La forma del desiderio, Andrea Magno, Arkadia. Nella vita non ci si può che immergere, lasciandosi andare alla corrente, ché due volte, del resto, nello stesso fiume non ci si può bagnare, perché tutto muta sempre, sia lui che noi: Magno dà alle stampe una silloge potente che celebra la forza della vita e della passione in tutte le sue declinazioni. Da leggere.
Gabriele Ottaviani
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Andrea Magno da oggi in libreria e negli store online
L’Aquila 19 aprile 2024. Una raccolta di poesie del direttore artistico del Festival Autori in piazza di Chieti. Andrea Magno scrive in versi da anni per la sua esigenza di esprimere le proprie emozioni. Lo fa di getto, su un foglio bianco. Esordisce nella poesia con Sotto falso nome, segue Sotto falso nome, Da qui ho un posto comodo, Fuori dal coro. Ospite al Carta Carbone Festival, Sirmio International Poetry Festival e altri importanti appuntamenti letterari. Presente nelle riviste e antologie di settore. Dal 2016 è direttore artistico del Festival culturale Autori in Piazza a Chieti.
LA FORMA DEL DESIDERIO, ARKADIA, 2024
La poesia è un modo per guardare se stessi e gli altri?
Andrea Magno sperimenta questa ricerca con l’osservazione attenta del mondo che lo circonda, che si trovi in riva al mare, immerso nel silenzio, puntando lo sguardo all’orizzonte, o nel caos di una metropoli. L’introspezione scaturisce da momenti particolari, in cui l’occhio metaforico è rivolto alla propria anima, all’esistenza che palpita in ogni angolo dell’universo. Le mani del poeta scavano nelle onde e nell’aria in cerca di legittima felicità e di necessaria bellezza.
Angelozzi Comunicazione
Il link alla segnalazione su Abruzzo Popolare: https://tinyurl.com/57uackaz
Il siciliano Andrea Magno, direttore artistico del “Festival Autori in Piazza” di Chieti, si esprime in versi, da anni. Lo fa per accontentare la sua esigenza di mettersi a nudo, esprimere le proprie emozioni prima ancora di definirle, a farlo ci penseranno le parole, che, una dopo l’altra, scrive di getto sul foglio bianco. “La forma del desiderio” (Arkadia Edizioni Poesia) è la sua ultima raccolta di componimenti, che arriva a 7 anni dall’ultima pubblicazione, perché «Ci vuole tempo per scrivere poesie, le emozioni sono lente».
Come nascono le sue poesie?
«Dal mio modo di vedere le cose in una certa maniera, che poi diventa parole. Sarebbe più corretto dire, anzi, che sono emozioni che si trasformano in parole, diventano poesia quando qualcuno le legge e si emoziona. Nascono da storie di tutti i giorni, da qualsiasi cosa, incontrando con una persona, mangiando un buon piatto».
Quanto è importante per lei la Sicilia nella scrittura?
«Si dice che chi nasce isolano resta isolano e se lo porta in qualunque parte del mondo vada. Io porto sempre dentro di me la Sicilia. Aa quando la vedo da fuori sono un po’ arrabbiato, perché ci sono tante possibilità non sfruttate. La Sicilia è il posto a cui sono aggrappato sempre, ovunque vada. La Sicilia resta la Sicilia, non è soltanto una terra natia. Poi storicamente sono passati tutti dall’isola: da cui abbiamo cercato di prendere il meglio, ma abbiamo preso anche il peggio. Per quanto riguarda le mie liriche, non ho mai pensato a cosa volessi far vedere ai lettori. Mi accorgo che quando leggono le mie poesie, ognuno trova una Sicilia diversa: chi bellissima, chi tristissima. Quando scrivi non hai la percezione del finale, che arriva dopo e in ogni caso non è mai esattamente quello che pensavi di mostrare durante la fase della scrittura. Ognuno da una poesia tira fuori quello che sente, la mia emozione da singola diventa multipla, perché da mia passa al lettore, cambiando».
Poi c’è l’amore, per una donna e per tutte le donne.
