Ariase Barretta
Nato a Napoli, si è laureato all’Istituto Orientale per poi proseguire gli studi presso le Università di Modena, Barcellona e Madrid, dove ha conseguito un Dottorato in Letteratura ispano-americana. Nel 2009 ha vinto il Premio Letterario “La voce dei sogni” a cui ha fatto seguito la pubblicazione di Litany. Successivamente ha pubblicato i romanzi Darkene (2012), Psicosintesi della forma insetto (2014), H dalle sette piaghe (2015), premiato come miglior noir al Festival “Giallo al centro” di Rieti, e Living Fleshlight (2018), tutti editi da Meridiano Zero. Nel 2018 ha fondato, insieme alla performer Manuela Maroli, il duo di Letteratura performativa Sacrificium Viduae, con cui ha realizzato le opere Luce di carne viva e Le lacrime di Venere. Attualmente si occupa di Queer Art e Transmodernismo, con particolare riferimento all’opera dell’artista e scrittore cileno Pedro Lemebel. Il suo ultimo romanzo, Cantico dell’abisso per Arkadia Editori, tratta di un abisso profondo, nero, apparentemente insuperabile. È l’abisso della paura che diventa normalità.
Chi è Ariase Barretta?
Non lo so. Non ho mai incontrato Ariase, è una entità che si manifesta a tratti. Tra le mie molteplici personalità c’è anche questo signore. Non mi conosco e ne sono contento perché quando ti conosci troppo arrivi a proteggerti ed eviti di sperimentare determinate situazioni. So dove mi trovo, quello sì! Mi riferisco alla mia ubicazione geografica, in senso logistico: per esempio oggi sono a Bologna ma mi muovo continuamente tra Napoli, Madrid e Bologna. In aeroporto hanno pensato di dedicarmi un gate con una targa con il mio nome.
E per quanto riguarda il percorso della tua carriera, in che punto ti trovi?
Posso risponderti che ho la sensazione di essere sempre a zero. Nonostante abbia fatto tante cose nei mie 50 anni, e mi riferisco agli studi, ai libri pubblicati, quelli tradotti e ai progetti culturali, io continuo a concentrarmi sulle cose da fare più che su quelle già fatte. Per esempio, a fine Maggio esce in Spagna il mio saggio di critica letteraria sullo scrittore cileno Pedro Lemebel, e per fine anno uscirà anche in Italia. Per la prima volta mi autotraduco, il saggio è nato in spagnolo perché è parte della mia tesi di dottorato. Nel 2025 uscirà un altro saggio su una tematica completamente diversa. Sono contento dei miei progetti futuri.
Parlando di traduzione, hai trovato qualche differenza tra tradurre ed autotradursi?
Autotradursi è molto più difficile. Quando traduci un altro autore, senti la responsabilità verso quella persona e ciò ha un certo peso. Quando traduci te stesso, in questo senso sei più sereno perché non tradisci te stesso, sai cosa hai scritto. Tuttavia, la difficoltà è dettata dal fatto che ragioni costantemente in due lingue diverse. In questo caso io ho scritto il libro nella mia terza lingua, lo spagnolo, e non nella mia lingua madre, il napoletano. Per me l’italiano è una seconda lingua perché l’ho imparato a scuola; in casa mia si parlava il napoletano, ed io il napoletano lo parlo e lo scrivo, quindi per me è la mia lingua madre. Detto questo, immagina l’arzigogolo mentale in cui mi muovo, tra un po’ il mio cervello andrà in fumo… ho scritto il libro nella mia terza lingua, lo spagnolo; l’ho tradotto all’italiano, la mia seconda lingua e in questi passaggi ho dovuto fare molta attenzione alle interferenze linguistiche.
I tuoi libri spaziano dal genere distopico, al noir, alle tematiche LGTB+ e alla fantascienza…
C’è un po’ di tutto. Per esempio “Litany” è un romanzo lirico, un po’ fiaba dark, gotica con una componente alchemica e dei miei libri è un caso a parte, non ho più scritto nulla di simile. Poi c’è la trilogia ambientata a Napoli “Darkene”, “Psicosintesi della forma insetto” e “H dalle sette piaghe”. Darkene fu definito da Sergio Pent sul Corriere della Sera un romanzo di iperrealismo sociale. Gli altri sono stati poi etichettati come psico noir e, in effetti, “H dalle sette piaghe” ha vinto un premo in un festival noir a Rieti. Io non mi sono mai posto il problema del genere a cui aderire. Il romanzo successivo, “Living Fleshlight”, però, è a tutti gli effetti un romanzo di fantascienza distopica. Mentre “Cantico dell’Abisso” inaugura una trilogia di romanzi ambientati a Bologna. Ha vinto anche un premio di cui vado molto fiero: il Premio DEI (Diversità, Equità e Inclusione), assegnato ogni anno a Perugia. Tratta il tema del transgenderismo, se proprio vogliamo etichettarlo. Ma in realtà ha tante implicazioni psicologiche diverse. Parla della famiglia, dell’ipocrisia, ed è ambientato nella Bologna bene degli anni 80.
Cantico dell’Abisso è considerato un libro sincero e duro come un pugno nello stomaco…
Certo, perché in questo libro si parla di ipocrisia. L’ipocrisia di costruire una facciata che vada bene a tutti. È stato complicato pubblicarlo, così come lo era stato per Living Fleshlight, in cui si parla di una tematica molto forte,ossia l’abuso nei confronti delle donne, donne trasformate in bambole. In “Cantico dell’Abisso” io racconto la storia di un ragazzino che ha 13 anni, nel 1987, che oltre ad avere un’espressione di genere non conforme al sesso che gli è stato attribuito alla nascita – non si sente né uomo né donna, è un soggetto Gender fluid – è anche innamorato di suo padre. Questo amore poi verrà anche vissuto fisicamente. Possiamo dire che è una situazione scabrosa ma non irreale, queste cose avvengono continuamente e questo romanzo, in effetti, è basato su fatti reali. A ogni modo, il vero personaggio negativo di questa famiglia è la madre perché accetta questa situazione per sua convenienza a discapito di tutti coloro che la circondano. Una madre che insieme alla sua amante, ex suora, è capace di atti di puro sadismo. Molte persone, dopo averlo letto, mi hanno detto che una storia del genere non può essere vera, eppure lo è! È reale!
Living Fleshlight, un libro di fantascienza distopica, dove si parla di abuso sulle donne e Cantico dell’Abisso che tocca la tematica del transgenderismo. Due temi in auge ma con una accettazione diversa da parte della società. Credi che ci vorrà ancora del tempo per poter normalizzare la situazione relativa all’espressione di genere in Italia e arrivare a sentirsi veramente liberi?
