Nelle scorse settimane si è rimesso in moto il mondo dell’editoria. Tra i romanzi da recuperare ci sono il ritorno del Premio Pulitzer Michael Cunningham e un inedito di Stefano D’Arrigo rispolverato dagli archivi fiorentini, ma anche storie che si interrogano sul rapporto tra padri e figli, racconti di rinascita al femminile e riflessioni sullo sviluppo della tecnologia
Gennaio ha rimesso in moto il mondo dell’editoria, portando sugli scaffali delle librerie nuove storie da tutto il mondo. Tra i romanzi da recuperare ci sono storie che si interrogano sul rapporto tra padri e figli, ognuna mettendone in luce sfumature diverse: I folgorati di Susanna Bissoli, Messaggio per mio figlio di Alejandro Zambra, Quello che serve di notte di Laurent Petitmangin e Tangerinn di Emanuela Anechoum. Poi ci sono storie di rinascita, come quelle di A casa di Judith Hermann e Cuore nero di Silvia Avallone; c’è un inedito di Stefano D’Arrigo appena uscito dagli archivi e c’è il ritorno del Premio Pulitzer Michael Cunningham. Sono solo alcuni dei romanzi che leggeremo a febbraio (QUI QUELLI CHE VI AVEVAMO CONSIGLIATO A GENNAIO).
Cuore nero – Silvia Avallone
Nascosto tra le montagne, raggiungibile solo attraverso una ripidissima strada sterrata, c’è il minuscolo borgo di Sassaia, immobile nel tempo e nello spazio con le sue casette arroccate. Lontano da tutto e da tutti. Per questo quando un giorno sbuca Emilia la sorpresa di Bruno, che lì si è rintanato isolandosi dal mondo, è forte. Chi è questa donna dai capelli rossi e dall’accento straniero, magrissima, adulta nel corpo di un’adolescente? Quando si incontrano entrambi vedono negli occhi dell’altro un abisso. Tutti e due sono segnati dal male. Solo che Emilia il male lo ha compiuto di mano propria, Bruno lo ha subito. Lei è stata in carcere a lungo per espiare le sue colpe, lui si è rintanato ai confini dell’universo, lì a Sassaia. Quando iniziano a frequentarsi, Emilia fa di tutto per nascondere a Bruno il suo passato. Ma non esiste amore senza verità. Silvia Avallone torna in libreria per Rizzoli con Cuore nero.
I folgorati – Susanna Bissoli
Vera decide di tornare a casa del padre Zeno quando scopre di essere di nuovo malata. Le è tornato il cancro al seno, lo stesso che ha già ucciso sua madre e altre donne della sua famiglia. Anche Zeno – burbero, testardo e dalla lingua lunga – non sta benissimo: ha una gamba sempre più malandata. Potranno aiutarsi a vicenda, pensano. Lì, in quella casa dove Zeno ha vissuto a lungo da solo, Vera scopre decine di quaderni pieni di parole. È un romanzo, scritto dal padre. Come è possibile? Ha solo la quinta elementare. Lui le affida il compito di trascrivere al computer i manoscritti. D’altronde lei ha sempre voluto essere una scrittrice. Vera e Zeno sono i due protagonisti de I folgorati di Susanna Bissoli, in libreria per Einaudi.
A casa – Judith Hermann
A casa di Judith Hermann – pubblicato da Fazi Editore, con la traduzione di Teresa Ciuffoletti – ruota intorno a una donna di cui non ci verrà mai detto il nome. Di lei però si sa più o meno tutto il resto. Ha da poco lasciato il marito e pensa sempre alla figlia, intenta a girovagare per il mondo. Ha trascorso una vita isolandosi e nascondendosi dagli altri, come ha scelto di fare anche dopo la fine del matrimonio: si è trasferita in una casa al mare, poco lontano dal paesino dove quello sfaccendato di suo fratello ha aperto un pub. Una notte succede qualcosa che rompe la crisalide dove si era rintanata. Apre gli occhi sul paesaggio che adesso è la sua casa. Lo vede con occhi diversi. Stringe amicizia con Mimi, la vicina di casa. C’è spazio addirittura per l’amore nella sua rinascita al contrario.
Il compratore di anime morte – Stefano D’Arrigo
Ci sono storie che restano nascoste per anni prima di vedere la luce. Sono rimaste per la precisione nell’archivio del Gabinetto Vieusseux di Firenze quelle de Il compratore di anime morte di Stefano D’Arrigo (Rizzoli), adattamento de Le anime morte di Nikolaj Gogol’ in cui l’autore siciliano dispiega tutta la vena satirica che lo consacrò nel secolo scorso. Cirillo, rimasto orfano della Madonna, non ha mai smesso di sperare in un’adozione. Nemmeno dopo aver compiuto 30 anni. Per un curioso colpo di scena, in un viaggio che lo porta tra la Sicilia e Napoli dell’800, tenta la scalata della sfera nobiliare borbonica. Si sparge la voce della sua abilità di azzeccare tutti i numeri del lotto. Il principe Don Ettorino di Margellina, che giocando si è bruciato tutto, decide di adottarlo. Cirillo ha un’idea che dovrebbe risanare le finanze disastrate del principe: vendere allo Stato le anime morte della Sicilia, cioè i cittadini scomparsi dopo l’ultimo censimento. Si può guadagnare molto su di loro, facendo leva su una legge mal scritta. Sullo sfondo dell’arrivo di Garibaldi sull’isola, si insinua in un’aristocrazia vuota e stressata da debiti e pettegolezzi. Conoscerà anche l’amore.