«Amore e ammirazione, non soltanto dettata dalla bellezza fisica, estetica, ma anche dalla forza e dal desiderio, non di possessione della donna o, meglio, il desiderio c’è, ma deve essere mio e di una possibile donna, devono amalgamarsi, diventando un unico desiderio. Poi, c’è sempre una donna dietro uno scrittore, anche se non è dimostrabile. Ci sono sempre tutte le donne e una in particolare, ha la funzione di ispirare l’autore, nemmeno come figura reale, ma come visione. Si tratta di esprimere un desiderio visionario. So di scrivere delle poesie che delle volte possano risultare forti, per via della scelta di utilizzare parole pesanti, ma il poeta quando sente di dover scrivere un determinato nome, deve scrivere quello, non può scriverne altro. Non c’è un’altra parola per dire una cosa che ha sentito in quel modo».
Il suo è un racconto nostalgico?
«La nostalgia è sempre presente. I ricordi non sono altro che la nostalgia di qualcosa che è stato. Infatti, eliminiamo determinati ricordi, perché non ci interessano. La nostalgia è necessaria nella misura in cui mi perette di guardare a oggi e a domani, non è un rifugio. Mi spinge ad andare avanti, è un aiuto. I ricordi, la nostalgia ci aiutano a continuare a vivere, alimentano la speranza».
Alessandra Farro
Il link all’intervista su Il Mattino: https://tinyurl.com/yyr9v9ef
Cuba, per me, è un mito un po’ come per Abilio Estévez, autore di questo libro straordinario, Testimonianze di un’orgia poetica. Per lui – già pubblicato in Italia con Tuo è il regno (Adelphi, 1999) e I palazzi lontani (Adelphi, 2006) –, perché, dopo averci vissuto e sofferto a lungo, l’ha lasciata probabilmente per sempre. Per me, perché non ci sono mai stato, pur approfondendone da anni la realtà socio-politica nelle vesti di traduttore di un altro grande – e pur diverso per stile – scrittore cubano, Amir Valle. In qualche modo, sento vividamente quelle strade, quegli odori e quei colori – e anche i suoni, inclusi quelli che formano le parole pronunciate e quelle scritte. E conosco, o riesco perfettamente a immaginare, sia il tormento di chi non può più rientrarvi per motivi politici, sia quello di chi ci è sempre rimasto, pagando il prezzo di restrizioni, discriminazioni e castighi perché non si allineava al pensiero unico del regime castrista, o magari perché esprimeva, col suo modo di essere ancor prima che con la sua opera, una “scandalosa” visione libera dell’esistenza. In Testimonianze di un’orgia poetica, Abilio Estévez sonda la vita di tanti maestri della letteratura cubana contemporanea – in primis i suoi maestri Virgilio Piñera e Lezama Lima, ma anche altri nomi autorevoli, uno su tutti Reinaldo Arenas, lasciando emergere e al contempo cullandosi in una sorta di barcarola letteraria nella quale le sue sensazioni e idee dialogano e s’intrecciano con quelle degli artisti evocati, come se lui vedesse in loro degli alter ego della sua personale esperienza di radicamento nell’Isola e del successivo destierro – lo strappo dell’esilio. È così, come per exempla, che l’autore, magistralmente tradotto da Alessandro Gianetti, ci conduce nell’anima pulsante di questo paradiso terrestre tanto funestato dalla storia, sublimandone i dolori nella bellezza letteraria, ma al contempo senza ingentilirne troppo i tratti, dato che la vera arte nasce da quella sofferenza, come anche dai pochi attimi di intensa gioia. In altre parole, la verità di Cuba raccontata dai suoi maestri, che Abilio Estévez ripercorre con maestria leggera e coinvolgente, è essa stessa un tributo all’arte e alla memoria. In questo senso, Testimonianze di un’orgia poetica può definirsi una rapsodia della verità del ricordo. Tanto che la sua Cuba di esule – come in fondo anche la mia di non-ancora-visitatore – forse risulta ancor più vera di quella reale.