Penso di sì. Tieni in conto che non solo le case editrici hanno storto il naso di fronte a queste opere – anche in maniera molto violenta – ho ricevuto pesanti critiche anche da parte della stampa. Persone che non hanno voluto nemmeno parlare del libro e che poi in privato mi hanno attaccato perché secondo loro, si tratterebbe di un romanzo “scorretto”. La differenza tra i due libri è che Living Fleshlight ha una componente metaforica, il tutto viene raccontato attraverso una realtà che non esiste, anche se quando parlo di queste donne fatte a pezzi, in realtà sto parlando delle donne reali. Purtroppo, l’idea di fare a pezzi il corpo delle donne e darlo in pasto alla gente è una norma nell’ambito della comunicazione, soprattutto quella pubblicitaria. In “Cantico dell’Abisso”, invece, si rompe un tabù. Agli italiani si può toccare qualsiasi cosa tranne la sacralità della famiglia. La famiglia è l’archetipo su cui si fonda un certo tipo di società. Toccare la famiglia significa rompere un tabù molto forte e per l’italiano medio diventa destabilizzante vedere attaccata una sua certezza. Bisognerebbe iniziare ad accettare che la famiglia non è sempre un luogo di protezione, anzi, spesso è un luogo di distruzione. Personalmente credo più nei rapporti che non sono quelli di sangue perché le persone le scegli in base alle tue affinità. Il rapporto di sangue non lo scegli, ti viene imposto dalle circostanze e dalla natura. Il protagonista del libro, per esempio, a un certo punto incontra una ragazza che si prostituisce insieme a lui e che diventa la sua nuova famiglia.
E tu che rapporto hai avuto con la tua famiglia? Quanto c’è di autobiografico in questo libro?
Ho avuto un rapporto meraviglioso, sono stato fortunatissimo. La mia famiglia io l’avrei scelta. I miei genitori mi hanno dato il massimo dell’amore che si possa dare a un figlio. Mio padre c’è ancora, ha 91 anni ed è ancora meraviglioso; mia madre non c’è più, ma anche lei mi adorava. Leggeva tutti i miei libri, non le piacevano, era il mio peggior critico e diceva che nei miei romanzi c’era troppo sesso e troppa violenza. In “Cantico dell’Abisso”ci sono alcune cose che posso definire autobiografiche: io mi considero un individuo agender, nella misura in cui considero i generi costrutti sociali, convenzioni che rifiuto, quindi non mi sento né uomo né donna, mi sento Ariase Barretta. C’è un altro elemento autobiografico: il fatto che io abbia sempre adorato mio padre. Sì, forse questo complesso di Elettra, di innamoramento nei confronti del padre, potrei dirti che è autobiografico. Per me mio padre è l’uomo più bello del mondo. A parte questo e qualche piccolo episodio, per fortuna di mio non c’è altro.
Visto che la società sembrerebbe non ancora pronta per questi temi, date le critiche, non pensi che quello che scrivi possa limitare la tua carriera di scrittore?
Non riesco a valutarmi come scrittore però, con assoluta certezza, so che per il mio successo sarebbe molto più semplice scrivere su altre cose e andare più facilmente incontro ai gusti dei lettori e alle richieste degli editori. Tuttavia, io sono contento così: non voglio essere più ricco o più famoso di quello che sono. Voglio solo essere Ariase Barretta, amato da quel numero circoscritto di persone che per me contano qualcosa.
Cosa vuoi dire ai tuoi lettori?
Voglio dire loro di non fidarsi del conformismo perché nasconde meccanismi crudeli, perversi e distruttivi. Mi riferisco al conformismo sociale, ma anche a quello letterario, anzi pseudo-letterario, che è l’antitesi della letteratura.
Grazia Giordano
Il link all’intervista su Senza Linea: https://tinyurl.com/5x4rxu7d
Ognuno ha il suo abisso. Certi abissi però sono più abissi di altri. L’abisso di Ariase Barretta per Arkadia Editore è un abisso profondo, nero, apparentemente insuperabile. È l’abisso della paura che diventa normalità, del dolore che diventa quotidiano, della sporcizia emotiva che uccide, assassina, come un killer insaziabile. Qualcuno ha però la forza di risalire quell’abisso, di analizzarlo, di guardarlo nelle pupille e di innalzare a esso un cantico perché nemmeno l’abisso può nulla contro chi, in un modo o nell’altro, sa di essere un individuo, un essere umano, una persona vera.
«C’è più purezza nel mio abisso che nei falsi sorrisi di cui si nutre la vostra ipocrisia».
Una lettura che fa il rumore di un vetro che si frantuma, di un cristallo che si rompe in mille pezzi e si sparge ovunque, di una bomba che esplode sulla terra e svela un cratere al diradarsi del fumo e della polvere. Quella che parte come la descrizione di un’adolescenza qualunque, si rivela essere poi un documento, un testamento dell’essere nella sua forma più pura. Davide, il protagonista, riflette, si pone domande, acquisisce una consapevolezza piena e completa della sua vita, del suo corpo, del suo essere Aurora:
«Per fortuna ho deciso da tempo di non dare più ascolto agli altri, ai medici, agli amici, agli psicologi, e non permetterò mai più a nessuno di parlare di me come uno sbaglio, di definire il mio corpo un errore. Nessun corpo è un errore».
Una purezza di sentimenti descritta con uno stile lineare, senza orpelli, senza edulcorare nulla. Un centinaio di pagine di forza e di dolore che rimarranno scolpite nel mio cuore di lettrice.
Flora Fusarelli
Il link alla recensione su Rinascitaoggi: https://bit.ly/3sjzcPG
ARIASE BARRETTA. CANTICO DELL’ABISSO
Chiudo il libro e mi concedo qualche minuto per respirare. L’abisso è ancora lì, nella mia testa, si è cibato del mio ossigeno. Nonostante la luce abbagliante che pare invadere ogni cosa, questa manciata di vite disgraziate ha lasciato un solco nella mia esperienza di lettore e so già che ci resterà per parecchio tempo. Non conoscevo le opere precedenti di Barretta, non avevo letto nulla di suo, ricordo solo un paio di Meridiano Zero negli scaffali di una libreria a Bologna, stupidamente mi sono approcciato alla lettura di questo centinaio di pagine aspettandomi il classico romanzo di formazione LGBTQ con un travaglio doloroso, un percorso di crescita e una catarsi finale a riappacificare gli animi. Non avevo immaginato quanto sarebbe stato lucido, spietato e affascinante precipitare nel baratro di questo autore. C’è un’estate, sono gli anni ottanta, in una Bologna surriscaldata dall’imminente arrivo delle vacanze, la voce è quella di Davide, un tredicenne come tanti, alla scoperta delle sue prime folgorazioni, in un corpo che sembra non volerne sapere di crescere e che di colpo invece si ritrova i primi peli sul pube, i primi risvegli nel sudore, lo stomaco in subbuglio alla vista dei corpi nudi degli amici del padre in riva al fiume. Davide che adora Cindy Lauper, che ascolta nel suo walkman le cassette registrate dalla radio, che piange guardando Candy Candy e Mimì Ayuhara e vomita sulle coltellate di Profondo rosso. È l’estate delle domande invadenti, della rabbia e dell’invidia nei confronti di quel fratellino, Mauro, adorabile secchione che mamma e Giuseppina non smettono di lodare. È l’estate dei Postalmarket sfogliati di nascosto alla ricerca di quei corpi in mutande così diversi da quello di Osvaldo, suo padre, la cui stazza massiccia lo fa sembrare nei sogni bagnati come un Jeeg Robot ricoperto di peli pronto a sfidarlo, proteggerlo, amarlo. È l’estate dell’amore, appunto, un amore viscerale, devoto, cieco nell’opprimente impellenza