Un romanzo di poco più di un centinaio di pagine ambientato in Sardegna in un periodo tra la fine del’700 e i primi decenni dell’800, periodo storico molto travagliato e doloroso per il popolo sardo, ma anche poco conosciuto perché solo a volte citato nei libri di storia. Il protagonista è il visconte Francesco Maria Asquer di Flumini, l’io narrante del romanzo, è lui che racconta la sua vita trascorsa tra battaglie, grandi ideali, amori e passione per la natura. E lo fa in una lunga lettera, quasi un memoriale, un testamento spirituale indirizzata al figlio maggiore.
“In questo momento inizia a calare la sera, mi trovo nel mio studio e alla luce flebile della lampada a olio mi accingo a scrivere la prima delle pagine che dovranno comporre questa testimonianza, una sorta di diario più spirituale che biografico.”
Una rievocazione del passato, delle sue “tre vite”: la prima di giovane valoroso capitano militare e rappresentante politico degli Stamenti, (rami del Parlamento sardi), poi attivista in prima persona della Sarda Rivoluzione e prigioniero dei corsari turchi; la seconda di felice marito e padre; la terza della trasformazione in un tranquillo allevatore di bachi da seta, una metamorfosi, simile a quella dei bruchi, che sarà la sua rinascita.
“Da un passato di aspirazione alla gloria, con l’illusione di un destino di eroismo, ecco che sono diventato poi un tranquillo allevatore di bachi da seta […] Col tempo però iniziavo a sentirmi più libero, come se uscissi anch’io a mo’ di bruco da un involucro che m’imprigionava, trasformandomi a poco a poco in un’altra persona …”
La parte più corposa e dinamica del romanzo è, senza dubbio, quella che ha come scenario la “Sarda Rivoluzione” dove Francesco Maria rievoca uno dei periodi più tumultuosi della storia della Sardegna, periodo rivoluzionario a cui partecipa in prima persona. A questo punto vorrei aprire una parentesi storica per chiarire la situazione che regnava in Sardegna in quel periodo e lo faccio inserendo citazioni del “memoriale” di Francesco Asquer per rendere più realistico il contributo emozionale che va dall’ odio al coraggio, dall’esaltazione alla delusione, dall’orgoglio patriottico alla resilienza del popolo sardo. La dominazione piemontese in Sardegna iniziò tra il 1718 e il 1720, quando Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia, ricevette il Regno di Sardegna in cambio del Regno di Sicilia. Il trattamento che questi riservarono ai sardi, cancellando diritti da loro acquisiti con il precedente governo spagnolo come la partecipazione alla vita politica e alle attività in ambito amministrativo, generò un tale malcontento tra la popolazione da diffondere in tutta l’isola sentimenti rivoluzionari che ebbero il culmine nel triennio 1793-96 con la cosiddetta “Sarda Rivoluzione”.
“Certamente eravamo tutti legati da una stessa mentalità rivoluzionaria che ci spingeva a lottare contro l’assolutismo sabaudo, la crudeltà delle loro condanne precedute da aberranti sistemi di tortura da antica inquisizione spagnola. In particolare, ci diventarono insopportabili le annose ingiustizie sociali perpetrate da molti feudatari a danno delle popolazioni delle campagne …”
Ma ciò che più di tutto rafforzò la consapevolezza dei Sardi della situazione inaccettabile in cui vivevano fu la decisa difesa opposta ai francesi quando, nel 1793, attaccarono la Sardegna lungo due linee, il Cagliaritano e l’arcipelago de La Maddalena. Resistenza organizzata dai nobili ed ecclesiastici sardi che a loro spese arruolarono e armarono miliziani e popolani al contrario di quella debole ed esitante dei capi militari piemontesi, incerti se arrendersi o no. Fu, quindi, grazie al popolo sardo che il piano di conquista francese fallì per cui, pensando di essere ricompensati dai piemontesi per la loro lealtà, inoltrarono al re Vittorio Amedeo II una petizione, “Le cinque domande”, chiedendo che venissero ripristinati i diritti che aveva abolito.