Giovanni Agnoloni
Il link alla recensione su La poesia e lo spirito: https://tinyurl.com/2s44u72y
Non conosco nessuno che sappia raccontare Firenze – e non solo – parlando (anche) di sé con la stessa naturalezza di Paolo Ciampi. Sono numerosi i libri che lo testimoniano – penso ad esempio a Gli occhi di Firenze, L’ambasciatore delle foreste e Il maragià di Firenze –, ma forse questo nuovo testo lo fa meglio di tutti. Il babbo di Pinocchio racconta una passeggiata serale estiva in una Firenze torrida e sonnolenta insieme al “fantasma” di Carlo Lorenzini – «in arte Collodi», come l’autore ripete formularmente più volte nel corso del libro –, che lui incontra “per caso” nel centro storico della città, per poi iniziare una lunga conversazione alternata a significativi silenzi e soprattutto a tanti passi in diversi punti del capoluogo toscano. Un incontro e un percorso, quelli con lo scrittore che inventò il burattino più famoso del mondo, che nascono come una visione credibile, perché in definitiva plausibile, se è vero che tutti i grandi protagonisti della storia letteraria, sia pur esiliati – come Dante – o tardivamente riconosciuti – come lo stesso Lorenzini, che del successo di Pinocchio vide appena una scintilla, dato che morì nel 1890, sette anni dopo la pubblicazione e ben prima della consacrazione mondiale, con traduzioni in oltre 260 lingue – sono una sorta di “elementali” del loro luogo d’origine. Insomma, i grandi della letteratura sono creature formate dagli stessi elementi del territorio che li ha generati, anche quando lo criticano aspramente per come li ha trattati o ha trattato altre persone. E Collodi, in vita, da giornalista attento alle questioni sociali e dotato di stile ricco e assai elegante, non mancò certo di chiarezza e spirito pungente. Carattere burbero, non si sposò mai pur avendo avuto diverse amanti, partecipò alle lotte risorgimentali e fu anche tra i primi scrittori italiani di reportages di viaggio (ricordiamo Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica). Anzi, forse è quest’ultima la ragione della speciale risonanza che il suo “spettro” trova con Paolo Ciampi, che ha nel viaggio il suo tema forte. Questa, e forse anche quella certa indole, che Paolo spesso si autoattribuisce, di “pigro indaffarato”. Ne risulta una conversazione credibile, gradevole e modulata secondo il ritmo della vita interiore dello stesso Ciampi, per cui, a proposito de Il babbo di Pinocchio, si può parlare in una certa misura di autofiction. Collodi insomma diventa per lui, per il breve (ma non così tanto) tratto di quella sera e quindi notte d’estate, una specie di fratello maggiore o di zio, con il quale non tanto identificarsi, quanto rapportarsi per cercare, in qualche modo, di approcciare l’indicibile: entrare, cioè, nel cuore e nella mente di un uomo solo e complesso e sforzarsi di vedere il mondo come lo vedeva lui. Esercizio quanto mai utile non solo perché scuole di empatia, ma perché la vera arte nasce precisamente da quella solitudine e da quella complessità. E solo a quel punto riesce, come un’artistica pietra filosofale, a trasformare non il piombo in oro, ma il legno in carne.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Paolo Ciampi, scrittore e giornalista, è autore di numerosi libri di viaggio e biografici. Direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana, ha pubblicato, tra le altre cose, L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia), sulla figura del matematico di Leonardo Fibonacci, Un nome (Giuntina), sulla vita della scienziata vittima dell’Olocausto Enrica Calabresi, Il sogno delle mappe La terapia del bar (Ediciclo) e Cosa ne sai della Polonia (Fusta). Inoltre, ha pubblicato In compagnia di Re Artù (Mursia), Gli occhi di Firenze, Un popolo in cammino e La zingara di Montepulciano (Bottega Errante) e, per Arkadia, L’ambasciatore delle foreste e Il maragià di Firenze.
Giovanni Agnoloni
La recensione su Lankenauta: https://tinyurl.com/2vypmzku