Il cliente Busken – Jeroen Browers
Busken è un erudito latinista e un sommo poeta che si esprime attraverso codici segreti. Non solo: è anche un ingegnere robotico e un neurochirurgo. Così la pensa lui. Per gli altri non c’è nulla di vero in tutto ciò: i medici di Villa Madeleine, casa di cura in cui si ritrova intrappolato suo malgrado, lo vedono come uno dei tanti pazienti dementi di cui si occupano. Forse un po’ più mitomane rispetto agli altri. Busken è arrabbiato e non capisce cosa ci fa in mezzo ai rincitrulliti. Decide quindi di chiudersi in un inscalfibile silenzio e di fingersi incapace di intendere e di volere. Attraverso la lente di un problema agli occhi che gli fa vedere il mondo tinto di blu, Il cliente Busken dell’olandese – defunto – Jeroen Browers (Iperborea, con le traduzioni di Claudia Di Palermo e Francesco Panzeri) sfodera un humor nero che non risparmia nessuno, dai medici agli altri pazienti. Intanto con la mente torna indietro a quando la mamma non gli dava l’amore di cui aveva bisogno, andando a segnare il tragitto di un’esistenza futura passata tra libri e deliri. Scappando dal dolore.
Day – Michael Cunningham
Bastano tre giorni dentro le vite degli altri per capire che ne sarà di loro. Forse non è sempre davvero così, ma lo è nel caso di Dan e Isabel, i protagonisti di Day di Michael Cunningham, che torna in libreria a nove anni da Un cigno selvatico per La Nave di Teseo, con la traduzione di Carlo Prosperi. Li conosciamo il 5 aprile 2019, nella loro casa tipicamente in mattoni di Brooklyn. Il loro matrimonio un tempo felice si sta sgretolando lentamente. Tutti e due sembrano essere attratti soltanto da Robbie, il ribelle fratello minore di Isabel, in procinto di lasciare il loro attico. Solo la sua presenza, e non quella dei figli, sta facendo da collante a una storia d’amore in appassimento. Un anno dopo, il 5 aprile 2020, il mondo è in lockdown per il coronavirus. Dan e Isabel, entrambi frustrati, sono bloccati insieme. Robbie è invece in Islanda, bloccato anche lui, in una baita di montagna, mentre porta avanti una vita segreta su Instagram. Il 5 aprile 2021 è il punto di arrivo di questo romanzo con struttura a trittico simile a quella de Le Ore, che a Cunningham valse il Pulitzer.
Corpi mobili – Jane Sautière
La Nuova Frontiera riporta in Italia Corpi mobili, l’ultimo scritto di Jane Sautière, dove memoria corale e storia personale si intrecciano nel racconto degli anni dell’autrice a Phnom Penh, dove ha vissuto dal 1967 al 1970. Ombre, forme, oggetti sono i corpi mobili del titolo, simboli di persone e sensazioni che hanno riempito il passato di Sautière e che adesso vivono sulla carta stampata per non essere mai dimenticati. I fratelli morti prima che potesse conoscerli, i genitori, gli amori. La vegetazione e i colori della città, il sapore esotico dei frutti, l’umidità del Vietnam. La traduzione è di Silvia Turato.
Tangerinn – Emanuela Anechoum
C’è dell’umoristico, del tenero e del tragico nell’esordio letterario di Emanuela Anechoum, Tangerinn (edizioni e/o). Mina si è trasferita da un piccolo paese del Sud Italia a Londra, dove è riuscita a ritagliarsi il suo spazio tra i “giusti”. A 30 anni, la madre la avvisa che il padre è morto. Torna a casa per i funerali, ma alla fine rimane più del previsto in quel paesino sul mare dove rimette insieme i pezzi di cosa è rimasto del padre e ne ricostruisce la memoria. Lui era arrivato in Italia dal Marocco, poi aveva aperto un bar sulla spiaggia che nella sua testa sarebbe diventato un posto sicuro per chi, arrivato da lontano come lui, non si sentiva a casa. Mina fa così i conti con le sue molteplici origini e ritrova pian piano i pezzi che compongono quel misterioso uomo che era suo padre.
Erano gli anni – Daniele Congiu
Daniele Congiu torna nella sua Cagliari e affida a un bambino di 10 anni il compito di raccontare le vicende di una famiglia caduta in rovina. Mentre il protagonista di Erano gli anni (Arkadia) cresce, ci si sposta tra epoche storiche: l’inizio del ‘900, il fascismo, i favolosi ’60, la modernità. Tutto da un quartiere periferico del capoluogo sardo, dove attraverso la voce del protagonista si sviluppano riflessioni sull’infinito antagonismo generazionale, la povertà, il bullismo. Con un approccio costruttivo: in lui c’è un senso di giustizia e il desiderio di trovarsi uno spazio in cui essere libero.
