Esce l’8 marzo ‘La ragazza di Boston‘, il nuovo libro di Paolo Valenti edito da Arkadia. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio l’origine di questo lavoro e i temi che tratta.
Paolo, dopo tre volumi focalizzati sulla storia del calcio, torni in libreria con un romanzo. Perché questa scelta?
Più che una scelta è stata un’esigenza. Volevo raccontare una storia che trasmettesse emozioni che andassero oltre il mondo del calcio, una storia alla quale chi legge si possa appassionare chiedendosi come andrà a finire.
Pensi di esserci riuscito?
Spero proprio di sì anche se ovviamente spetterà al lettore rispondere a questa domanda. Ho voluto dare a lui, oltre alla possibilità di vivere delle emozioni, anche quella di scegliere come andrà a finire la storia. Ma oltre a questo non voglio andare…
Quali sono i temi che hai trattato nel libro?
Essendo un romanzo, ovviamente il tema principale è il rapporto che lega i due protagonisti, Alessandro e Meredith, che è, appunto, la ragazza di Boston. Sono due ragazzi che si incontrano all’università: tra loro è amore a prima vista. Ecco, ho cercato di raccontare la forza di questo sentimento, capace di travolgere la vita delle persone soprattutto quando si è giovani, quando pensieri e azioni vengono dettati quasi esclusivamente da quello che si prova per la persona amata. Ma l’amore ha sempre due facce: così nel libro mi soffermo anche sulle sue difficoltà e su quanto non sia semplice affrontarle.
È in questi frangenti che si cerca rifugio in qualcos’altro.
Esattamente. Quando l’amore non va, ci si rifugia nell’amicizia e nel lavoro, che può aiutare a ricostruire autostima e ad allontanarsi dal dolore di una relazione che non gira al meglio. Sono temi che, in funzione dello sviluppo della storia, vengono inevitabilmente trattati nel libro.
Nessun riferimento alla tua grande passione per il calcio?
Come no! Quando parlo di emozioni, alla fine non riesco ad esimermi dal mettere un riferimento che possa condurre il lettore al calcio, che per me resta una fonte continua di ispirazione. Il protagonista è un ragazzo che, come tanti studenti della sua età, gioca a livello amatoriale con una squadra di amici. C’è un capitolo dedicato interamente alla finale di un torneo al quale partecipano, ultimo episodio di un percorso che prevede energia e dedizione e contribuisce a cementare il senso di amicizia dei protagonisti.
Il libro si apre con la citazione di una canzone non molto conosciuta di Bruce Springsteen. Perché?
La canzone è Sundown, fa parte dell’album Western Stars uscito nel 2019. Ascoltandola più e più volte ho avuto l’ispirazione per scrivere questo romanzo. Raccoglie amore e nostalgia, voglia di riscatto, contemplazione e speranza. Se questo libro fosse un film, Sundown potrebbe essere la colonna sonora dell’ultima scena. È un’apertura che getta un ponte sulla chiusura: ciò che passa sotto è il fiume di eventi che alimenta il romanzo.
Paolo Marcacci
Il link all’intervista su RadioRadio: https://bitly.ws/3f3XZ
Adriana Valenti Sabouret, nata a Siracusa, laureata in Lingue e Letterature straniere, da molti anni risiede in Francia. Ha insegnato presso l’Istituto Statale Italiano Leonardo da Vinci, a Parigi, e presso il Liceo Internazionale di Saint-Germain-en-Laye. Ha lavorato come traduttrice e ha collaborato con alcune riviste. Trasferitasi ad Alghero con il marito e i figli, ha esordito nel suo Paese di adozione con il romanzo Le rêve d’Honoré (Éditions du Panthéon, 2019). Con Arkadia Editore ha pubblicato Madame Dupont (2021) e La ragazza dell’Opéra (2023).