“… Fui scelto allora come capo di una delegazione stamentaria allo scopo di chiedere la firma da parte della Corona, da sottoscrivere alle famose “Cinque domande”. Vale a dire le nostre cinque richieste volte a riconoscere i diritti basilari del popolo sardo […] Purtroppo, il sovrano non aveva avuto neppure il coraggio e la lealtà di riceverci, dato che poi, al rientro a Cagliari, fu il Viceré il portavoce del suo rifiuto. La sfortunata spedizione con tutte le conseguenze al seguito aveva segnato l’inizio delle aperte ostilità …”
Il rifiuto del re e l’inizio di un’azione repressiva su larga scala del governo piemontese con l’arresto dei presunti capi rivoluzionari, 28 aprile 1794, accesero la miccia che scatenò la sommossa popolare, passata alla storia come “sa die de s’acciappa”, cioè il giorno della cattura: 514 funzionari piemontesi, insieme al viceré Vincenzo Balbiano furono rastrellati dai Cagliaritani, stanati negli uffici, nelle case e per le strade e condotti al porto di Cagliari per essere imbarcati e lasciare così definitivamente la Sardegna. Intanto anche nel nord Sardegna le popolazioni del Logudoro e del sassarese erano in fermento per abolire il sistema feudale e avere condizioni più eque di lavoro. Alla fine del 1795, un esercito antifeudale di tremila contadini e braccianti (ma vi erano anche possidenti, sacerdoti, donne) guidato da Francesco Cilocco e Gioacchino Mundula assedia e si impossessa di Sassari. Fu così che Giovanni Maria Angioy, nominato “Alternos” (rappresentante del viceré) e inviato a Sassari con pieni poteri civili, giudiziari e militari, tocca con mano l’esasperazione delle rivendicazioni, diventa partecipe del movimento popolare antifeudale che avrebbe dovuto sedare, decidendo di effettuare una marcia antifeudale e rivendicativa su Cagliari, 2 giugno 1796. Purtroppo, la marcia si arrestò a Oristano con il fallimento della spedizione e l’abbandono da parte dei suoi partigiani. Il 9 giugno il viceré, con l’emanazione di un proclama, privava il rivoluzionario sardo della carica di Alternos e poneva una taglia sulla sua testa. All’Angioy non rimase che ripiegare su Sassari per poi lasciare la Sardegna e iniziare la lunga e travagliata esperienza dell’esilio che lo portò in Francia dove morì.
“Una volta fuggiti da Cagliari e rifugiati a Parigi, gli esuli non smisero comunque di sognare una Sardegna indipendente, libera dai Savoia e sotto la protezione dei Francesi. È appunto a tale proposito che, ripensando alla persona che ero allora, idealista e infervorata dagli stessi valori appartenenti all’amico giudice, da un bel po’ mi sto chiedendo se non abbia fallito nelle mie aspirazioni. O addirittura abbia peccato di codardia nel difendermi dalle accuse di elemento pericoloso per il governo, nello scrollarmi di dosso vigliaccamente le mie responsabilità. In ogni modo sono certo di non aver abbandonato, né mai rinnegato i miei ideali …”
Fallì così la Sarda Rivoluzione, lasciando l’isola sotto la dominazione sabauda, ma non morì. Nel 1812,(“Annus horribilis” per i sardi che diventerà proverbiale come “Su famini de s’annu doxi”, la fame dell’anno dodici), carestia, crisi economica ed epidemie contribuiscono a innescare la miccia di quella che fu l’ultima ribellione dei sardi contro il governo Piemontese. Il piano dei rivoluzionari, che si riunivano in un podere in località Palabanda da cui il nome “la rivolta di Palabanda”, consisteva nell’organizzare un’insurrezione nella notte tra il 30 e 31 ottobre 1812. Ma la notizia della cospirazione arrivò al re Vittorio Emanuele I, che si trovava a Cagliari in quanto il Piemonte era occupato dai francesi, che allertò i militari ai suoi ordini facendo arrestare quasi tutti i protagonisti della rivolta.