Messaggio per mio figlio – Alejandro Zambra
Alejandro Zamba mischia poesia e narrativa per provare a mettere nero su bianco cosa vuol dire padre e al tempo stesso essere figlio. Il narratore di Messaggio per mio figlio (Sellerio, tradotto da Maria Nicola) entra nei meandri di questo complicato rapporto partendo dai primissimi momenti insieme al figlio Silvestre (anzi anche da prima, dall’incontro con quella che sarebbe diventata la madre). Poi si passa alla relazione con suo padre, dimenticato e incompreso tra i litigi e le riconciliazioni che si alternano negli anni, che intanto è diventato nonno.
Quello che serve di notte – Laurent Petitmangin
In Quello che serve di notte di Laurent Petitmangin il rapporto tra padre e figli diventa l’espediente per calarsi in una riflessione più ampia sul ritorno delle formazioni di estrema destra in Europa. Qui siamo nella Francia operaia della Lorena, dove un vedovo socialista convinto fa del suo meglio per crescere i due figli: Gillou è molto simile a lui, Fus sta iniziando a causare un po’ di problemi. È entrato nel Front National. Un gran casino, soprattutto quando finisce in prigione accusato di aver ucciso un ragazzo di idee politiche opposte che prima lo aveva picchiato. In libreria per Mondadori, con la traduzione di Elena Cappellini.
La tua faccia ci appartiene – Kashmir Hill
Dal catalogo di Orville Press arriva un libro che piacerà a chi si appassiona con i dibattiti su intelligenza artificiale e futuro della tecnologia: La tua faccia ci appartiene di Kashmir Hill (tradotto da Vittoria Parodi) ha il gusto del thriller distopico e complottista caro ai fan di Black Mirror e simili. L’autrice scava nella storia dell’oscura startup Clearview AI, e del suo misterioso fondatore Ton-That, in una precisissima ricostruzione – che a leggerla sembrerebbe un romanzo, se non fosse vera – e analisi sul controverso rapporto tra uomo e progresso tecnologico.
Sequestro alla milanese – Piero Colaprico
Tutti conosciamo Tangentopoli. Non tutti sappiamo che a coniare il termine fu Piero Colaprico, giornalista di cronaca nera che su consiglio del collega Oreste Del Buono negli anni ’90 decise di lanciarsi anche nella scrittura di romanzi. Baldini + Castoldi ha deciso di ripubblicare il suo Sequestro alla milanese, che torna proprio nella Milano del 1992, subito prima che il sistema della Prima Repubblica crollasse per Tangentopoli. Qui si parte dal rapimento del figlio dell’assessore Marino Malesci per immergersi nel mondo della malavita del capoluogo lombardo, speculare a quello della politica arrogante e corrotta.
Giacomo Cadeddu
Il link alla segnalazione sul Corriere della Sera: https://bitly.ws/3cekU
Il volume di prose di Granatelli si presenta come a voler essere una raccolta di istantanee scattate nell’attraversamento della propria vita quotidiana fatta proprio di “Nomi, cose, musiche e città” come esplicita il titolo ammiccando al gioco che tutti abbiamo fatto da bambini e forse anche a volerci ricordare proprio il giocare e l’essere sempre e comunque bambini di fronte alla grandezza del mondo. Chi frequenta l’autore anche nei suoi lavori in poesia sa però quanto questa istantaneità vada a toccare il nodo profondo dell’ineluttabilità del tempo che Granatelli sempre indaga come onda di ricordo, prospettiva di un futuro non definibile e stasi nello stare sul momento, nell’essere presente a se stesso. Non si tratta quindi di mere cronache, o meglio solo all’apparenza, bensì di quadri di riflessione, di appunto dai quali partire e tirare somme sul proprio percorso, culturale e umano. Se le canzoni vengono chiamate in causa dal titolo (e la scelta è sempre raffinata e non scontata), tutti i racconti sono attraversati da fini citazioni tra le righe di romanzieri, filosofi e poeti. Occorre saperle vedere oppure sistematicamente cercarle. Lo stile rapido e asciutto, parco, diretto. Ci si trova a immaginare Granatelli come un moderno flaneur capace di cogliere la scintilla della bellezza nei piccoli scambi col tassista o alla fermata della metro anche se la realtà è quanto di più lontano da questo. Per quanto già nella premessa ci venga presentato come una raccolta autobiografica nella realtà dei fatti ciascun racconto potrebbe realmente essere inventato poiché vero. Finzione e realtà potrebbero andare comodamente a braccetto. Per chi si occupa di libri e di scritture questo è un volume che chiede di essere ripreso in mano più volte, non per complessità, ma per rispecchiamento. Per ritrovare quella umanità data dalla nominazione delle cose, quelle cose che definiamo come piccole, comuni, che però ci fanno restare persone malgrado il nostro incessante andare, il dover portare a termine i lavori, l’essere presenti e attenti. Ecco Granatelli si confronta anche nella prosa coi suoi grandi temi: tempo, fragilità e vita. E lo fa in maniera leggiadra come una ballerina danza contemporanea che sale sulle punte e fa sognare.