1. Adriana, il tuo ultimo romanzo è ambientato nei quartieri popolari di Parigi nella seconda metà dell’Ottocento, dove la miseria spinge le famiglie allo sfruttamento delle figlie ancora bambine, usate come risorsa economia. La protagonista, Émilie detta Millie, piccola danzatrice e oggetto del desiderio di uomini molto più anziani di lei, ha due relazioni importanti che cambiano il corso della sua vita: la prima con il principe italiano Valerio Cedronio, la seconda con l’inglese Lord Sutton Bunbury. Mi sono chiesta, leggendoti, se il tema che per primo ti è venuto alla mente quando hai iniziato a scrivere La ragazza dell’Opéra sia lo sfruttamento delle petits rats da parte delle famiglie; ho anche pensato che tu abbia voluto raccontare una vicenda di riscatto che anche nella sfortuna può essere cercato e raggiunto impegnandosi in ciò che si fa per vivere. Mi è venuto in mente che la primissima ispirazione potrebbe essere venuta dai dipinti di Degas che ritraggono le danzatrici dell’Opéra e che poi, di riflessione in riflessione, sia venuto tutto il resto. È sempre affascinante ricostruire la genesi di un’opera letteraria e per questo ti chiedo di parlarne ai lettori.
Buongiorno, Rosalia. È un piacere essere intervistata da una sensibile romanziera come te, grazie. La genesi del mio ultimo romanzo, in effetti, è strettamente legata alle opere di Edgar Degas che, ritraendo le danzatrici dell’Opéra Garnier in pose estremamente realistiche giudicate goffe e sgraziate dai suoi contemporanei, denunciava una realtà dell’epoca: lo sfruttamento dei petits rats de l’Opéra. Si trattava di tenere ragazzine appena uscite dal guscio protettivo dell’infanzia e costrette dalle famiglie indigenti al duro mestiere di danzatrici. E le ore e ore di sfibrante allenamento non erano nulla se confrontate al dover divenire prede di “galantuomini’’ che, invaghendosi dei loro corpicini graziosi, si proponevano di proteggerle consentendo loro gli studi artistici e una carriera. L’ambizione di madri frustrate e malsane che assecondavano le brame di questi ultimi completava il quadro.
2. Hai dovuto fare un lungo e paziente lavoro preliminare di ricerca, immagino. È stato complicato reperire le fonti dalle quali ricavare le tracce storiche del fenomeno delle petits rats, le topoline danzatrici e prostitute, in vendita al migliore offerente? Che materiali hai dovuto consultare?
Sì, solitamente il propedeutico lavoro di ricerca m’impegna ancor più che il lavoro di scrittura in senso stretto. Solo dopo essersi impregnati a fondo dell’humus familiare, sociale, professionale in cui i personaggi vissero, è possibile immaginarne le vite, le reazioni, i sentimenti, filtrandoli attraverso la lente del nostro vissuto.
Le fonti consultate sono documenti d’epoca di vario genere che vanno dai referti medici relativi a problemi di salute o decessi di danzatrici, ad articoli della stampa parigina, passando dalle biografie di celebri ballerine dell’Opéra Garnier. Documenti che ho reperito presso gli Archivi parigini, la Bibliothèque nationale de France e testi di varia natura coevi a Degas.
3. Nel romanzo tu dai una spiegazione dell’appellativo, davvero brutto, con il quale si indicavano le sfortunate bambine dell’Opéra. Quali sono, secondo te, le ragioni per le quali, fra tanti possibili e più accattivanti animali simbolici, fu questo ad attecchire ed essere ricordato?
Credo che, tutto sommato, per quanto i ratti possano evocarci l’immagine di un animaletto repellente, queste creature rimandino ancora oggi alla meravigliosa Parigi – pensate al simpatico film disneyano di animazione Ratatouille. In fondo, i ratti popolano ancora la capitale francese e sono roditori agili, astuti e resistenti che lottano per la loro sopravvivenza provenendo dai bassifondi di Parigi, proprio come le piccole ballerine dell’Opéra ai tempi di Degas.
4. La protagonista del tuo romanzo sembra conservare una sorta di innocenza, pur avendo piena consapevolezza delle brutture che è costretta ad attraversare, dell’infimo livello etico sia della madre alcolista, sia degli uomini che, dopo gli spettacoli, si accompagnano alle piccole danzatrici. Ti va di tracciare tu stessa un ritratto di Milly, come tu l’hai immaginata e costruita? Ci sono state fasi diverse, approssimazioni successive, o il personaggio ti si è imposto con caratteristiche ben definite fin dall’inizio?