di appartenere, mente e corpo, a quel padre obbligato a restare confinato in un appartamento nuovo, nella periferia di Bologna, nel periodo più caldo dell’anno, assieme al fratello minore, mentre sua madre e quell’ex-suora invadente saranno altrove, lontano, dimenticate nella caligine. Ed ecco che il romanzo improvvisamente sferza. Quello che prima ci appariva come il resoconto di una formazione adolescenziale vista dagli occhi del protagonista, ora muta in qualcos’altro. L’ossessione dilata la percezione del tempo, dei sentimenti, delle priorità e quel materasso al centro della sala si fa metafora di un limbo in cui ogni limite percettivo verrà abbattuto in balìa di pulsioni frutto di una famiglia “sbagliata” fin dal suo concepimento iniziale. Sono scene forti quelle che ci vengono descritte attraverso gli occhi di un Davide maniacalmente deviato da quell’adorazione totale nei confronti di un padre duro ma anche dispensatore di inaspettati slanci di gentilezza, una figura patriarcale totalizzante che non si fa scrupolo di nascondere la sua preferenza per quel fratellino così brillante, fragile, ingenuo nella sua innocente inconsapevolezza. E la penna scivola negli anfratti di questo rapporto che non si preoccupa di abbattere ogni limite né tabu, attraverso una narrazione liquida che minimizza i dialoghi, compatta i paragrafi e forte è la sensazione di un continuo scivolamento, appunto, verso il basso, la parte più sconosciuta e celata delle nostre percezioni, attraverso gli occhi di un tredicenne che non ha priorità se non quella di soddisfare e rendere orgogliosa l’unica persona che ha saputo accettarlo per quello che realmente è. L’autore compie un lavoro magistrale nel sospendere ogni forma di giudizio o condanna morale: quello che leggiamo è quello che accade, è accaduto e continuerà ad accadere. L’abisso è parte e materia di ognuno dei personaggi qui rappresentati. L’abisso è crescere all’ombra dell’invidia, l’abisso è una pulsione che si ciba di corpi inconsapevoli ma l’abisso è anche una madre in fuga, incapace di saper accettare il proprio figlio e che per questo si affida alla distanza o all’aiuto di una ex-suora convinta che una punizione fisica sia l’unica soluzione per contenere la voragine. L’abisso forse è la scomodità di saper accettare tutto questo. Il senso di colpa per non aver saputo ribellarsi, per non aver preso le difese di un fratello più fragile o per non aver ascoltato la propria voce interiore fin dall’inizio. A ogni modo, come dice l’autore stesso, c’è più purezza in questo abisso che nella falsità di certe sovrastrutture sociali e la forza di una buona letteratura personalmente penso stia tutta qui: nella sua capacità di farci male, sollevare quesiti, spingerci a riflettere. In questo, l’opera di Ariase Barretta è faro in una notte di oscure ipocrisie.
Stefano Bonazzi
Il link alla recensione su Satisfiction: https://bit.ly/3GMZbDf
Ho chiesto a critici, scrittori e intellettuali che stimo una lista di libri da non perdere, pubblicati dal 2018 a oggi. Inizialmente pensavo a una classifica ma, effettivamente, in corso d’opera, mi sono resa conto che sarebbe stato – almeno per me – impossibile scegliere in termini quantitativi chi dovesse figurare in testa e chi in coda. Perciò, i libri sono elencati in ordine alfabetico a partire dal titolo, ho motivato le scelte in base al dono ricevuto, all’originalità dei testi e al coraggio, con particolare attenzione alla piccola e media editoria. L’iniziativa nasce soprattutto per dare spazio alle voci eretiche della letteratura italiana e ai libri penalizzati dalla pandemia. Avrei voluto consigliarne molti altri, ovvero tutti quelli che ho recensito nel corso di questi anni. Ad ogni modo, l’iniziativa si ripeterà il primo febbraio di ogni anno, per segnalare un libro basterà inviare una email a: suiteitaliana@gmail.com con poche – e sottolineo poche – righe di motivazione.
“A guardare il Nord” di Massimiliano Santarossa (Biblioteca dell’immagine)
Santarossa porta a compimento un progetto di scrittura ventennale, e raccoglie i suoi precedenti romanzi in un unico grande corpus con una scrittura mista, piena di inserti saggistici sulla condizione politica e economica attuale (e non solo, c’è proprio un excursus storico). Una scrittura realista, metallica, sempre attenta alla condizione degli ultimi, tratteggia un paese sventrato. Una vocazione, quella di Massimiliano, a guardare tra le macerie della nostra civiltà.
“Anatomia di un profeta” di Demetrio Paolin (Voland)
Un libro epico, quello di Demetrio Paolin, in cui autobiografia e narrazione storica s’intrecciano, con uno stile evocativo di forte impatto, quasi un dialogo tra Demetrio e Geremia. Un libro mistico, di perdizione oserei dire, la religione nel suo senso più profondo è una forma di perdizione, smarrisce il soggetto nell’illimitato.
“Ballate nere” di Diego Riccobene (Pequod)
Poesie barocche, la cui eleganza antica ritrova tradizioni apparentemente cancellate dalla banalità imperante. L’indimostrabilità di ogni certezza e un’oscurità creatrice guidano tale ricerca, sostenuta da un meticoloso lavoro di studio.
“Cantico dell’abisso” di Ariase Barretta (Arkadia)
Un romanzo forte, che qualcuno ha definito osceno: storia d’amore incestuosa di un figlio per un padre, furiosa competizione con un fratello più amato, scoperta lenta e dolorosa della propria omosessualità. Osvaldo e Mauro si contendono le attenzioni di un padre irraggiungibile, dovendo sbaragliare le ingerenze di una serie di donne, non solo la madre, con l’attitudine di scalare una montagna piena di insidie. Quanto colpisce in Ariase è la qualità della prosa, la capacità di districarsi tra monologo – si tratta di un’intersezione delle voci di più personaggi – e meditazione – che conduce coraggiosamente a una scrittura non convenzionale. Come l’autore stesso ha detto, questo è il suo libro più compiuto. È un romanzo forte, ma forse nella pornografia – nel senso in cui la intendeva Carmelo Bene – è sottesa la trama invisibile dell’inconscio.
“Canzonette stradaiole” di Antonio Veneziani (Hacca)
Antonio Veneziani scrive di una Roma periferica e brutale, ma estremamente seducente, piena di amori, corpi, e pianto che lamenta l’assenza di un affetto scomparso. Una città svuotata, derelitta, lascia il posto ai fantasmi di un luogo dove amore carnale e povertà s’incontrano miracolosamente, senza leggi e senza Dio, ma colmi di riconoscenza e lacrime.
“Conversari” di Alfonso Guida (Roundmignight)
Prosa poetica e poesia di Alfonso Guida sono pietre preziose raccolte dal fondo di un’anima sofferente che si fa carico di tutto quanto trova nel percorso. La grazia e il rigore stilistico sono di grande forza evocativa, trascinando con sé la storia dei dimenticati, luoghi di contenzione o d’abbandono, donne di un passato quasi mitologico, bassifondi. Da tali rovine scaturiscono perfezione metrica, lirismo puro e dolorosa abbagliante bellezza.
“Il colore del tuo sangue” di Paolo Restuccia (Arkadia)
Un thriller lynchano, visionario che si configura come un set cinematografico che deraglia in un sogno/incubo. È scritto con una lingua rapida e visiva, dove tutto scorre proprio come in una pellicola. Nella mente della protagonista compaiono molte scene di film. Il primo evocato è “Blow-Up” di Michelangelo Antonioni (1966, ispirato al racconto “Le bave del diavolo” di Julio Cortázar).