Cristina Daglio
Il link alla recensione su Almanacco Punto: https://bitly.ws/3c2AY
La rosa dei 20 autori tra i quali saranno scelti tre finalisti per la 36esima edizione
Il Comitato tecnico del Premio Letterario Chianti, esaminati i testi di narrativa editi nel periodo dall’1 gennaio 2022 al 30 giugno 2023, ha compiuto una seconda selezione sui quaranta testi scelti, portando a 20 la rosa degli autori e delle loro opere, di seguito proposti in ordine alfabetico. Da questa lista il Comitato trarrà, dopo ulteriori opportune selezioni e confronti, i tre autori finalisti, i cui nomi saranno comunicati entro il mese di febbraio 2024.
1- Baldelli Simona – Il pozzo delle bambole – Sellerio
2- Bicchi Luigi – Il noce dell’alderga – NIE
3- Borrasso Francesco – Sott’acqua – Giulio Perrone editore
4- Bortolotti Nicoletta – Un giorno e una donna – HarperCollins
5- Camurri Roberto – Qualcosa nella nebbia – NN editore
6- Casadio Paolo – Fiordicotone – Manni
7- Fallai Paolo – Un inverno lungo un anno – Solferino
8- Gori Leonardo – La libraia di Stalino – Tea
9- Lepri Roberta – DNA Chef – Voland
10-Lupo Giuseppe – Tabacco clan – Marsilio
11-Manganelli Lietta – Aspettando che l’inferno cominci a funzionare – La nave di Teseo
12-Nata Sebastiano – Memorie di un infedele – Bompiani
13-Ossorio Antonella – I bambini del maestrale – Neri Pozza
14-Gigi Paoli – La voce del buio – Giunti
15-Pignatelli Anna Luisa – Il campo di Gosto – Fazi
16-Sartori Giacomo – Fisica delle separazioni in otto movimenti – Exorma
17-Scudeletti Massimiliano – La laguna dei sogni sbagliati – Arkadia
18-Soriani Melania – Bly – Mondadori
19-Spampinato Lorena – Piccole cose connesse al peccato – Feltrinelli
20-Tuti Ilaria – Come vento cucito alla terra – Longanesi
Il Premio letterario Chianti è promosso dai Comuni di Greve in Chianti (Firenze), Unione Comunale Barberino V.E -Tavamelle Vel di Pesa (Firenze), Castellina in Chianti (Siena), Gaiole in Chianti (Siena), Impruneta (Firenze), Radda in Chianti (Siena), San Casciano Val di Pesa (Firenze), Castelnuovo Berardenga (Siena) e dall’Associazione Culturale Stazione di Posta di Firenze con l’ideatore del Premio Paolo Codazzi, con il coinvolgimento delle loro biblioteche. Nell’organizzazione della manifestazione il Rotary San Casciano – Chianti.
Il link alla segnalazione su MET: https://bitly.ws/3ceL9
Nehibernujeme, překládáme a redigujeme, abyste měli co číst. První kniha už brzo!
Co si počít s přejetým jezevcem? Dá se umřít tmou? A kam se poděly všechny světlušky?
Zádrhely jsou tvořeny tematicky a stylisticky různorodými povídkami, ty však dohromady skládají mozaiku úzce i volně propojených příběhů. V jejím centru je parta kamarádů a její půdorys je vesměs vymezen Monferratem, svérázným a lidnatým krajem s dlouhou a bohatou historií, který se spolu se sousedními Langami proslavil dobrým vínem a dobrými spisovateli, jako jsou třeba Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Umberto Eco, Pino Cacucci nebo právě Gian Marco Griffi. Jeho Zádrhely jsou nepatetickým vyznáním lásky Monferratu a Monferraťanům, jejichž smysl pro nadsázku a absurdní humor i dar vyprávět historky by českému čtenáři nemusely být cizí, stejně jako ho může potěšit, že protagonisty jednoho z příběhů jsou fiktivní čeští literáti. Témata povídek jsou často vážná až tragická, mají v nich místo nemoc, katastrofa, válka, smrt, ale jsou zpracována především jako literární topoi, jelikož dalším pojítkem jednotlivých textů je čtenářská a spisovatelská vášeň. Některé povídky mají přímo metaliterární charakter, a přitom z nich sálá život a empirie, nejsou to stylistická cvičení. Ve vypravěčových slovech totiž nacházíme „něco bezútěšně cizího a překvapivě univerzálního […], co dospěje do té zastrčené části mozku, kde sídlí soukolí, které umí uvést do pohybu pouze literatura.