Milly è stata un personaggio “facile’’: la sua storia, le drammatiche vicissitudini, il coraggio e la determinazione che l’hanno contraddistinta si sono imposti a me come un’evidenza. Riallacciandomi alla domanda precedente, il “miracolo’’ è stato possibile grazie alle numerose letture, effettuate in precedenza, delle storie, gli aneddoti e persino dei pettegolezzi di cui è rimasta una traccia scritta nella stampa e nei testi della Belle Époque parigina. La mia Émilie non è un personaggio reale ma la risultante della sintesi di diverse biografie di danzatrici del suo tempo realmente vissute. Ogni aneddoto relativo all’Opéra de Paris da me riportato è vero.
5. Che lettrice è Adriana Valenti Sabouret? Ci sono generi letterari che predilige? Cosa sta leggendo in questo momento?
Una lettrice curiosa e bulimica che, pur prediligendo il genere del romanzo storico, non disdegna autori vari e storie contemporanee. Durante la mia infanzia mi sono nutrita di classici adattati alla mia età ma anche di fumetti che ho divorato interiorizzando il gusto dell’ironia espressa dai tratti dei grandi fumettisti del tempo accompagnati dalle onomatopeiche e le battute contenute nelle nuvolette. Nutro una grande passione per il cinema con le sue trasposizioni letterarie che assumono forme e colori nel grande schermo.
All’università ho letto per dovere, scoprendo con piacere, un considerevole numero di classici britannici, americani, francesi, italiani. Sono state basi preziose sulle quali costruire e plasmare un gusto personale che in seguito ho avuto voglia di restituire ai miei lettori.
Attualmente sto leggendo una biografia in francese sul più celebre mercante d’arte del XX secolo, Paul Guillaume, colui che scoprì e vendette le tele di Modigliani, De Chirico, Marie Laurencin e di numerosi altri avanguardisti del cenacolo di Apollinaire. Un mondo affascinante, mondano, parigino e internazionale al contempo, a tratti cinico e crudele.
6. Hai in cantiere un’altra opera? Leggeremo presto una storia contemporanea o una storia che si colloca nel passato?
Di opere in cantiere ne ho diverse: oltre a un romanzo storico, Le nobili sorelle Angioy che sarà pubblicato il 24 maggio da Arkadia Editore, ho scritto un altro romanzo storico in relazione alle mie ricerche archivistiche, un saggio che rivelerà qualche interessante sorpresa inedita e un’idea – ancora in nuce – che non tarderò a concretizzare, che spezzerebbe l’incantesimo dei miei protagonisti positivi.
Amo le sfide e spero di essere all’altezza di raccogliere il guanto che mi lancio.
Rosalia Messina
Il link all’intervista su 84 Charing Cross: https://bitly.ws/3eQFe
Petit rats, piccoli topi, le giovanissime allieve della Scuola di danza dell’Opéra di Parigi: sembra che il termine derivasse dall’ultima sillaba di demoiselle dell’Operà, se non dal rumore ritmico delle scarpette a punta delle aspiranti ballerine, nelle sale di prova sui solai. È all’animale, però, che fa riferimento Milly, le petit rat di Palais Garnier, quando presenta la piccola se stessa, resa protagonista di un romanzo da Adriana Valenti Sabouret, autrice di una nuova storia parigina ottocentesca: La ragazza dell’Opéra (Arkadia Editore, Cagliari, giugno 2023, collana Eclypse, 200 pagine).
Siracusana, residente ad Alghero, è laureata in lingue e letterature straniere, legata soprattutto al francese. Ha raggiunto venticinquenne la Ville Lumiere, per dedicarsi all’insegnamento. Ha svolto incarichi per il Ministero italiano degli Esteri, si è impegnata nelle traduzioni, ha iniziato a scrivere articoli e interventi di carattere letterario. Dopo un romanzo in Francia nel 2019, ha pubblicato nel 2021 Madame Dupont, con Arkadia. A Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento, ha soltanto otto anni Emilie, detta Milly e non ha niente del topolino. “È bella in una maniera eccessiva”, scrive Adriana Valenti Sabouret, i capelli sono una chioma dorata di fili di seta, gli occhi castano-verdi, un nasino delicato, labbra perfette. Si muove “con grazia felina”.
