda fino all’alba, nei luoghi che furono di Collodi e poi di Pinocchio. Fino a scoprire la Firenze che era nella Firenze che è. Oppure l’uomo dietro lo pseudonimo Collodi, Carlo Lorenzini, una creatura fragile e notturna, segnata da innumerevoli delusioni annegate nell’alcol. Eppure capace di regalare sorrisi e sogni, con il suo sguardo ironico e la battuta pronta che da sempre è nello spirito dei fiorentini. Un viaggio in una Firenze insolita, nell’esistenza del grande scrittore e della sua principale creatura, Pinocchio, capace di regalarci ancora oggi, in tempi così complicati, un esempio autentico di vita.
Il link alla segnalazione su Report Pistoia: https://bitly.ws/3bq7W
Notte di San Lorenzo, si festeggia nella consueta torrida estate fiorentina, ricca come sempre di chiasso e di turisti.
Due uomini, nel loro girovagare, capitano a far sosta sulla medesima panchina, e, mentre osservano la moltitudine di
gente che passa attorno a loro, cominciano a chiacchierare. La voce narrante è quella di un giornalista dei nostri
giorni, a cui il suo occasionale interlocutore sembra assomigliare a Collodi. Possibile che sia lui ? Tutto può accadere nella notte di San Lorenzo a Firenze, basta volerlo credere….§
Specie, se, si comincia a girare per Firenze e, massimamente, se si gira per quelli che furono i luoghi di Collodi e del suo Pinocchio, ed è quello che faranno i nostri nuovi amici. E così arriveranno a scoprire la Firenze che era nella Firenze che è! E anche chi è in verità quest’uomo di nome Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Una creatura fragile e…notturna, segnata da tante delusioni….affogate nell’alcol. Ma anche capace di far sorridere e sognare. Uno sguardo sempre ironico, la battuta pronta e scanzonata dei fiorentini, mentre i due camminano per una Firenze insolita, nel segno del grande scrittore e della sua creatura, quel Pinocchio che ancora oggi resta un esempio di come si debba vivere. Un giornalista fa due passi per Firenze in una caldissima notte di Sal Lorenzo e si ferma su una panchina. Qui è seduto un omino un po’eccentrico nel vestire, che bofonchia qualcosa “Collodi, maledizione, ancora Collodi. Perché
non mi ricordano con il mio nome. Carlo. Carlo Lorenzini”. Già. colui che ha scritto uno dei libri più conosciuti
nel mondo, trentacinque milioni di copie vendute, “Le avventure di Pinocchio”.
PAOLO CIAMPI si immagina questo incontro e le relative conseguenze ne IL BABBO DI PINOCCHIO, dando a vedere di essersi palesemente divertito nello scriverlo, e tratteggiando una Firenze magica, dalle molte facce e quasi senza
tempo, pur nel trascorrere degli anni.
Conosciamo così un Collodi deluso perché si è sentito poco considerato , pur se ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Ma rivolgendosi al suo interlocutore si consola dicendo ” …del resto fu così anche per Dante…”
E così Lorenzini affoga i suoi rimpianti nell’alcol e inizia questo girovagare notturno tra Collodi e il giornalista
fiorentino Paolo Ciampi, con un continuo dialogare che ci fa entrare in due esistenze diverse, con un comune denominatore, Firenze, che, pur vista in tempi diversi, è pur sempre una sola.
E noi la vediamo attraverso gli occhi dei due protagonisti che ci illustrano la loro vita(particolarmente frustrato
anche nei rapporti familiari il Lorenzini)ma anche le piazze, i palazzi, le vie, i monumenti.
Questa di PAOLO CIAMPI sembra una favola che ci porta avanti e indietro nel tempo, magnificando intanto la città, che viene descritta con una passione e un amore infiniti, partendo da uno spunto, che già fa colpo di per se stesso. Due
interlocutori di secoli diversi si incontrano nella lunga notte di San Lorenzo, e Lorenzini ne appprofitta, in una sorta di…autointervista, per raccontare se stesso, la sua vita, il suo capolavoro.IL tutto in una serata ricca di
ricordi, pensieri, impressioni, che i due protagonisti si scambiano. Di Lorenzini apprendiamo tanti aspetti della sua
vita, con lui che si lamenta che sia stata sempre poco conosciuta e poco considerata. Una serata che interesserà e divertirà il lettore, raccontata con uno stile narrativo perfetto, e con la capacità di restituirci quella che era
la Firenze del Lorenzini.
Bravi Ciampi/Lorenzini per questa originale godibilissima lettura!
Il link alla recensione su Il blog di Giuseppe Previti: https://bitly.ws/3bq6x
Giuseppe Previti
C’è chi cerca di sfuggire dalla propria vita e chi, al contrario, cerca una tana in cui rifugiarsi: in “Un posto difficile da raggiungere” (Arkadia editore) il quarantanovenne Gianluigi Bodi esplora la necessità che ognuno di noi coltiva dentro di sé di trovare un proprio posto del mondo, la maggior parte delle volte senza neanche avere ancora coscienza di quale sia la strada giusta da percorrere per riuscirci. Attraverso i 15 racconti che compongono l’antologia, lo scrittore ci porterà a riflettere sulla vita, sulle scelte, sulle ansie, sulle pressioni sociali a cui veniamo ogni giorno sottoposti, accompagnandoci per mano dalla prima all’ultima pagina con una scrittura profondamente introspettiva ma al tempo stesso leggera, tinta da un velo di ironia.
Bodi, il filo conduttore tra le sue storie si può sintetizzare nel bisogno di “casa”?
«Quello che mi ha permesso di costruire una raccolta omogenea è la ricerca di un proprio posto nel mondo, come enfatizza il titolo. Il posto di cui parlo è difficile da raggiungere e non è necessariamente rintracciabile da chiunque: il fatto di tentare di trovare la propria strada non assicura di riuscire a raggiungerla. Dunque, la spasmodica ricerca di equilibrio emerge tra i racconti come fondamentale».
Perché raccontare delle persone in cerca di qualcosa?
«Mi hanno sempre affascinato i personaggi consapevoli di essere alla ricerca di qualcosa, dotati di un certo equilibrio interiore che non si riversa necessariamente nell’andamento delle proprie vite. Li ho amati fin da piccolo, dai primi romanzi che ho letto. Mi è sembrato naturale raccontare, quindi, quella parte di umanità, che non ha tutto sotto controllo e non sa perfettamente cosa stia facendo. Va per tentativi, piuttosto. Spero che dai racconti si colga che, a volte, questa ricerca a tratti cieca rappresenta già una vittoria personale: il sol fatto di rendersi conto di dover compiere un passo in qualche direzione è un piccolo successo. Poi, mi auguro che questi personaggi fallati, più che falliti, e leggermente fuori fuoco possano ricevere un po’ di affetto da parte dei lettori».
Si è lasciato ispirare da qualche episodio reale?
«Nessun personaggio è volontariamente ispirato a qualcuno di reale, ma una volta completata la scrittura, rileggendo i racconti, mi sono reso conto che in ognuno di loro è racchiusa una piccola parte del percorso che io ho compiuto fino ad oggi. Di fatto, non ci sono degli elementi propriamente autobiografici, ma cerco più che altro di raccontare una certa sensazione che ho provato e che credo faccia parte del percorso di ognuno di noi. Dopotutto, è inevitabile scavare nel passato quando si scrive, anche senza rendersene conto».
Alessandra Farro
Il link all’intervista su Il Mattino: https://bitly.ws/3bbrE