Il link alla segnalazione su Nakladatelství Meridione: https://bitly.ws/3c2A6
Negli ultimi mesi del 2023 sono usciti, a non molti giorni di distanza l’uno dall’altro, due libri che presentano una certa affinità, sia per la città di cui parlano, Firenze, sia per l’evidente affetto che gli autori, fiorentini entrambi, nutrono verso di essa, sia perché in ciascuno dei due la città è rappresentata attraverso gli occhi di altri due fiorentini illustri e grandi scrittori. Si tratta di Il babbo di Pinocchio, di Paolo Ciampi (Arkadia editore) e di A Firenze con Vasco Pratolini, di Valerio Aiolli (Giulio Perrone editore). Due lunghe passeggiate in una città ormai scomparsa, una città vivace e popolana, oggi consegnata mani e piedi ai turisti e privata, forse per sempre, della sua anima più autentica. Ma andiamo con ordine. Partiamo con Il babbo di Pinocchio: qui un giornalista che non ha voglia di andare a dormire, e nel quale riconosciamo l’alter ego dell’autore, Paolo Ciampi, nota una figura d’uomo dall’aspetto vagamente anacronistico seduta su una panchina di piazza San Lorenzo. Il giornalista non ci pensa su due volte e si mette a sedere accanto all’uomo: per un po’ stanno in silenzio, poi lo sconosciuto inizia a parlare, definendo Firenze come “la città di Acchiappacitrulli”. Un momento! La città di Acchiappacitrulli… chi è che ha coniato questo buffo nome? Possibile che… in poche parole, lo sconosciuto si rivela essere Carlo Lorenzini, per tutti Collodi, il padre di Pinocchio. I due, lo scrittore ottocentesco e il giornalista del XXI secolo, si fanno un giro per la città, ripercorrendo i luoghi di Lorenzini detto Collodi, facendo rivivere la Firenze di un tempo, confrontandola con la Firenze di oggi, così cambiata, così snaturata. La passeggiata è anche un pretesto per ricostruire la vita e l’attività letteraria di Carlo Collodi, pardon, Lorenzini, cui l’essere diventato famoso in tutto il mondo a causa del famoso burattino da lui creato va un po’ stretto. E, essendo Paolo Ciampi l’autore di questo delizioso racconto, non possono mancare le digressioni, le riflessioni, l’affabulazione caratteristica del suo modo di scrivere. Il lettore, nel mio caso la lettrice, si lascia portare in giro per la Firenze antica e moderna, si lascia sedurre dalla conversazione di questi due uomini che nel giro di una notte si fanno tutta la città a piedi, fermandosi di tanto in tanto in qualche bar a bere qualcosa. E rimane di stucco, la lettrice, specialmente se conosce Paolo Ciampi di persona e il suo sorriso disarmante, quando a un certo punto legge che a tutti quelli che lo lodano per il suo buonumore e per il suo viso sempre sorridente, il narratore replica con sarcasmo: dovrebbero vedermi a casa mia… rivelando l’indole malinconica che comunque la lettrice aveva già percepito leggendo le altre opere del Nostro. Anche Valerio Aiolli ci porta in giro per una Firenze d’altri tempi, anche se più vicina a noi rispetto a quella in cui è vissuto Lorenzini: la Firenze di Vasco Pratolini, il quartiere di Santa Croce, San Frediano, la mitica via del Corno, dove ha vissuto gli anni dell’adolescenza e dove è ambientata Cronaca di poveri amanti. Anche per Valerio Aiolli quella Firenze è svanita: «Posso darvi un consiglio?», scrive: «Non andateci, in via del Corno. Oggi via del Corno non esiste. O meglio esiste, ma non vive.» Anche in questo caso la rievocazione di una città che non c’è più, non quella dei monumenti abbaglianti per il loro splendore e dei fast food, dei negozi di vestiti e di souvenir, ma quella dei bottegai, degli artigiani, dei ragazzi che giocavano in strada. Una città amata e magistralmente ritratta da Vasco Pratolini, la cui vita e le cui opere vengono qui sapientemente riproposte al lettore, o alla lettrice, da Valerio Aiolli.
Nota dell’editore sull’immagine
Il Giardino di Boboli è un parco storico della città di Firenze. Nato come giardino granducale di Palazzo Pitti, è connesso anche al Forte di Belvedere, avamposto militare per la sicurezza del sovrano e la sua famiglia. Il giardino, che accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori, è uno dei più importanti esempi di giardino all’italiana al mondo ed è un vero e proprio museo all’aperto, per l’impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XX secolo. Il giardino di Boboli è uno dei più famosi giardini della penisola. I giardini furono costruiti tra il XVI e il XIX secolo, dai Medici, poi dagli Asburgo-Lorena e dai Savoia, e occupano un’area di circa 45.000 m². Alla prima impostazione di stile tardo-rinascimentale, visibile nel nucleo più vicino al palazzo, si aggiunsero negli anni nuove porzioni con differenti impostazioni: lungo l’asse parallelo al palazzo nacquero l’asse prospettico del viottolone, dal quale si dipanano vialetti ricoperti di ghiaia che portano a laghetti, fontane, ninfei, tempietti e grotte. Notevole è l’importanza che nel giardino assumono le statue e gli edifici, come la settecentesca Kaffeehaus (raro esempio di gusto rococò in Toscana), che permette di godere del panorama sulla città, o la limonaia, ancora nell’originario color verde Lorena.
Marisa Salabelle
Il link alla recensione su MasticadoresItalia: https://bitly.ws/3c2zc
di Paolo Codazzi
Ciò che accade prima non è necessariamente l’inizio.
Henning Mankell
Mi sono limitato come sempre a seguire il mirabile consiglio che il Re di Cuori dà ad Alice:“Comincia dal principio e prosegui finché non arriverai alla fine, poi fermati”.