Nessuna di queste qualità fa ben sperare noi moderni sul suo futuro, perché sappiamo cosa toccava alle giovanissime nella Parigi dei bassifondi, dove si faticava a mettere tavola il pranzo o la cena, a volte nessuno dei due. Milly e le altre bambine malnutrite dell’Opéra Garnier si lamentano delle ore interminabili di lezione che massacrano i piedi. Non sospettano quello che sottintendeva lo scrittore Théophile Gautier, quando paragonava l’Opéra a un Minotauro: divora le piccole danzatrici come il mostro della mitologia greca faceva con le vergini che gli venivano concesse. E se non basta questo a gettare una luce sinistra sull’ambiente della danza nel XIX secolo, Honoré de Balzac rincarava l’accusa, compatendo la creaturina che esce da una prova, consuma una magra cena e ritorna per vestirsi, se in scena nel balletto. È tredicenne, “ma è già un vecchio ratto”.
Tra un paio d’anni, sarà tutto o niente, una grande danzatrice o una volgare cortigiana. L’autrice è ancora più esplicita, sottolineando gli aspetti sociologici proposti nel suo romanzo. Un secolo e mezzo fa, l’abbagliante patina dorata del mondo del balletto classico nascondeva una realtà ignorata, di stenti e sofferenze. Milly è una delle mille piccole voci di tante famiglie in condizioni di vita precarie, come gran parte della società parigina dell’epoca. I maschietti al lavoro duro, fin dalla tenera infanzia, le piccole spesso vendute dai genitori per sopravvivere, costrette a prostituirsi.
La vita di Milly è votata all’amore, in tutte le sue manifestazioni: caldo, “smisurato e salvifico” o sordido e mercenario, opportunista, distruttivo.
Dietro le quinte dell’Opéra de Paris ottocentesca, l’oro finisce per mutarsi in piombo, i tutù in stracci e le paillettes in lacrime.
Per le bambine nate prima di Emilie, era stato anche peggio.
Se si decise soltanto nel 1863 di fissare la maggiore età sessuale a tredici anni per legge, in precedenza le bambine erano adulte appena undicenni.
Peraltro, “proteggere” una giovanissima danzatrice non era considerato pedofilia e molti abusi, tollerati dai genitori delle piccole, filtravano tra le maglie della giustizia, specie se commessi da gentiluomini.
La piccola danzatrice ha un’idea di cosa aspettarsi, ma solo fino a un certo punto. Emilie le petit rat è nata a Pigalle, quartiere popolare, nel 1869. Perché rat, se il topo di fogna incute paura e ribrezzo?
È che va, viene, corre, disturba, vive in gruppo, proprio come le ballerine bambine del Palais Garnier, attratte dal groviera del successo nella trappola dell’Opéra. Diventare étoile le avrebbe allontanate dai tuguri insalubri e maleodoranti.
A Pigalle, nei miserabili:
Nuclei familiari la prole promiscua somiglia a nidiate di ratti. Lavoravamo per non morire, barattando i nostri esili corpi per un tozzo di pane. Sorrisi mesti e innocenza perduta.
La madre l’ha avviata alla danza all’età di otto anni. Più si è giovani e innocenti, più chances si avranno d’imparare e di farsi notare da un ricco protettore. Fra qualche anno potrà fare concorrenza alla più ricercata delle cortigiane di Francia.
“Viens-là, ma petite cocottes”
La bambina si domanda perchè tra le tre sorelle la mamma sfrontata abbia scelto lei per destinarla alla vita da mantenuta. Percepisce vagamente la sua grazia, l’armonia delle proporzioni, il fascino dei suoi lineamenti regolari. Solo con gli anni scoprirà l’ambiguo potere dell’avvenenza.
La sera, le attendono le luci abbaglianti del palco, per concludere in bellezza con l’intrattenimento di qualche signore, che le ha notate nelle quinte. Eppure, sono soltanto bambine, in cerca ancora di caramelle. Si legge la forza e la compassione di una donna-autrice di oggi che avverte sulla propria pelle il dolore di quelle piccole, tradite dalle famiglie e dalla società.