“La presenza e l’assenza” di Franz Krauspenhaar (Arkadia)
Krauspenhaar ha scritto un noir esistenziale sulla falsariga di Dürrenmatt. Un libro d’azione, con dialoghi serrati, ma anche visionarietà. Man mano che si procede, la trama si infittisce, approdando all’indagine psichica di due anime dannate, con un finale a sorpresa, volutamente non chiuso e non consolatorio. È un romanzo esistenziale, con un forte carico di violenza psicologica, sottile e spietato.
“Lo stigma” (Pequod) di Carlo Ragliani
Versi concisi ed essenziali sullo stigma, il segno imposto dal Dio biblico a Caino dopo aver ucciso il fratello. La silloge è parte di una trilogia dedicata al sacro, dove l’uomo assiste al miracolo pur vivendo nella caduta, dove ogni esistenza è al contempo uno stato di morte e di grazia.
“Ologramma in La minore” di Gianpaolo Mastropasqua (Caosfera)
Un libro che trae ispirazione da Bach e traduce in poesia la sua opera. Riportare l’accordatore universale a 432 hz per avviare una nuova epoca in risonanza con la frequenza curativa dell’universo. Si legge dall’inizio alla fine e capovolto dalla fine all’inizio, è abitato dal tempo binario, umano, e dal tempo ternario, divino.
“Stagioni scalene” di Edoardo Olmi (Ensemble)
Con una spiccata valenza politica, la poesia di Olmi, pur usando gli stilemi del lessico contemporaneo, social e giornalistico, raggiunge un lirismo pienamente compiuto proprio nella commistione dei linguaggi. Sarcastica e feroce, pienamente ribelle, raggiunge il suo massimo nel descrivere i paesaggi di Roma e Firenze. Competenza e cultura indagano la realtà con uno sguardo radicale, mediante un verseggiare metricamente compiuto.
“Stati di desiderio” di Marilena Votta (D editore)
È la storia di Daniella, ragazza mulatta, nata da un matrimonio misto, con padre giamaicano. Daniella è un modo per dire al mondo io esisto, diversa e scomoda, ma esisto, e posso cambiare il flusso d’energia se entro in una stanza. Lei è straniera ovunque. In Italia è mezza nera e in Giamaica le direbbero che è mezza bianca. Marilena ha una scrittura sensoriale, densa, tattile e visionaria.
“Tutte queste voci che mi premono dentro” di Andrea Di Consoli (Editoriale Scientifica Lettere)
Un memoir a metà strada tra critica letteraria e narrazione autobiografica, diviso in episodi – ognuno leggibile come un racconto a sé – e scritto con un italiano che molti autori sembrano aver dimenticato – ci tengo a specificarlo. Di Consoli è uno degli scrittori italiani che dimostrano maggiore compiutezza dal punto di vista semantico; in questi racconti-ricordi non mancano mai punti di riferimento della nostra tradizione poetica – spesso persone incontrate dal narratore – quali Scotellaro, Arpino, Riviello e molti altri. Ogni sezione parte con una riflessione – sulla politica, sulle sigarette, sui fantasmi – e procede come un reportage di gran stile fornendo quadri precisi e a tratti sconcertanti, ma non privi di compassione, del nostro Paese.
“Vodka siberiana” di Veronica Tomassini (autopubblicazione)
Veronica Tomassini descrive il disagio, la povertà, la periferia, ma lo fa con tratto onirico, e in ciò risiede la sua sfida: raccontare storie minime con uno stile massimo, rendere onore alla disperazione attraverso la religione. La prosa lirica dell’autrice, che oscilla di continuo tra poesia e narrazione autobiografica, indaga il tratto costitutivo della nostra esistenza e quanto ci rende dissimili dalla pulsione bestiale e dall’astrazione numerica. I paesaggi sono metafisici, e anche se possiamo intuire dove ci troviamo, siamo in un altrove assoluto. Prende le mosse da Limonov di Carrère creando una trama-lingua – non pura trama ma lingua che trama – indisgiungibile dal vissuto, dalle suture della memoria.
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Carlo Ragliani
Ragionando per etimi prima ancora che per quesiti, la pandemia sussume la natura collettiva su cui questa ricade, investendo sostanzialmente ogni manifestazione umana a questa contestuale. Il che, senza troppi mezzi termini, significa che il morbo (con le conseguenze principali di costrizioni e di privazioni) si è imposto impietosamente sulle aree di produzione artistica tout court, intaccando certamente sia la produzione, che qualità medesima, del prodotto artistico. Il mero disquisire, in questo tempo e di questi anni, attorno a quali, o quanti, testi siano stati nociuti (o peggio, tacitati completamente) dal male che sta piagando la quotidianità potrebbe essere di primo acchito argomento di poco valore, o invero bagatellare, rispetto ai risvolti più complessi che il Covid19 abbia fatto emergere e risaltare, in ogni sfaccettatura della società. Pur tuttavia, giungendo alla questione, nella compromissione dell’attività poetica complessiva del mercato editoriale, difficile risulta non affermare che i più penalizzati siano gli autori emergenti, ovvero – in linea di massima – pubblicati da casa editrici meno in luce. Volendo perciò contestualizzare una scelta che potrebbe sembrare arbitraria, se non anzi parziale in assenza di una spiegazione preliminare, non sarebbe corretto non soffermarsi sopra a quelle opere la cui fortuna sia stata stroncata dagli argomenti medesimi che questa tratta. Di qui, dunque, le ragioni che verranno appuntate andranno a concentrarsi primariamente attorno ad un elemento esteticamente compiuto nel verso che più vada ad informare quella tragica oscurità dei contenuti dei testi, battendo quelle soglie poetiche non riconosciute dalla maggioranza dei fruitori; fino a renderli di non attuale apprezzamento, se non anzi non allineabili con un filone di poesia tra i più condiviso. Tenendo ben presente che non si vuol fornire un elenco esaustivo o conclusivo in materia, appaiono, seguendo un ordine non preciso, i seguenti titoli a concludere l’intervento:
“Breviario delle aberrazioni” Michele Paladino (Fallone)
“Dialoghi con Amin” Giovanni Ibello (pubblicata in Russia dall’editore Igor Ulangin per la collana “Contemporary Italian poetry” diretta da Paolo Galvagni nel 2020)
“Favete linguis”, Mario Famularo (Giuliano Ladolfi)
“La consegna delle braci”, Giorgio Maria Cornelio (Luca Sossella editore)
“Misura del sonno”, Federico Federici (Anterem edizioni)
“Piazzale senza nome”, Luigia Sorrentino (Samuele editore – Pordenone legge)
“Taccuino dell’urlo”, Sonia Caporossi (Marco Saya)
“Tirrenide”, Maria Grazia Insinga (Anterem Edizioni)
“Unità stratigrafiche”, Laura Liberale (Arcipelago Itaca)
“Zebù Bambino”, Davide Cortese (Terra d’ulivi)
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Mattia Tarantino
Tre libri, tre linee: alterazioni di frequenza, traiettoria, spirale irrisolta. Tre libri, come un gesto intratrinitario, scaglia e logorio di amuleto. Tre libri come note per il margine, come increspature e sorgenti di una parola minore, di un corpo a corpo con la morte, la proprietà, il possibile. Si tratta di:
“Corpo striato” di Riccardo Frolloni (Industria&Letteratura)
“Solchi” di Jacopo Mecca (Fallone).
“Quaderno croato” di Vanni Schiavoni (Fallone).
Quaderno, corpo, solchi: metodo e combinazione, piega, ritaglio.
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Iolanda La Carrubba
“Aggredior virus. I migliori giorni della nostra vita” di Claudio Comandini (Mondo Nuovo): un saggio sulla controversa situazione pandemica, agli albori del suo insorgere.