Lewis Carroll
Inerpicandosi per la ripida scalinata, ingobbita dalle radici di un pigro nespolo isolato poco distante nel prato digradante il terrapieno che la sorregge sui lati, rampante all’oratorio edificato sotterrando una precedente chiesetta normanna, costruita sulle fondamenta di un tempio pagano adattato a cappella bizantina e il cui snello campanile fu aggiunto dagli arabi come minareto, quasi ascendendo nell’azzurro corrugato di nuvolaglie venose intrecciate con le scie dei numerosi aeroplani che come avvoltoi si avvicinano in lente spire attorno alle spoglie montagne modellanti una spontanea cavea all’orchestra del luminoso e seducente golfo, si voltano le spalle al mare, contenuto dalla balaustra in tufo fiancheggiante, a ridosso della scogliera, il tratto rettilineo del lungomare di quella città mediterranea nella quale molte etnie hanno ottenuto ristoro, qualunque sentimento avesse mosso il loro a volte brutale approdo.
Sui martoriati scogli si accanivano le onde di un mare assai agitato, sciabordando violenti scrosci fin oltre la carreggiata dove la graffiante e vaporizzata sonorità del transito delle auto si solveva nel salso pulviscolo sospeso per alcuni attimi insieme agli svolazzanti gabbiani, per poi ricadere rinfrescando i passanti dalla sciroccosa umidità per altri versi stimolante acute sensazioni assai diffuse in tutta la regione che, a detta di molti luoghi comuni, pare incoraggino e assecondino smanie sensuali.
In quella città, passiva precorritrice dell’integrazione razziale, devota alle fedi appese alle punte di lancia – si legge nella prefazione storica di una vetusta guida dell’isola acquistata da Cosimo prima di intraprendere il viaggio – un cronista del secolo diciassettesimo garantisce l’esposizione per alcuni giorni della mitica Pietra dell’unzione, di marmo rossastro maculato di bianco, in origine nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, poi portata a Costantinopoli nel dodicesimo secolo e da qui forse trafugata dai crociati nel sacco del 1204, e duplicata subito in molte imitazioni, come tibie e femori reliquiari, alcune delle quali, sempre si dice, per contraddittoria devozione, qualificano il mercato antiquario della regione frantumate in pezzi, così come i barbari spezzavano l’argenteria romana dando valore soltanto al peso del metallo e non alle forme in esso vitalizzate. Su quella sacra pietra le saghe tramandano che prima di essere sminuzzata, sconsacrandola definitivamente, da una setta integralista di cristiani del quattordicesimo secolo, giunti sull’isola dal monastero egiziano di Santa Caterina del Sinai per diffondere l’ascetismo e le regole di vita del monaco Evagrio, siano state torturate e seviziate delle donne accusate di sortilegio malefico a seguito di ricorrenti e contagiose epidemie di peste bubbonica cui quella città, aperta ai marinai di tutto il continente, era particolarmente esposta. E a niente valsero le ricorrenti normative degli organi di potere riguardo le quarantene imposte alle navi prima di accedere nel porto tra i più frequentati del Mediterraneo. Queste cicliche pestilenze, prima che venissero intuite le vere cause, sparsero nell’isola un clima di superstizione o di ambigua interpretazione del senso della fede, scatenando nel corso dei secoli pubbliche e private crudeli persecuzioni ai danni di guaritrici o donne di fora come erano appellate, delle quali le ricostruzioni storiche riportano ben pochi elementi ma di cui le sagre locali sono ricche di particolari. Si sostiene anche, secondo indicazioni di affermate leggende popolari, che nella quadreria di un’anonima famiglia nobiliare, locata in uno dei palazzi storici della città, sia conservato uno specchio di tela armena ricavata da una sofisticata lavorazione del papiro, la cui cornice era parte integrante di uno dei numerosi specchi che in precedenza, negli anni tra la fine del dodicesimo secolo e gli inizi del tredicesimo, erano esposti da uomini, generalmente di cultura araba, collocati agli angoli delle strade di Palermo, che offrivano ai passanti l’opportunità di potersi acconciare o sistemare la pettinatura dietro libero pagamento di un’offerta. In particolare, lo specchio di un tale Assad Ibn Al-Hourani, di probabile origine armena o mesopotamica – riporta la guida nella sezione sagre e leggende –, considerato una sorta di patriarca di questi ambulanti, pare possedesse prodigiose proprietà per effetto della lieve convessità della superficie e della composizione fisica nella quale la parte generalmente occupata dal cristallo o dal metallo specchiante era invece intessuta da una raffinata tela ricavata dal raro papiro armeno, Cyperus papyrus, la stessa specie di cui i magrebini Aghlabiti di Tunisia impiantarono alcune piantagioni nell’isola fin dalla conquista avvenuta nel nono secolo subentrando ai Bizantini e che, forse, tramandano sempre i miti popolari, questo specchio potesse, in certe coincidenze, duplicare e fissare sulla tela, come una moderna lastra fotografica, le immagini che gli si offrivano con la sola condizione che i volti riflessi appartenessero a soggetti innamorati, secondo concetti di amore cortese prevalenti nella cultura araba oramai saldamente sedimentata nell’isola, nonostante il potere politico fosse da qualche anno in mano alle dinastie normanne. Questo specchio di tela, al cui interno si narra oziasse uno spirito benigno, fuddittu o mazzamareddu negli idiomi isolani, pronto a destarsi per soccorrere l’amore di turno, per quanto successivamente ricercato non era mai stato trovato e talune versioni popolari, raccolte da vari testi sulle tradizioni locali, garantivano che nel quindicesimo secolo, in un periodo increspato dal disagio delle popolazioni per l’avvento in Sicilia della Suprema Santa Inquisizione spagnola, su di esso fosse stato dipinto, da un giovane pittore del nord, il ritratto di una coetanea nobile siciliana e che fra i due fosse sbocciato un imprudente amore, malgrado il ritratto rappresentasse impegno sentimentale, commissionato dal fidanzato della ragazza, anch’egli di blasonati ascendenti, nell’imminenza del loro matrimonio secondo usanze assai diffuse in Sicilia probabilmente risalenti alla dominazione bizantina.