Vicende di oltre un secolo fa, ma se ne può fare un manifesto della più bieca discriminazione e della sottomissione di genere, che abbiamo tutti il dovere di cancellare, perché quelli che Adriana Valenti Sabouret chiama “fantasmi” hanno attraversato i secoli e affliggono ancora, sebbene in forme diverse, non meno spietate. Come scrive bene l’autrice, in realtà sono:
“Spettri potenti che hanno costellato la lotta e delle donne verso l’emancipazione”.
Felice Laudadio
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Cari lettori,
l’ospite di questa intervista è Rosalia Messina. Nata a Palermo nel 1955, in esilio volontario a Bologna, giudice in pensione, dopo avere esordito con la raccolta Prima dell’alba e subito dopo (Lab, 2010) ha pubblicato racconti, romanzi, fiabe, testi teatrali e poesie, vincendo diversi premi. Lettrice appassionata, scrive le sue impressioni di lettura su “SoloLibri”, “84 Charing Cross” e “Letteratitudine”.
D. ROSALIA, COM’È NATA LA TUA PASSIONE PER LA SCRITTURA?
R. Innanzitutto grazie per l’intervista, Katia.
Anche se ho sempre amato scrivere, sono arrivata alla pubblicazione solo in tempi relativamente recenti. Ho pubblicato il mio primo libro, una raccolta di racconti, nel 2010; poi non mi sono più fermata. Non tutto ciò che ho scritto e scrivo arriva alla pubblicazione e certe volte neppure alla stesura definitiva: molto rimane allo stato di appunto o abbozzo da sviluppare che però poi, per qualche ragione, viene abbandonato. Durante i primi cinquantacinque anni della mia vita ho scritto a tempo perso, per il puro piacere di scrivere; solo dopo aver frequentato una scuola di scrittura sono arrivata a raccogliere alcuni racconti e a farne una pubblicazione, vincendo una selezione indetta dalla casa editrice Perrone.
D. QUANTO TEMPO HAI IMPIEGATO PER LA REALIZZAZIONE DEL TUO ROMANZO “NULLA D’IMPORTANTE TRANNE I SOGNI”?
R. È stata una gestazione laboriosa. Il primo embrione risale al 2018 ma ho continuato a lavorarci per anni, complessivamente cinque. Ho inviato il testo alla casa editrice Arkadia nel 2022 e il romanzo ha visto la luce il 15 settembre 2023. Sono stati necessari ripetuti aggiustamenti, rielaborazioni, editing professionali. Il romanzo non raggiunge le duecento pagine ma ha una struttura non semplice: il materiale narrativo si compone non solo di narrazione in terza persona ma anche di lettere, pagine di diario e anche spezzoni di romanzi in stesura, essendo la protagonista, Rosamaria Mortillaro detta Ro, una prolifica scrittrice di successo. Trovare un equilibrio tra le diverse componenti non è stato semplice.
D. DA QUALE IDEA, SPUNTO, ESIGENZA O FONTE DI ISPIRAZIONE, È NATO QUESTO ROMANZO?
R. Pur trattandosi di un romanzo di pura fantasia, alcuni temi di Nulla d’importante tranne i sogni scaturiscono dall’osservazione della realtà. Sono una persona curiosa, portata a lavorare d’immaginazione. Anche quando non sono seduta al computer a scrivere invento storie che la maggior parte delle volte rimangono nella mia mente, altre volte diventano un appunto sul quale mi riprometto di lavorare. Lo spunto può essere costituito da un fatto di cronaca che mi incuriosisce; da un piccolo accadimento al quale assisto per strada o, magari, da una conversazione che orecchio in treno. Queste fantasie di solito non superano la fase embrionale; solo talvolta crescono e si ampliano fino a diventare romanzi. Da questo lavorio costante e dall’interesse che ho sempre provato per i legami familiari nasce il filone centrale di Nulla d’importante tranne i sogni: la relazione difficile fra due sorelle di forte personalità, la fragilità degli equilibri nei rapporti interpersonali, lo scarto a volte vistoso fra ciò che appare e ciò che è sostanza. Un altro tema rilevante del romanzo è il processo creativo letterario visto dall’interno, con gli occhi di una scrittrice per diversi motivi in crisi; nonostante tutto, Ro continua a creare trame e personaggi. I romanzi che mettono in scena scrittori e scrittura mi hanno sempre affascinato: si pensi ‒ giusto per fare alcuni esempi ‒ ai numerosi romanzi di Philip Roth in cui compare lo scrittore Nathan Zuckerman; al dramma pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore; all’Arturo Bandini di John Fante. Attorno a Rosamaria Mortillaro, innamorata della scrittura più che di ogni altro aspetto della sua vita, ho costruito un microcosmo di relazioni familiari e amicali, una rete di personaggi secondari.