“Essere e significare” di Antonio Francesco Perrozzi (Oedipus): un poema che affronta la complessità tra Mondo e Linguaggio.
“Città metafisiche” di Ilaria Palomba (Ensemble): una raccolta piena di patos, tra le difficoltà dell’esistere senza bisogno di confessioni.
“Fiabe dei mutamenti” di Tiziana Colusso (Bertoni): una raccolta di fiabe illustrate da Giuliana Milia che attraversa i mutamenti fisici e psicologici dei bambini, per descrivere e far vivere altri mondi possibili.
“Gli angeli della casa” di Silvio Raffo (Elliot): un romanzo immerso nell’atmosfera tra il gotico e la Nouvelle vague dai richiami noire.
“Il mondo visto da vicino” di Irene Sabetta (Il Convivio): una raccolta poetica che descrive una mappa delle avventure.
“Insoliti livelli di salute” AA.VV. curata da Iolanda La Carrubba (EscaMontage): una raccolta di poesie e racconti brevi su uno stato di salute precario, come la malattia influenza il corso della quotidianità.
“Poesie di ieri” di Stefano Bottero (Oedipus): una raccolta particolare tra dimenticanze e assenze.
“Sign(s) of the times. Pensiero visuale ed estetiche della soggettività digitale” di Serafino Murri (Meltemi): un saggio che analizza la soggettività digitale nel fenomeno dei social attraverso l’era della simultaneità.
“Zero, nessuno e centomila: Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero” di Sacha Piersanti (Arcana): un saggio che attraversa l’arte zerofolle con uno sguardo attento al rapporto tra teatro e fenomeno Glam.
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Francesco Improta
In arte, a mio avviso, ogni rivoluzione avviene sempre e soltanto sul piano dello stile, non meraviglia che, nella scelta dei libri da consigliare, la mia attenzione sia caduta su quei testi dove la parola depurata di tutte le scorie, le incrostazioni e le sovrapposizioni ha recuperato, o quanto meno ha cercato di recuperare, la sua smagliante purezza e la sua adamantina trasparenza, perché solo così le cose tornano a essere dicibili e i sentimenti e le emozioni risultano definibili.
“Binari” di Monica Pezzella (Terrarossa)
Lo stile è personalissimo e inquietante: a livello sintattico il periodare tende a spezzarsi di continuo per il sopraggiungere di un’idea o di un’immagine che non ammette di essere ritardata, i dialoghi sono ridotti al minimo; la punteggiatura spesso latita e accostando un termine all’altro si viene a creare una gremitezza oggettuale da cui il lettore si sente sommerso e disorientato)
“Il cannocchiale del tenente Dumont” di Marino Magliani (L’Orma)
Il suo stile, che potremmo definire prevalentemente nominale in quanto predilige sostantivi e aggettivi, è conciso, sincopato, uno stile verticale come il paesaggio che descrive. La lingua colta e raffinata, nel complesso, non disdegna di attingere al dialetto; il risultato è uno straordinario impasto di suoni e di colori.
“Le verità bugiarde” di Marisa Papa Ruggiero (Oèdipus)
L’ordito del libro è costituito da astrattemi concetti, idee e referenti astratti su cui Marisa Papa Ruggiero tesse le sue invenzioni verbali, gli slittamenti di senso, le acrobazie linguistiche mossa da una evidente tensione filosofica e da una raffinata volontà ludica, comune a tutti o quasi gli artisti ma particolarmente spiccata in lei, a cui non mancano né istinto teatrale né consapevolezza delle proprie abilità linguistiche, che sfiorano talvolta il virtuosismo.
“Le stagioni del viaggio” di Maria Pia Romano (Besa)
Un’opera matura nella concezione, nella costruzione e nella realizzazione, sorretta da uno stile unico e inconfondibile che coniuga cronaca e leggenda, pubblico e privato e che indulge a frequenti digressioni, di carattere riflessivo o descrittivo, che l’autrice si concede per esprimere emozioni e convinzioni senza interferire nella vicenda principale.
“Non finirò di scrivere sul mare” di Giuseppe Conte (Mondadori)
Una sinfonia che per il tema trattato e per il senso di immensità misteriosa e insondabile ad esso connesso ci riporta alla mente La mer di Debussy; anche Conte non diversamente dal musicista francese spinge il lettore a fare uso della memoria e dell’immaginazione per cogliere tutte le valenze e le implicazioni culturali ed emozionali dei suoi componimenti. Una raffinata tessitura di immagini, suoni e colori esaltati per di più da una ricercata elezione lessicale e da una ricca strumentazione retorica (metafore antitesi, sinestesie). Un arazzo, meglio ancora, uno splendido e prezioso tappeto persiano, visto l’amore di Conte per quella civiltà.
“Ring” di Ilaria Palomba e Luca Perrone (scritto nel 2019, inedito)
Gli autori, dotati di talento non comune e in possesso di scritture diverse ma entrambe potenti e incisive, decidono di confrontarsi, calzando i guantoni e salendo sul ring, per dare vita a un incontro di boxe senza esclusione di colpi. Una novità nel panorama letterario italiano, per certi versi mi ha richiamato alla mente il duello tra un gesuita e un giansenista sui temi della Grazia e della Predestinazione in La Via Lattea di Louis Buñuel, lì affondi, fendenti e parate, qui guardia, montanti e diretti; comunque sia una chicca da gustare assolutamente sempre che qualche editore coraggioso voglia investire, cosa che mi auguro con tutto il cuore, su quest’opera straordinaria e per molti versi rivoluzionaria.
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Diego Riccobene
La lista che segue non è stilata in ordine di merito o di qualità. Trattasi di opere lette nel periodo in oggetto che, per diversi ordini di ragioni, avrebbero necessitato maggiore esposizione. O anche “fortuna”, se è così che si suole dire. Si definisca pure in questo modo, liberamente. La fortuna, in quanto Parca, in quanto forza, risiede probabilmente nel dolore che essa sa determinare, puntellando dogmi sotto il loro stesso nervo scoperto. Se sorgiva, a dirla tutta, non sia toccata dal barrage della contingenza, benché quest’ultima determini gli umori di chi la vede venire alla luce.
Con quale esattezza parlo di luce? Sapersi infervorare nel trapasso, per macularla d’ombre: è maniera dei libri che cito qui di seguito.
“Apologia di un perdente”, Marco Vetrugno (Elliot)
“Brama”, Ilaria Palomba (Giulio Perrone)
“Breviario delle aberrazioni”, Michele Paladino (Fallone)
“Gries”, Davide Brullo (Nino Aragno)
“Il fallout degli dèi”, Mark Bedin (RPlibri)
“La crepa madre”, Carlo Tosetti (Pietre Vive editore)
“Nature morte e vanità”, Alfonso Maria Petrosino (Vydia)
“Necropolis”, Giordano Tedoldi (Chiarelettere)
“Opus Metamorphicum”, Sonia Caporossi (A&B editore)
“Unità stratigrafiche”, Laura Liberale (Arcipelago Itaca)
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Marilena Votta
Tra i libri penalizzati dalla pandemia ho scelto:
“Brama” di Ilaria Palomba (Perrone)
“Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa” di Francesca Mattei (Pidgin)
“La sete” di Giovanni Lucchese (D editore)
Questi libri parlano tutti di disagio mentale ed esistenziale, i protagonisti sono afflitti dal bisogno d’amore come da una fame insaziabile, e sono tutti, in varia misura, delusi e traditi. Sono tutti sospesi, in bilico sull’orlo di vortici emotivi e fisici, nel modo evidente dei sopravvissuti.