“La cosiddetta congiura repubblicana di Palabanda fallì prima ancora di iniziare […] La verità circa quella sera fatale del 30 ottobre 1812 comunque non venne mai a galla e numerosi misteri rimasero irrisolti. Di sicuro, una parte di responsabilità si può addebitare agli immancabili intrighi di corte, alle immancabili fughe di notizie, ai tradimenti di persone rimaste ignote […] Quando oramai la faccenda si concluse con la reclusione di molti dei patrioti sottoposti a tortura, incarcerati e infine condannati a morte, io stesso venni interrogato a lungo. Alla fine per fortuna ancora una volta riuscii a salvarmi, grazie alla mia presenza abbastanza marginale nel gruppo e soprattutto all’eroica fedeltà di alcuni amici che mai vollero dichiarare il mio coinvolgimento sopportando indicibili sofferenze fisiche …”
Un romanzo storico ma anche di formazione reso “vivo” dalla scelta di Renata Asquer di scegliere come tecnica narrativa la prima persona. Il protagonista, in questo modo, racconta eventi successi tempo prima e le rivede alla luce dell’esperienze maturate con il passare del tempo. Non solo. L’autrice costruisce il romanzo filtrando le vicende attraverso il “tempo misto”, passato, presente, futuro con una duplice prospettiva: il Francesco Maria Asquer protagonista e il vecchio Francesco Maria Asquer narratore che riflette sulle proprie vicende passate. Nel romanzo Francesco Maria inizia a scrivere la sua lunga lettera seguendo non una cronologia ordinata ma il libero flusso dei ricordi, cosa che all’inizio, personalmente, mi ha un po’ disorientato. Renata Asquer ha in questo modo sviluppato la narrazione su diversi piani: quello presente, il Francesco Maria che scrive e giudica, e il passato recente e remoto, il “vissuto” di Francesco Maria, proiettandosi anche nel futuro. Tutto questo con uno stile narrativo fluido che scorre veloce fino ad un finale che ci sorprenderà.
PRO
Sicuramente il fatto di aver dato risalto a un periodo storico poco conosciuto ma molto importante per il popolo sardo anche se dal finale amaro. E ai suoi grandi protagonisti come Giovanni Maria Angioj, Gerolamo Pitzolo che a molti, purtroppo, qui in Sardegna richiamano solo il nome di alcune vie cittadine …
CONTRO
Forse per alcune citazioni in sardo e per alcuni nomi istituzionali, come Alternos, Stamenti, si sarebbe dovuto, magari con una nota, spiegare il significato per quelli non addentro alla storia sarda.
SINOSSI
Protagonista di una stagione di rivolgimenti politici a cavallo tra la fine del Settecento e il principio del XIX secolo, il visconte Francesco Asquer di Flumini, giunto quasi alla fine dei suoi giorni, decide di lasciare una lunga lettera al figlio maggiore, da leggere come un testamento spirituale. La sua esistenza, fatta di politica, amori appassionati, conduzione dei propri affari viene di volta in volta contrassegnata dai grandi e piccoli avvenimenti della storia, dalla Rivoluzione francese all’epidemia di vaiolo che devasta la Sardegna, dalla rivolta di Palabanda alla carestia del 1812. Sospettato di giacobinismo, inviso a certi ambienti di corte, Francesco Asquer coltiva anche una viscerale passione per la campagna e per i gelsi, introducendo nella sua attività di bachicoltore tecniche innovative e moderne. E sarà proprio in questo piccolo universo dominato dalla natura che il visconte cercherà di raccogliere le proprie idee per trasmettere alle generazioni future il senso di una esistenza spesa al servizio della patria e della famiglia.