D. HAI DELLE ABITUDINI PARTICOLARI DURANTE LA SCRITTURA?
R. Rileggo e limo infinite volte, fatico a essere soddisfatta e lascio riposare ciò che ho scritto per un po’ di tempo (settimane, mesi) fra una rilettura e l’altra. Prendo appunti volanti su foglietti, quadernini, notes e anche sul cellulare.
D. CON QUALI COLORI DESCRIVERESTI ROSAMARIA E SUA SORELLA ANNAPAOLA?
R. Rispondo d’istinto, senza riflettere: Rosamaria è azzurra, viola e scarlatta; Annapaola è verde bosco, giallo senape e lilla. Se poi dovessi spiegare le ragioni di queste scelte, direi che Rosamaria brucia di un fuoco che la consuma ed è più vicina al cielo e al mare, alle creature che volano e nuotano; Annapaola è più vicina alla terra e a ciò che vi cresce sopra.
D. C’È QUALCOS’ALTRO CHE VUOI AGGIUNGERE… CHE VORRESTI DIRE AI TUOI LETTORI?
R. Spero che i miei personaggi ispirino ai lettori lo stesso affetto indulgente che provo io per loro, a prescindere dai loro pregi e dai loro difetti; mi auguro che, chiudendo il libro, sentano di non avere sprecato il loro tempo.
D. PROGETTI PER IL FUTURO E SOGNI?
R. Sogni? Continuare a scrivere a lungo. Essere amata dai lettori.
Quanto ai progetti, ho in cantiere un romanzo che già ho inviato all’editore e un altro ancora in fase di prima stesura.
Ringrazio Rosalia per la sua disponibilità nel rispondere alle mie domande.
SINOSSI
Rosamaria Mortillaro, detta Ro, nota scrittrice siciliana, ha un rapporto altalenante e complicato con la sorella Annapaola, detta Nana, dalla quale cerca di farsi perdonare tutto ciò che ha avuto in più dalla sorte. Nana ogni tanto crea le condizioni per un allontanamento e rende difficili le riconciliazioni. Il filo usurato e più volte riannodato finisce per spezzarsi in modo irreparabile a causa di un banale contrasto innescato da Nana, a seguito del quale Ro decide, con dolorosa lucidità, di volersi sottrarre al gioco delle tregue e dei conflitti. Quando scopre di essere ammalata e di non poter sperare in un recupero della salute, Ro, provata anche dalla fine improvvisa dell’unico amore dal quale si è lasciata davvero coinvolgere, si isola nella sua villa nei pressi di Acireale in compagnia dell’amica e segretaria Anita Attanasio. Qui comincia a progettare la sua vendetta contro la sorella e la figlia di lei, Giada. Inizia così un percorso grottesco e per certi tratti singolare che farà emergere un mondo di contrasti ma anche di sentimenti che riveleranno, finalmente, l’autentica natura di Rosamaria.
COSA NE PENSO
Rosalia Messina in “Nulla d’importante tranne i sogni”, ci racconta una storia potente sulla complessità delle relazioni familiari, sulle sfide dell’identità delle sorelle Mortillaro, Rosamaria e Annapaola. Due donne dal temperamento forte, ostinato, legate ineluttabilmente l’una all’ altra, seppur divise da conflitti interiori. Simili e controverse allo stesso tempo.
Una lettura profonda,che richiama a sé, l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina.
Una storia che sa come acquietare i rimpianti e le cose non dette che spesso accadono all’Interno dei nuclei familiari più disparati. Un esempio di luce e ombra, molto forte che possiamo scorgere nel rapporto di Giada e sua madre Annapaola. Entrambe, possono considerarsi,protagoniste e antagoniste in questa saga familiare a differenza di Fosco ,l’altro figlio di Annapaola.