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Giorgio Patrizi
“Dell’amore ed altre forature”, Nico Maraja (Ediciclo)
“Il cielo per Roma”, Mariano Baino (Exorma)
“Il libro delle case”, Andrea Bajani (Feltrinelli)
“Le cose da salvare”, Ilaria Rossetti (Neri Pozza)
“Lingua madre”, Maddalena Fingerle (Italosvevo)
Ilaria Palomba
Il link alle segnalazioni su Suite Italiana: https://bit.ly/3AUFxnr
Ariase Barretta
È nato a Napoli e vive a Madrid. Si è laureato all’Istituto Orientale per poi proseguire gli studi presso le Università di Modena, Barcellona e Madrid, dove ha conseguito un Dottorato in Letteratura ispano-americana. Nel 2009 ha vinto il Premio Letterario “La voce dei sogni” a cui ha fatto seguito la pubblicazione di Litany. Successivamente ha pubblicato romanzi Darkene (2012), Psicosintesi della forma insetto (2014), H dalle sette piaghe (2015), premiato come miglior noir al Festival “Giallo al centro” di Rieti, e Living Fleshlight (2018), tutti editi da Meridiano Zero. Nel 2018 ha fondato, insieme alla performer Manuela Maroli, il duo di Letteratura performativa Sacrificium Viduae, con cui ha realizzato le opere Luce di carne viva e Le lacrime di Venere. Attualmente si occupa di Queer Art e Transmodernismo, con particolare riferimento all’opera dell’artista e scrittore cileno Pedro Lemebel.
Il link alla recensione su Walter Bianco Blogger: https://bit.ly/3GvtUnY
“Cantico dell’abisso” di Ariase Barretta (edito Arkadia, pubblicato nella collana Sidekar) è un romanzo disturbante. Lo è perché racconta orrori e tabù con un linguaggio liquido che si lascia bere- all’inizio almeno- senza inciampi; come quando in preda all’arsura d’agosto si sente la necessità di un qualsiasi refrigerio pur di soddisfare quel bisogno fisico impellente, incuranti se la pozione ingerita sia calda, fredda o tossica. Si beve e basta, lasciando al corpo e alla mente, la reazione di causa e effetto di quel gesto (proprio come accade ad Alice in “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll). Il romanzo è ambientato a Bologna, si svolge in un arco temporale di circa vent’anni che inizia nell’estate dell’87. Il contesto familiare raccontato è apparentemente normale, come tanti: padre operaio, madre infermiera, due figli ancora troppo piccoli per essere definiti adolescenti, e una colf. Tutti, però, sottopelle nascondono brame e inquietudini, pronti a esplodere. La storia di Davide, all’epoca tredicenne, comincia come fosse un cartone animato a colori e esattamente come altri ragazzi della sua età, frequenta la scuola senza provarne una particolare attrazione, mentre il fratello Mauro, più piccolo di tre anni, al contrario sembra esserne attratto, motivo per il quale riceve elogi e attenzioni da parte di genitori e insegnanti, e un atteggiamento di sfida e invidia da parte del fratello maggiore, in continua competizione con lui. Davide è ingenuo, un sognatore, un idealista con la testa tra le nuvole; spesso la sua realtà si confonde con il mondo fatato costruito dalla mente, legge i giornalini Cioè, ama la musica di Madonna e Cindy Lauper, gli piace travestirsi e nutre una profonda, erotica attrazione per il padre dal quale vorrebbe più affetto di quante non ne riceva, (in riferimento a Davide si potrebbe parlare di complesso di Elettra, ma non avendo competenze psichiatriche in merito mi limito solo ad accennare alla questione). La situazione familiare precipita quell’estate dell’87 quando, dopo l’ennesimo litigio, i genitori di Davide e Mauro decidono di trascorrere le vacanze separatamente. I fratelli seguiranno il padre in una casa di Bologna dove i desideri incauti di Davide avranno un risvolto ambiguo. In quell’angolo bolognese di inferno e paradiso, le giornate si consumano in preda a orrori incestuosi. Il padre è un uomo malato, un pervertito che abusa dei figli e li sottomette promettendo in cambio pizza, gelati e televisione senza orari. La casa delle tanto agognate vacanze si trasforma in un’abbazia di Thelema degli orrori, di cui Dio ha dimenticato l’esistenza o, proprio come la madre, ha voltato le spalle per non vedere. E se per Davide quelli trascorsi con il padre sono attimi di euforia in cui si convince perfino di voler essere “sua moglie”, per Mauro quella vacanza sarà l’inizio di un delirio personale, la nascita delle sue inquietudini. E la madre? Profondamente anaffettiva, Rachele (nome biblico che vuol dire pecorella) ha deciso di sposarsi solo per salvare le apparenze borghesi. Di famiglia benestante, la donna è profondamente insoddisfatta del proprio lavoro che tende a distorcere nelle discussioni, ingigantendo le mansioni che ricopre in reparto. Si intuisce l’attrazione per Giuseppina, la colf, forse ex suora, forse omosessuale, rigida come un palo della luce, sadica, frustrata e vendicativa, terribilmente odiosa. «La Giuseppina» come viene chiamata nel romanzo, è probabilmente il personaggio più respingente (e, a mio parere, proprio per questo uno dei più interessanti) del libro, capace di qualsiasi bassezza. Come suggerisce il titolo, il libro è una discesa nell’abisso più nero dei sentimenti umani, un rotolamento nell’inferno delle storie più squamose, tuttavia purtroppo vere, raccontate con un sorprendente linguaggio ironico e a tratti quasi favolistico. Il lettore osserva la storia dal punto di vista di Davide (nome biblico che vuol dire “Dio ha amato”. Interessante appare infatti la scelta dei nomi dei personaggi), un ragazzo dalla purezza disarmante, un Idiota dostoevskiano capace di amare incondizionatamente. E proprio per questa sua assoluta naturalezza (mai sentiremo il ragazzo provare sentimenti negativi, se non per infantili gelosie) disposto a tutto pur di ricevere quell’amore, le attenzioni che tanto brama. L’indagine dell’animo umano, del sottosuolo o dell’abisso, si sperimenta con un linguaggio incredibilmente elegante e sofisticato, dalla sporca naturalezza, osato in questi termini forse solo nei Demoni di Feodor Dostoevskij e qualche altro classico; per questo a mio parere “Cantico dell’abisso” potrebbe già esserlo, un classico. Di libri così perfettamente disturbanti, sui quali si inciampa, di storie dalla lama sottile capaci di tenere incollato il lettore alle pagine, lasciarlo ridere e soffocare allo stesso tempo, farlo e pezzi e riportarlo a galla, restituirlo alla vita dopo il caos dell’inferno, solo pochi, che io ricordi, ne sono capaci, (specialmente oggi); tra tutti dicevo I “Demoni” e, forse, anche “La sinfonia pastorale” di André Gide, un premio Nobel per intenderci.