Laura Pitzalis
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ALGHERO – Giunta alla sua terza pubblicazione, questo nuovo romanzo storico narra di tre nobili fanciulle cagliaritane orfane di madre e figlie di un eroe rivoluzionario in esilio a Parigi, lacerate dal dilemma se continuare ad amare il padre, contro il suo apparente abbandono e il tessuto sociale reazionario in cui evolvono, oppure imporsi di dimenticarlo sino a ignorarne le ultime volontà. La prima opzione, in accordo con il cuore, le condurrebbe alla perdita. La seconda, salvando le apparenze, garantirebbe loro onore e rispetto in una Sardegna monarchica e conservatrice. L’amore incondizionato di un padre, le conseguenze devastatrici della sua perdita, dopo un’infanzia minata dalla morte precoce della madre e la chiusura in monastero, accompagnano le vite di Speranza, Giuseppa e Maria Angela Angioy sopraffatte da un carico emotivo troppo pesante per le loro spalle. Attorno alle tre sorelle brulica un universo di personaggi realmente vissuti nel Settecento sardo, sullo sfondo dei progressi societari tipici del secolo dei Lumi che porrà le basi della Sardegna moderna. Le nobili sorelle Angioy è una storia vera di umanità fondata sulla famiglia, l’amore, la perdita, il dolore e il tradimento ma anche di forza, quella di tre ragazze al bivio la cui scelta di vita celerà una sofferenza interiore non indifferente. Una storia che evidenzia personaggi anche imperfetti, regole societarie schiaccianti e i contrasti quasi insolubili che condurranno le sorelle a una scelta delicata. Nata a Siracusa e laureata in Lingue e letterature straniere, per via della grande passione per la letteratura francese Adriana Valenti Sabouret si trasferisce presto in Francia diventando docente presso l’Istituto Statale Italiano Leonardo da Vinci a Parigi e il Liceo Internazionale di Saint-Germain-en-Laye. Dopo aver svolto diversi incarichi per conto del Ministero degli Affari Esteri italiano, si cimenta nell’ambito della traduzione e inizia la collaborazione con alcune riviste. Nel 2019 esordisce in Francia con il romanzo Le rêve d’Honoré (Éditions du Panthéon). Con Arkadia Editore ha pubblicato Madame Dupont (2021), La ragazza dell’Opéra (2023) e Le nobili sorelle Angioy (2024). Ha al suo attivo numerosi articoli e interventi di carattere letterario.
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Sala gremita, martedì sera, alla Cittadella vescovile di Gerace, per il debutto del Festival del Pensiero Cristallino, con la presentazione di Esisto anch’io! (Psiche), della giornalista e scrittrice Eleonora Molisani. Il senso della rassegna, che vede nella contaminazioni di linguaggi e forme d’arte un potente strumento di ricerca della propria identità, è stato illustrato da Antonella Filastro, direttrice dell’Istituto di Psicologia Umanistico Esistenziale, che con una seconda sede (dopo Roma) a Cosenza è tra le realtà aderenti alla Riviera Cristallina. L’apertura dell’evento, condotto dalla giornalista Camilla Ghedini, è stata invece affidata ai saluti istituzionali del sindaco Rudi Lizzi, cui hanno fatto seguito quelli dell’assessore competente, Marisa Larosa, di Pino Varacalli come Presidente Federsanità regionale, di Filippo Strano, direttore Riviera Cristallina. E se il focus di martedì, con il contributo di Molisani e Paolo Crimaldi (docente IPUE), è stato sul mito, quello di giovedì, alle 21, al Castello feudale di Ardore Superiore, sarà sulla migrazione e vedrà protagonista Emanuele Pettener con Floridiana (Arkadia). Il testo è una commedia sul desiderio, sull’essenza magica e ridicola della nostra esistenza, un romanzo tragicomico in cui ogni lettore (tra amori non corrisposti e desiderio di tornare alle proprie radici) può ritrovare un po’ di se stesso. Pettener è Professore Associato d’Italiano e scrittore in residenza alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida). Autore di romanzi, è tradotto in varie lingue. Negli Stati Uniti è appena uscito il saggio Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante, per Farleigh Dickinson Press ed è in uscita È sabato, mi hai lasciato e sono bellissimo per Bordighera Press. Floridiana uscirà in Spagna per Editorial Sloper nel novembre 2024. Pattener fa parte dei comitati editoriali di Bordighera Press (New York) e di Casa Lago Press (New Fairfield, Connecticut). A dialogare con l’autore, secondo il format dell’IPUE, sarà Lorenzo Tarsitani, Professore Associato di Psichiatria dell’Università La Sapienza di Roma, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa Psichiatria Policlinico Umberto I, Roma.
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Torno di sorpresa sorpresissima con un post di consigli per l’estate che poi alla fine è diventato anche un piccole recensioni tra amici.
Incredibili miracoli che accadono in una torrida serata di luglio!
Non mi dilungo troppo e vi lascio con le recensioni prima che questo post esca in tempo per la prossima estate!
DOPPIO. IL MIO VIAGGIO NEL MONDO SPECCHIO di Naomi Klein ed. La nave di Teseo:
Stranissimo che si sia parlato così poco di questo saggio di Naomi Klein, un saggio che sicuramente come è stato fatto notare non brilla per la traduzione sin dal titolo (l’originale era “Doppelganger”, incomprensibile perché sia stato cambiato), eppure tocca in modo inquietante praticamente tutti i punti delle derive politiche distopiche a cui stiamo assistendo da qualche anno a questa parte.