Questo testo è l’incipit del romanzo di Paolo Codazzi “Lo specchio armeno“, pubblicato recentemente (2023) da Arkadia
Giacomo Sartori
Il link all’incipit su Nazione Indiana: https://bitly.ws/3bIqk
Venerdì 2 febbraio alle 18:00 abbiamo il piacere di ospitare Vladimir Di Prima, scrittore e regista indipendente con a seguito parecchi lavori premiati in ambito nazionale e internazionale. Lo scittore accompagnato dal caro Mario Falcone che ringraziamo di tutto cuore, presenterà il suo nuovo romanzo “Il buio delle tre” pubblicato da Arkadia editore nel mese di dicembre.
Vladimir Di Prima, con ironia e garbo, ci racconta attraverso le tragicomiche peripezie per affermarsi come scrittore di uno straordinario Pinuccio Badalà, protagonista del romazo, una storia sul mondo dell’editoria che fa sorridere e arrabbiare al tempo stesso.
Trama
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Una grande e amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità?
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Rosalia Messina torna in libreria con il romanzo Nulla d’importante tranne i sogni (Arkadia Editore, Collana “Eclypse”) in uscita il 15 settembre scorso dopo cinque anni di stesura.
Nata a Palermo nel 1955, giudice in pensione, Rosalia Messina, è autrice della raccolta di racconti Prima dell’alba e subito dopo (PerroneLab 2010), dei romanzi Più avanti di qualche passo (Città del Sole Edizioni, 2013), Marmellata d’arance (Edizioni Arianna, 2013), finalista al concorso “Una storia per il cinema 2022”, Gli anni d’argento (Algra, 2015) e del libro per bambini Favole a colori (Algra, 2015). Nel 2016 ha pubblicato il romanzo Morivamo di freddo (Durango 2016); la versione teatrale del romanzo Marmellata d’arance, realizzata insieme alla sorella Anna, ha vinto il premio “L’Artigogolo 2017”, sezione “Drammaturghi esordienti” ed è stato pubblicato nella primavera del 2018, in forma monografica, dalla casa editrice Chipiuneart.
Sempre nel 2018, in digitale, ha pubblicato La vera storia del gatto con gli stivali (Oakmond Publishing), rielaborazione della famosa fiaba classica, il testo teatrale Orfeo – Andata e ritorno dal mondo delle ombre (Il Convivio), che ha ricevuto una segnalazione di merito al premio “Antonio Borgese” − sezione teatro – del 2018 e una al Premio “Teatro Aurelio” 2018, oltre che il premio “San Domenichino”, sezione teatro, nel 2019. Nel 2019, inoltre, l’autrice ha pubblicato la silloge poetica Cronache del disamore (ed. Nulla Die); il breve testo teatrale inedito La madre di Donato (un monologo) ha ricevuto una segnalazione al premio Teatro Aurelio 2020. Ha pubblicato nel 2020 il romanzo La stagione dell’angelo (Chipiuneart), finalista al concorso “Una storia per il cinema 2023”. Collabora con Letteratitudine, Sololibri e 84 Charing Cross.
Lettrice appassionata, ha pubblicato racconti, romanzi, fiabe, testi teatrali e poesie, ottenendo consensi e riconoscimenti tra i lettori e le giurie di premi letterari. Con questo nuovo romanzo l’autrice racconta il difficile rapporto tra due sorelle e la passione totalizzante della protagonista per la scrittura.
Nulla d’importante tranne i sogni: sinossi
Rosamaria Mortillaro, che i familiari e gli amici intimi chiamavano Ro, muoveva i suoi passi leggeri da un ambient all’altro della casa vicino ad Acireale in cui sperava di potersi trasferire prima che il caldo estivo iniziasse a mordere. Ignazio Larocca, l’architetto che seguiva i lavori di ristrutturazione, suo amico di vecchia data, la rassicurava, ogni volta che si sentivano al telefono: mancava oramai poco; era solo questione di rifiniture o comunque di piccoli interventi; che stesse tranquilla e vivesse con gioia questa fase, così interessante, in cui la casa le stava nascendo sotto gli occhi
Rosamaria Mortillaro, detta Ro, nota scrittrice siciliana, ha infatti un rapporto altalenante e complicato con la sorella Annapaola, detta Nana, dalla quale cerca di farsi perdonare tutto ciò che ha avuto in più dalla sorte. Nana ogni tanto crea le condizioni per un allontanamento e rende difficili le riconciliazioni. Il filo usurato e più volte riannodato finisce per spezzarsi in modo irreparabile a causa di un banale contrasto innescato da Nana, a seguito del quale Ro decide, con dolorosa lucidità, di volersi sottrarre al gioco delle tregue e dei conflitti. Sarà un evento scatenante a dare il via a un percorso singolare e grottesco alla fine del quale emergerà l’autentica natura di Rosamaria.