Il link alla recensione su Fimmina che legge: https://bit.ly/3F5Y7cT
Un’estate di speranza, anche se non sembra fermamrsi il virus che ha cambiato le nostre vite. Ma il mare e anche la montagna sono le mete preferite anche per chi lavora e può godere di un solo giorno di libertà. Ed eccoci con tanti libri che consigliamo. Libri da poter leggere in una sola giornata, per poi riprenderli e ancora approfondirli. Stupore in casa Rubbettino, con l’intellettuale Antonio Di Giovanni che onora la memoria di Don Luigi Sturzo con ‘Oltre La nazione. La pace’. Il volume raccoglie una serie di interventi su Luigi Sturzo con lo scopo di richiamare l’attenzione su alcuni aspetti ancora attuali del pensiero politico e dell’opera del fondatore del Partito Popolare italiano. Un’analisi densa, ricca di elementi poco noti e che ha come orizzonte l’impegno dell’autore durante i lunghi anni dell’esilio tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America. Temi attorno ai quali ruota l’intero lavoro sono la «pace» e l’«internazionalismo». Una ricerca, quella del Di Giovanni, ancorata a dati documentali e fonti archivistiche, uno studio che traccia l’identikit del fuoriuscito perseguitato dai fascisti e che racconta della tenace determinazione del prete calatino nel coltivare il sogno degli Stati Uniti d’Europa. Quel «prete intrigante», come lo definì Giolitti, si rivelò instancabile e autorevole voce della costellazione dei fuoriusciti, attivista che seppe confrontarsi con i protagonisti del suo tempo e riuscì a sfidare la brutalità dei totalitarismi.
Il caso dell’anno, Giusy Sciacca con ‘Virità, femminile singolare-plurale’, pubblicato per Kalòs Edizioni, non può mancare. Il libro è stata un’exploit dall’uscita e prosegue a cavalare l’onda del successo. «Questo libro è senz’altro un bell’esempio di sorellanza, svela come una regione non possa essere raccontata da una persona sola ma da un mosaico di sguardi, e come quegli sguardi, se sono femminili, non possano che parlarsi tra loro, seguendo insieme il filo rosso dei simboli, dalle triscele, ovvero l’antica raffigurazione dell’isola, fino alle storie di ninfe e di dee, di principesse e creature mostruose, passando per la nomenclatura, il gesto da cui si snoda il senso che diamo ai luoghi» – (Nadia Terranova, Robinson) Le protagoniste di questi venti racconti, stanche di essere spesso dimenticate o travisate, prendono la parola per narrare loro la storia e spiegare al lettore la propria versione dei fatti. Alcune abitano sull’Isola dai tempi del mito, altre sono partite per poi ritornare, altre ancora sono arrivate in epoche più moderne, fino a giungere agli albori del Novecento. Sono dee, artiste, nobildonne, talvolta sante, ma anche rivoluzionarie, eretiche, scienziate. In una parola, donne. E non aspettano altro che essere ascoltate. Il volume – che è il risultato dell’intreccio di queste singole voci, scelte e filtrate dalla scrittura dell’autrice – diventa così plurale. Come la parola virità, femminile singolare-plurale.
Marsilio non manca con una penna e una storia che rappresenta ciò che viviamo quotidianamente. C’à anche molta ironia, lui è Luciano Modica e il libro è Aspetta Mezzanotte. Uscito ad Aprile, le gesta di un curatore fallimentare nell’invischiato mondo delle mafie nuove tra sfruttamenti e razzismo.
In casa Algra Editore da segnalare i ritorni di Domenico Trischitta che chiude la trilogia su Catania andando a ritroso, ‘La città nera’ infatti è il primo volume, ma esce per ultimo e a distanza di 32 anni dalla sua stesura. Mimmo, per gli amici è un portento della narrativa italiana e mai ha lasciato la sua Catania e la sorpresa è doppia, ‘Una raggiante Catania’ forse il romanzo più conosciuto e ancora oggi più cercato, lo si troverà in libreria lo stesso giorno di uscita de ‘La città nera’ con la nuova veste grafica della cover curata da Fabio D’Angelo e pubblicato anch’esso per Algra: lo sappiano i lettori, finalmente le nuove generazioni potranno leggere il capolavoro di Trischitta; Alessandro Marinaro con ‘Ironia delle sorti’ (“Ironia delle sorti” è una panoramica su alcuni caratteri umani ben precisi, quelli che appartengono alle persone strampalate, che diventano personaggi con tante ombre e poche luci, buffissimi e fragili. Persone che, di punto in bianco, decidono di comportarsi in modo inconsueto, solo per comunicare il proprio dolore al mondo. Personaggi divenuti così bizzarri che – per ironia della sorte, appunto – oltre a commuoverci potrebbero farci sorridere delle proprie sofferenze) e Giovanni Coppola con ‘Una comune storia sbagliata’. Una storia di amicizie e di un amore negato. Una storia di mafia in una Catania lacerata dalle sue promesse non mantenute. Una storia di un ritorno che cede agli inganni dei ricordi. Una storia della resa al destino. Insomma, una comune storia sbagliata. Ma Algra non si è fermata, Cusa con ‘Vic ’, battezza la sua vena narrativa.
Del fenomeno dell’editoria indipendente, Arkadia, che tre volte su tre ha candidato ben 5 libri al Premio Strega ecco cosa consigliamo. Daniele Musto, Wonder Boy: Cosa ci faceva quel giorno, Wonder Boy, sulla tangenziale di Modena, inseguito dagli zingari dello Scalpato, Lorrain La Maiala e i servizi segreti di mezzo mondo? Cosa sono questi precetti di vita di cui parla in continuazione? E la “teoria del callo”, in cosa consiste? Ognuna di queste domande troverà adeguata risposta in Wonder Boy, prima, però, un piccolo spuntino: si affettino quattro veli di filetto di salmone chinook e li si lascino riposare in una marinatura di lime, salsa di soia e cipolla Tropea tagliata a dadini. Li si dispongano su una fetta di pane casereccio leggermente abbrustolita e insaporita da una leggera pennellata di burro salato di vacche rosse. E dopo, eccoci pronti a conoscere la vera storia di Maniele Dusto, a tutti noto come Wonder boy; Ariase Berretta con il suo ‘Cantico dell’abisso’ che il nostro Gianfranco Cefalì ha recensito appena ieri 31 luglio, clicca qui per leggere la riflessione del raffinatissimo nostro collega e collaboratore. Sorpresissima, perché a Settembre il caldo e l’estate per nulla è finita, l’atteso ritorno di Davide Grittani che già circola anche se il giorno ufficiale di uscita è il 2 settembre, ma c’è una magia che non stiamo a svelarvi che incrocia il 6 settembre: ‘La bambina dagli occhi d’oliva’.
Il 5 agosto, come ogni anno Bonfirraro non tradisce i lettori ed eccolo con l’inedito di Pietro Esposto ‘Rosso candido’, un super giallo. “Rosso candido” è un romanzo ambientato nel 1978 in un paesino della Sicilia interna. Il protagonista è un maresciallo dei carabinieri, Ninni Petralia, il quale pur essendo originario di Mazara del Vallo ama il freddo come un vero nordico. Per questo ha scelto il comando in un paese di mezza montagna, Acquamara, dove a inizio febbraio si verificano tre bizzarri ritrovamenti in altrettante chiese: una fotografia erotica attaccata alla coscia di un santo, delle manette sadomaso penzolanti sopra un altare e una bambola gonfiabile appesa al batacchio di una campana. Singolari scoperte che i sacristi delle due parrocchie principali, acerrimi nemici, considerano un’offesa reciproca. Non la pensa così Petralia, il quale è convinto che si tratti, invece, di una minchiata, al limite di una ragazzata. Ma anche lui dovrà ricredersi. In un carosello di equivoci e farse, aiutato dal suo amico pretore e dal fedele appuntato, riuscirà a far luce su una brutta storia di violenza e prostituzione.