Naomi Klein, autrice di “No logo”, parte da un suo diciamo problema personale: la gente la confonde con Naomi Wolf.
E voi direte, e vabbeh, sai quante volte capita a me di essere confusa a caso (tipo, a me sbagliano regolarmente il cognome in Mangano, forse perché è più comune)?
E beh, nel suo caso è un problema bello grosso perché Naomi Wolf è il suo esatto opposto: è nata come studiosa del femminismo (suo il famoso “Il mito della bellezza”) e poi ha preso una strana deriva.
In un rapido giro di walzer, condito anche da libri piuttosto dubbi, ha sposato tesi novax, ha iniziato a condurre ricerche universitarie in modo controverso e poco scientifico, e si è trasformata in filobannoniana, trumpiana, complottara e insomma è assurta sorta ad amata intellettuale di questa destra che flirta con la fantascienza facendo credere a molti che è la realtà.
Da questo problema (perché lo è visto che la gente le fonde in un’unica entità attribuendole affermazioni e scritti che non le appartengono e sono anzi la cosa più lontana da sé), la Klein fa una lunga e dettagliata e inquietante serie di considerazioni che vi faranno dire a più riprese: ma allora non sono pazza, DAVVERO c’è qualcosa che non va.
Sostanzialmente Klein spiega per filo e per segno come l’attuale destra eversiva abbia creato, per usare le loro parole, “un mondo al contrario” che lei definisce “mondo specchio”.
Ossia una sorta di realtà parallela dove complotti sanitari e politici si mischiano a fanatismo ed eversione spacciata per tradizione, ritorno ai valori di una volta, disciplina e ordine (per gli altri ovviamente, per i “nemici”, agli amici è concessa ogni libertà, spacciandola per rivoluzione contro poteri misteriosi).
Tutto, letteralmente tutto, compreso lo sconcerto che prova lei nel non capacitarsi di come la gente creda praticamente agli asini che volano, sembrerà uscito dalla vostra testa.
In più, Klein fa una serie di considerazioni interessantissime su come, volenti o nolenti, internet sia diventato un luogo in cui siamo costretti a stare.
E’ stata infatti la scarsa cura della sua immagine in internet che ha permesso che il suo “brand” (fa un’analisi anche su come TUTTI adesso siamo dei brand anche se non vogliamo vendere nulla perché brand e identità personale si stanno fondendo ANCHE se non vogliamo) si confondesse con quello della sua omonima. Klein ha voluto rimanere ai margini del gioco e il gioco ha deciso per lei.
Riappropriarsi della propria identità quando qualcuno, il suo doppelganger in questo caso, te l’ha rubata, è davvero difficile.
Mi fermo qui perché questo libro ha dentro davvero tante tante cose e avrebbe meritato una diffusione e un dibattito degno di “No logo” (e sì, lo so, una traduzione migliore).
Cercatelo, leggetelo e davvero vi sentirete meno soli, meno pazzi e, se non altro, avrete nuove chiavi di lettura per leggere tanti fenomeni del nostro tempo.
LA SERIE DEL VICEQUESTORE NIGRA di Paolacci e Ronco:
Ogni anno cerco qualche nuova serie di gialli a cui appassionarmi e, devo dire, ho collezionato ormai una lunga serie di buchi nell’acqua anche quando i migliori presupposti sembravano esserci tutti (Ilaria Tuti sigh, grandissima per me delusione).
Questo luglio un’inattesa sorpresa è giunta per assoluto caso. Dolcemetà mi aveva chiesto un giallo da leggere e io avevo tipo 10 minuti di tempo per fare un giro all’usato (praticamente io ormai leggo grazie al mio fornitissimo negozio dell’usato di fiducia).
Presa dall’ansia, ho afferrato un libro dalla sezione dei gialli quasi a caso e ho visto che il protagonista era un vicequestore gay dichiarato che indagava su un delitto di matrice omofoba alla vigilia dell’approvazione delle unioni civili.
Prima mi sono chiesta perché non ne avessi mai sentito parlare, poi l’ho comprato e infine in neanche 2 pomeriggi l’ho letto.