“La personalità della protagonista, Ro, è complessa, ricca di sfaccettature difficili da cogliere se non la si guarda con occhi affettuosi, cioè come l’ho guardata io, man mano che il suo personaggio prendeva corpo e sostanza nelle pagine che andavo scrivendo, e come la guardano gli amici di vecchia data, il nipote Fosco e, soprattutto, la cara amica Anita – ha spiegato la scrittrice. Ro vorrebbe essere all’altezza di un ideale di donna giusta e generosa, vorrebbe essere perdonata ‒ e soprattutto perdonarsi ‒ per essere così tanto più dotata della sorella, Nana, che a sua volta prova per Ro un’invidia che ogni tanto la porta a inscenare un conflitto e ad allontanarsi, lasciando poi a Ro il compito di ricucire lo strappo. È un gioco delle parti che dura, come tutti i meccanismi di questo tipo, fino a quando uno dei partecipanti perde la pazienza e si sottrae al ruolo assegnato (o peggio, autoassegnato), facendo saltare gli equilibri. Un aspetto che ho curato molto – ha aggiunto l’autrice – è l’ambientazione siciliana. La sicilitudine, come mi piace chiamarla, con i profumi, i colori, i sapori, la parlata, il paesaggio, ha un largo spazio in tutte le pagine del romanzo”.
Rosalia Messina ha iniziato a scrivere Nulla d’importante tranne i sogni, al quale tiene molto, nel 2018. Rispetto alla primissima stesura ci sono stati numerosi cambiamenti: parti ampliate, parti soppresse, capitoli aggiunti, diversi editing e pubblicazione di altre opere, ma senza per questo mai dimenticare nel frattempo Ro, Nana e gli altri personaggi.
Melania Menditto
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Guardare in faccia la propria infanzia, spesso un abisso di risentimenti e brutti ricordi, richiede un coraggio che manco l’incredibile Hulk. E Giovanni Lucchese, assai attivo sui social come ironico recensore di profumi (cercate il reel dove ne recensisce uno che si chiama Sadonaso!), ha scritto e pubblicato un gioiellino, che ha uno dei tanti pregi nella brevitas che però può anche diventare un dispetto al lettore, tanto è godibile e lieve. Si vorrebbe andare oltre, leggere di più, non lasciare il piccolo protagonista alle prese con una famiglia che è quel che è, con una figura di nonna che si avrebbe proprio voglia di conoscere. Si tratta di Un bambino sbagliato, nella pregevolissima collana Sidekar di Arkadia editore. Un romanzo che andrebbe fatto leggere a scuola, perché nessun bambino deve sentirsi sbagliato, perché è in quella sua unicità che risiede la meraviglia in grado di fornirgli il propellente utile all’esistenza. Il rischio poteva essere l’acrimonia o la lagna, Lucchese ha raccontato, in una riuscita prova di autofiction, la sua infanzia con levità e invidiabile capacità di sorridere anche degli aspetti meno gradevoli.
Quali sentimenti o ricordi ti ha sbloccato la stesura di questo romanzo?
Tantissimi. La cosa più bella è che mi ha rimesso in contatto con alcune persone, parenti e compagni di scuola, che avevo un po’ perso lungo la strada. Mi sono ricordato di quanto siano importanti le nostre radici, di come sia necessario ricordarsi sempre da dove si è venuti, anche quando ci troviamo a mille chilometri da casa. Questo libro suscita in me una reazione davvero strana: se lo leggo ad alta voce mi viene da ridere e mi commuovo nello stesso momento, ci sono dei racconti che mi mettono davvero in difficoltà a doverli leggere di fronte ad altre persone.
Quali sono le reazioni invece di chi lo sta leggendo?
Per ora spettacolari. Molto più di quello che mi aspettavo. Ovviamente parlo delle reazioni di persone che non conosco. Sai com’è, le opinioni di amici e parenti raramente sono obiettive, ho imparato col tempo ad apprezzarle ma a dare loro il giusto peso. Persone a me sconosciute mi hanno detto di averlo trovato il mio romanzo migliore, lasciandomi incredulo. Forse perché scriverlo è stato un processo per me naturale, non associo questo romanzo a ore e ore di duro lavoro, quindi mi aspettavo un’accoglienza più tiepida.
A mio avviso andrebbe fatto leggere nelle scuole medie e superiori, pensi che farai incontri?
È uno dei miei sogni, credo che la mia casa editrice ci stia lavorando.
Sei soddisfatto della tua evoluzione di scrittore e della tua collocazione editoriale?
Ho iniziato per gioco, scrivevo Pop Toys senza neanche immaginare di vederlo pubblicato un giorno. La mia strada è stata costellata di magnifiche sorprese, grandi soddisfazioni, qualche passo falso e la giusta dose di delusioni. Ci sta tutto, oggi mi sento sicuro e fiero, so cosa posso aspettarmi e conosco le illusioni a cui è meglio non dare ascolto. Arkadia è una casa editrice che osservo da tempo, la collana Sidekar è piena di autori rivoluzionari, sperimentali, coraggiosi e di grandissimo talento. Per me, farne parte è un vero onore.
Mariano Sabatini
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