Il personaggio che più colpisce per empatia e per sensibilità è Anita.
Passo dopo passo si scoprono, continui nuovi aspetti inediti sulla sua personalità. Figura altrettanto interessante è quella di Marika.
In conclusione, trama esaustiva, l’uso del linguaggio forbito usato dall’ autrice rende ancora più piacevole questa lettura.Non è assolutamente un romanzo lezioso,come spesso accade nei romanzi a sfondo familiare.
Prendo in prestito le parole di Marcel Proust per sintetizzare al meglio, il mio parere su questo libro.“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso”.
Una frase che può sembrare scontata ma in questo caso non lo è, perché leggendo tra le righe “Nulla d’importante tranne i sogni ”, ognuno di noi ci si può ritrovare.
Consigliatissimo. Buona lettura!
Katia Lucido
Il link alla recensione e all’intervista: https://bitly.ws/3eI4s
Si terrà domenica 3 marzo, nell’ambito della rassegna “I pomeriggi del bicchiere” la cerimonia di premiazione della seconda edizione del Premio Letterario Dante Arfelli – Opera Prima Città di Bertinoro. Con questo premio, co-organizzato dalla casa editrice Readerforblind e la Scuola Macondo Macondo di Pescara, il Comune di Bertinoro – che ha concesso il patrocinio – vuole rendere omaggio alla figura dello scrittore Dante Arfelli, nato a Bertinoro nel 1921 e autore del romanzo “I superflui”, che fu un vero caso editoriale. Pubblicato nel 1949, il libro vinse il premio Venezia (antenato del premio Campiello) e ottenne un grandissimo successo non solo in Italia, ma anche all’estero (ottocentomila copie vendute soltanto negli Stati Uniti). Destinato alle opere prime di narrativa, il Premio Arfelli si articola in due sezioni, dedicate rispettivamente ai romanzi già pubblicati e ai romanzi inediti: per il vincitore di quest’ultima sezione è prevista una proposta di pubblicazione, mentre il primo classificato della sezione editi è previsto un premio di 500 euro. Ad entrambi sarà consegnata la targa a ricordo del Premio. Quest’anno, per la categoria editi i finalisti sono Jessica La Fauci, “Croste” – Agenzia Alcatraz; Linda Lercari, “Kaijin” – Idrovolante edizioni; Antonella Presutti, Il rianimatore – Arkadia Editore; Valentino Ronchi, “Riviera” – Fazi Editore; e Riccardo Tontaro, “Silenzio imperfetto” – Funambolo Edizioni; Segnalazione per l’originalità dell’opera, decisa dalla giuria, va invece all’opera “Route 96 bis” di Giovanni Bracco – Porto Seguro Editore. Per la categoria inediti i finalisti sono Lorenzo Marvelli con “Afasia”; Ivan Saracca con “Quando morì Joe Strummer”; e Mathias Vitaliano con “Per adesso può bastare”. Segnalazioni per Massimiliano Ciccone con “Dio benedica le nostre vite” e Luigi Muzii con “Stato di natura”. L’appuntamento con il Premio Arfelli è alle ore 15.30 di domenica 3 marzo nel teatro Novelli di Bertinoro. A introdurre l’iniziativa sarà l’assessora alla Cultura del Comune di Bertinoro Sarà Londrillo insieme a Valerio Valentini, direttore di ReaderForBlind. Poi porteranno il loro saluto la Sindaca di Bertinoro Gessica Allegni e Fiorangela Arfelli, figlia dello scrittore e a sua volta autrice. A seguire lo spettacolo di prosa e musica “Come luce che non illumina” tratto da “I superflui”. Sul palco le attrici e cantanti Elena Bucci e Daniela Piccari, e i musicisti Andrea Alessi (contrabbasso), Dimitri Sillato (pianoforte), Sebastiano Severi (violoncello). Gran finale con la proclamazione dei vincitori delle due sezioni. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti. Per partecipare è necessaria la prenotazione, che va effettuata inviando una mail a turismo@comune.bertinoro.fc.it entro le ore 12 di venerdì 1 marzo.
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