Allora, mi è piaciuto TANTISSIMO. L’indagine non è particolarmente complessa (io devo dire che amo avere il trick del capire chi è l’assassino, ma non amo le trame talmente contorte che a un certo punto non ti ricordi manco più chi ha parlato con chi), ma non è quello l’importante.
L’importante, come anche nei gialli di De Giovanni, è tutto il resto: ambientazione, personaggi, dialoghi, gusto del racconto e della lettura.
Il protagonista è fantastico. Un personaggio originale, poliziotto gay dichiarato in un ambiente non proprio friendly che mena come un fabbro, affronta il pregiudizio, lo rigira verso chi lo sbandiera. Io mi sono rivista in praticamente tutti i dialoghi, nella stanchezza di dover ripetere le stesse cose, nell’assurdità di vivere in un mondo dove ogni 3 secondi o devi fare il wikipedia lgbt di etero pigri o devi adattarti a un contesto che non è nato per prevedere chi non fa parte dello standard.
E la narrazione è arguta, intelligente, vispa. L’orientamento sessuale di Nigra è trattato in modo credibilissimo ed è al contempo fondamentale EPPURE non viene usato in modo furbo e pigro.
Ossia Nigra è una persona gay non è il personaggio gay la cui unica peculiarità è quella.
C’è una differenza fondamentale che in troppi, se non in tutti, faticano a capire. Leggetela in questo libro gustosissimo e intelligente. Voglio trovare al più presto tutti gli altri della serie, purtroppo solo 3 (e spero all’usato).
CINQUECENTO ANNI DI RABBIA di Francesco Filippi ed. Bollati Boringhieri:
Ci sono tutta una serie di argomenti (è uno dei post che vorrei fare da mesi, ma rimane lì nel mondo delle idee) che incomprensibilmente vengono ignorati dall’editoria. O meglio, non so se vengano ignorati dall’editoria o non si producano saggi interessanti al riguardo, ma comunque si tratta di lacune nel dibattito pubblico piuttosto vistose.
L’analisi approfondita dei processi comunicativi alla base di internet e/o dei social è una di queste. Da brava laureata in archivistica e biblioteconomia non ho mai capito perché non venga fatto un parallelismo approfondito tra l’invenzione della stampa a caratteri mobili e internet.
È di recente uscita questo saggio che non sposa la mia tesi, ma almeno un po’ ci si avvicina o sembra tentare un’analisi di ciò che sta alla base della propagazione incontrollata delle informazioni.
L’autore vede un parallelismo tra stampa e social basandosi sul sentimento della rabbia che io sarei meno propensa ad avallare, ma è comunque interessante e comunque è un inizio.
Non proprio una lettura da ombrellone, ma non si sa mai.
LA MIA COSA PREFERITA SONO I MOSTRI 2 di Emil Ferris ed. Bao Publishing:
Non esattamente un libro da spiaggia data la mole, ma sicuramente un libro da estate data la mole.
Finalmente dopo anni esce il seguito di questa storia prodotta da Emil Ferris interamente con penne bic (o non so se bic, comunque penne).
Una storia di fantasmi della storia e fantasmi reali in cui una ragazzina orfana di padre (e presto anche di madre), appassionata di horror di serie z e innamorata di altre ragazzine, indaga sull’omicidio vicina di casa che forse era una vittima del nazismo o forse ne era complice e carnefice.
Siamo nel 1963, in un sobborgo americano e la ragazzina, come suo fratello maggiore, è di origine anche messicana e non è quindi in cima alla lista dei cittadini di serie A.
Tutti nascondono molti segreti e lei si aggira con le sue fattezze di piccolo mostro in un mondo più spaventoso dei suoi amati film. Finalmente in questa seconda parte scopriremo la verità?
Sì e no. Nel senso che si scoprono molte cose e appaiono molti altri bei personaggi, ma i fili, se posso dirlo, non vengono tirati insieme a dovere.
Si poteva disperdere meno e si poteva rendere il tutto più epico. Più che altro perché visivamente il libro è talmente incredibile, sontuoso, fantastico ed enorme, che i cedimenti della storia spiccano vistosamente.
Lato positivissimo: il queer accennato nella prima parte qui esce fuori in modo chiaro e gioca una parte importante.
In ogni caso un libro stupefacente: da comprare.
LA SCRITTRICE NEL BUIO di Marco Malvestio ed. Voland:
Segnatevi bene questo titolo per due motivi:
1) Ne riparleremo approfonditamente a ottobre, nei pressi di Halloween.
2) È, secondo me, uno dei romanzi italiani migliori degli ultimi anni.
Non esagero, nessuno mi ha pagato, nessuno mi ha spedito il libro, l’autore non è amico mio (anche se l’ho riconosciuto e inseguito alla Fiera del Libro per congratularmi del romanzo), e io, come sapete, non grido al genio ogni volta che una casa editrice mi invita a un aperitivo e mi invia un gadget carino (cosa che comunque non accade).
Siamo di fronte a un libro gotico letterario in piena regola, scritto benissimo e con un’idea originale e tradizionale al tempo stesso.
Un giovane ricercatore universitario di letteratura italiana, Marco, vive una competizione/attrazione con Federico, un collega più bello, ricco e capace di lui.
Un giorno il collega/rivale/papabile oggetto del desiderio svanisce nel nulla e decide di indagare.
Tutte le piste portano a una misteriosa scrittrice italiana degli anni ’60, tale Maria Zanca, che era stata attiva tra il veneto e Roma per poi sparire dai radar letterari e mondani alla misteriosa morte del compagno, anch’egli scrittore e deceduto in circostanze misteriose.
Ma chi è davvero Maria Zanca?
Attorno a questo interrogativo, più perturbante e inquietante di quel che può sembrare in principio, gira un romanzo raffinato e tenebroso che costruisce e inserisce all’interno del panorama italiano una figura letteraria in modo talmente convincente che è impossibile (ve lo dico) non controllare se essa sia esistita realmente e la storia abbia un fondo di verità.
Leggetelo, inquietatevi e poi a ottobre se ne riparla.
LE NOBILI SORELLE ANGIOY di Adriana Valenti Sabouret ed. Arkadia:
Ah, quanto mi manca la Sardegna!
In estate mi sento sempre un Cavalcanti qualunque che pensa “Poiché non spero di tornar giammai, ballatetta mia, in Sardegna!”.
Certo, tecnicamente, e conto in banca permettendo, posso tornarci quanto voglio, ma la Sardegna della mia infanzia e gioventù non esiste più perché siamo cambiate entrambe, nostro malgrado.
Questo però non impedisce all’estate di farmi venire ogni santo anno una nostalgia acutissima, difficile da tenere a bada.
I libri possono venire in aiuto. Ecco quindi individuato questo romanzo storico su tre sorelle nobili cagliaritane, figlie di un rivoluzionario in esilio a Parigi, in una Sardegna settecentesca.
Il padre le ha abbandonate e loro, orfane di madre, sono divise tra i fervori rivoluzionari del genitore e lo status quo sardo.
Consiglio sulla fiducia e sulla nostalgia per la Sardegna. Spero sia all’altezza delle aspettative.
Buone letture!
Il link alla segnalazione su I dolori della giovane libraia: https://tinyurl.com/2z5x8csy
Siete proprio sicuri di conoscere il babbo di Pinocchio, il burattino più famoso nel mondo, dal naso “animato” ogni volta che diceva una bugia? Non fate il mio stesso errore credendo si parli di Geppetto, il povero falegname che lo modellò da un pezzo di pino. Sicuramente anche lui, ma in questo libro il babbo di Pinocchio è Carlo Lorenzini, per tutti Collodi e credo proprio che (come me) dopo averlo letto vi renderete conto di quanto poco ne sapevate. Ce lo descrive molto bene l’autore, nel suo cilindro calcato sul cranio calvo, in abito elegante, gambe incrociate, mani infilate sul panciotto [… ] l’aria di chi sarebbe propenso al dolce far niente, un pigro indaffarato», seduto su una panchina ad osservare la sua Firenze, « la città di Acchiappacitrulli» – come ripete più volte all’autore che gli si è seduto accanto –- « degradata, sporca, affollata di accattoni e poveracci. Eppure bella». È la notte di San Lorenzo, notte magica di stelle cadenti, e tutto può accadere passeggiando per la città festeggiante e affollata di turisti. Anche di incontrare un uomo così speciale. I due iniziano una conversazione fitta e concitata alternando «silenzi e discorsi che aspiravano alla reciproca sottomissione» aggrovigliando le riflessioni per poi recuperare « il filo della matassa». Non mancano le affinità, punti di incontro e argomenti di interesse comune, fra cui la professione, il legame con la città e l’amore per le parole, « parole che cambiano il corso degli eventi». E fra una bevuta di birra e un’altra, gli autori si raccontano. Carlo Lorenzini, «per tutti Collodi» narra di sé, delle sue umili origini a fianco della nobiltà, della sua “indolenza” rispetto al fratello Paolo invece più determinato ed equilibrato, del suo lavoro di giornalista, della sua ideologia patriottica … Si scopre in questo dialogare, il vero Lorenzini, un uomo di grande humour, amante dell’alcool e del gioco, « uomo di sfumature, linee d’ombra, confini incerti». Non mancano le riflessioni e le battute su Firenze e i fiorentini, la Firenze capitale del suo tempo e quella contemporanea, città vetrina affollata di turisti che si abbuffano nei punti ristoro di cui la città è piena o in fila sotto il sole cocente per ammirare i capolavori del Rinascimento, incapaci di abbracciare con lo sguardo la vera bellezza della città. O come puntualizza Carlo Lorenzini stesso: «Una città, dove ogni casa ha la sua eco e le mura filtrano voci. Dove tutti sembrano sapere di tutto e presumono di poterlo raccontare a modo loro. Dove due terzi delle cose si sanno e l’altro terzo si tira a indovinare, ed è quello che davvero conta». Non mancano tanti aneddoti, verità e curiosità legati ai luoghi e ai personaggi che li abitano – vera e propria peculiarità stilistica dell’autore – che riescono sempre a meravigliarci. Un libro indispensabile per conoscere davvero Pinocchio, perché senza la conoscenza del suo “babbo” si apprezza solo in parte il valore dell’opera. E poi c’ è quel nome, Collodi, uno pseudonimo che gli ha portato fortuna certo, ma che suona alle sue orecchie come una condanna, un velo destinato a celare in modo indelebile la sua vera identità.. Una lettura semplicemente deliziosa, colloquiale – scritta in seconda persona – scorrevole come acqua dell’Arno, in cui noi lettori come silenziose farfalle abbiamo il privilegio di assistere e seguire i due scrittori nel loro viaggio per vivere la stessa magica avventura, alla scoperta di curiose verità. E se credete che vi abbia svelato troppo, niente di più sbagliato, c’è ancora molto da sapere, non per ultimo a chi è rivolta questa lunga e interessante chiacchierata.
“Il babbo di Pinocchio” di Paolo Ciampi (ed. Arkadia 2023)
Antonella Cipriani
Il link alla recensione su Tasti e parole: https://tinyurl.com/bd7mtsuw
Alice Bellucci, impiegata quarantenne single, viene coinvolta in un grave incidente automobilistico che le causa una perdita parziale della memoria. Quasi contemporaneamente viene licenziata così da essere costretta a ripensare completamente la propria vita. Al suo recupero psicofisico partecipano la sorella, il cognato e il nipote che diventano autentici punti di riferimento. E poi arrivano Carlo, affascinante e sfuggente, con cui intrattiene un’amicizia platonica destinata in breve tempo a esaurirsi, e Paride, imprigionato in un rapporto sentimentale disfunzionale con una donna impegnata e anche lui alla ricerca di un baricentro affettivo più stabile. Sebbene nessuno dei due desideri ulteriori coinvolgimenti emotivi, tra loro nasce una forte intesa.
AUTRICE
Lucia Guida nata a San Severo, abita e lavora a Pescara, città in cui insegna Inglese. Nel 2012 ha esordito con la silloge di racconti Succo di melagrana. Storie e racconti di vita quotidiana al femminile, menzione speciale al Premio Nazionale “Donne e così sia” (2014). Nel 2013 pubblica il suo primo romanzo La casa dal pergolato di glicine, premiato alla XIV Edizione del Premio Internazionale “Val di Vara-Alessandra Marziale” e al Concorso Letterario Nazionale “Urbe Parthenicum” (2015). Già curatrice di rubriche letterarie su siti di arte, musica e spettacolo, al momento si occupa di un blog sulla piattaforma WordPress e di alcune pagine su Facebook di scrittura e lettura dedicate ai suoi libri e alla propria attività di autrice. Per Arkadia Editore ha pubblicato Oltre la porta socchiusa (2024).
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