Dejanira Bada ha annunciato dai social l’uscita di un volume per una major e l’attesa è tanta, ma ha anche sorpreso i lettori con la nuova edizione, integrale, pubblicata per Nino Bozzi Editore del suo leggendario ‘Il silenzio di ieri’: “Tra poco sarà anche ora di cena, ma non credo che mangerò. La casa ha il tuo odore. Del mio ce n’è sempre stato meno, forse perché sono stata io a essere venuta a vivere da te. Non abbiamo mai comprato una casa che fosse veramente nostra. Siamo sempre restati in affitto perché non volevi vincoli, non volevi “un unico luogo dove stare”; tanto dicevi che un giorno ce ne saremmo andati, che avremmo cambiato città, paese, ed effettivamente qualche mese fa te ne sei andato, ma solo tu, e più lontano che potevi”.
Una dedica speciale alla città che ha dato i natali al nostro blog: Natasha Puglisi che per Tipymedi edizioni ha pubblicato ‘La storia di Catania. Dalla preistoria ai giorni nostri’. La storia di Catania è magmatica: un fluire copioso, a tratti lento, ricco di imprevisti, vulcanico nella sua più intima essenza e che dal vulcano trae la sua origine. Una città che non esisterebbe senza la sua montagna, senza che l’Etna con le sue eruzioni ne avesse costituito il suo stesso suolo, quel vulcano che i primi uomini scoprono poco a poco, insediandosi nelle grotte laviche e trovando in esse il luogo prediletto per ritualità e misteri. Terra ricca d’acqua, fertile e sul mare, terra contesa: dai gloriosi greci che la iniziano alla civiltà, ai romani che la ergono al rango di città imperiale e la adornano di monumenti che, nascosti dal tempo, riemergono come un dono dal passato nel Settecento. Una giovane, detta “la buona”, si muove tra loro: è Agata, futura martire e patrona di Catania, l’inizio di una storia più d’amore che di devozione tra i cittadini e la loro santa fanciulla. Ma nella memoria di un luogo c’è posto per i santi e molto di più. Un mago, Eliodoro, dalla cui leggenda avrà origine il simbolo della città: l’elefante; e Mattia Serpotta che per Carthago ha pubblicato ‘La gente non stanno bene’: Le persone non s’incontrano mai per caso, ma per casi. Tutta gente con forti disagi: ossessivo-compulsivi, complottisti, paranoici, renitenti alla relazione sentimentale, analfabeti, animalisti anaffettivi, assetati del consenso popolare. La follia dei singoli, però, può salvare il mondo dalla noia e dalla banalità collettiva. Questo la rende speciale agli occhi dell’autore, che la racconta nella sua dimensione quotidiana, senza vantare alcuna competenza scientifica, anzi, non condividendo molte delle cose che dice. Due libri che dal giorno di uscita, il primo il 7 luglio, il secondo il 4, non smettono di vendere e interessare pubblico e critica
Sono tanti i libri ma vogliamo chiudere con Micaela Palmieri, la simpaticissima giornalista che incontriamo quasi quotidinamente per le informazioni del TG1 Rai dopo averci deliziato con un libro sulle droghe ecco che svela la sua vena calcistica. Ma attenzione, è solo un contorno, ciò che succede nelle 11 partite dell’Inter è un colpo al cuore che commuove e onora la grandezza della ragazza del piccolo schermo: ‘Educazione ambrosiana. Le 11 partite che hanno cambiato la vita di noi interisti’ (Baldini+Castoldi). Si può mentire su tutto: sulle opinioni, sui giudizi, sui desideri e persino sui sentimenti, ma mai sulle passioni. E quale passione più vera e nobile può esserci di quel-la che abbiamo per la nostra squadra del cuore? Quando poi la prescelta è l’Inter, i ricordi delle undici partite che hanno cambiato la vita dei tifosi nerazzurri, assumono i contorni di una insonne nostalgia. “Educazione ambrosiana” racconta l’Inter del mago Herrera, quella dei record del Trap, quella di Ronaldo “il Fenomeno”. Scandaglia le emozioni del triplete di Mourinho, della prima Coppa dei Campioni contro il Real Madrid, della disfatta del 5 maggio, dell’eterno dissidio con la Juventus. Attraversa e raccoglie le storie dei cuori interisti che palpitano all’unisono nella forza di Matthaus, nella leggendaria impudenza di Berti, nella classe di Suarez, nella potenza di Ronaldo, nella tecnica di Sandro Mazzola, nell’eleganza di Kalle Rummenigge, nel cuore di Giacinto Facchetti, nell’acume dell’Avvocato Prisco. Un libro dedicato a tutti quelli che amano pazzamente la nerazzurra: alle partite di calcio che nessun interista potrà mai dimenticare si intrecciano qui storie di amicizia, amore, malinconia e gioia. Tra l’archetipo del tifoso, ostaggio di riti e scaramanzie, e la dote che solo il calcio possiede: farti sentire davvero parte di qualcosa. Prefazione di Nicola Berti.
Buona Estate.
Il link alle segnalazioni su Letto, riletto, recensito: https://bit.ly/3itcUpI
Dopo tanti apprezzati romanzi, lo scrittore napoletano Ariase Baretta, che vive a Bologna immerso nella sua musica e nel riverbero dei film più amati, arriva nelle librerie con la storia scabra e affilata di due bimbi abusati. Nelle grinfie di genitori diversamente malvagi, presi da se stessi e dai propri attraversamenti. Così egocentrici da confondere la propria esistenza con quella delle creature che dovrebbero proteggere. “Cantico dell’abisso” (pubblicato da Arkadia, nella collana Sidekar) è un romanzo “dovuto”, in primo luogo dall’autore a se stesso e poi a chi avrà la forza, la voglia e le capacità di frugare negli anfratti della perversione, delle umane bassezze, della sopraffazione. Nella speranza di sconfiggerle. Un romanzo, dicevamo, che non potrà lasciare indifferenti gli animi empatici; sostenuto dalla scrittura di Barretta -uomo nato per scrivere – che si conferma un’esperienza psichedelica, in grado di dilatare gli stati di coscienza.
– È stato doloroso scrivere Cantico dell’abisso?
Moltissimo, anche perché si tratta di una storia basata su fatti reali. Ma scriverla è stato anche un modo per consegnare quel dolore alla memoria e far sì che possa essere utile agli altri. Purtroppo è necessario parlare di certi argomenti, affinché si attivino dei meccanismi di riflessione. Ciò di cui non si parla finisce col non esistere.
– Ma trascrivere certe storie che “vengono a trovarci” è liberatorio o scatena una sofferenza che permane?
Entrambe le cose. In alcuni casi, prima si scatena il dolore, poi si attiva la scrittura come momento catartico e di liberazione della memoria emotiva. Non a caso la scrittura è usata anche nella terapia di alcune psicopatologie. La mia amica Ilaria Palomba, scrittrice che amo molto, è una vera esperta di queste dinamiche e ha lavorato con pazienti affetti da vari disturbi. Si tratta di un campo della scrittura che trovo molto affascinante.
– Il dovere della letteratura è suscitare domande o dare risposte?
La questione del ruolo della letteratura, e dell’arte in genere, è una vexata quaestio che nessuno potrà mai risolvere. Per me la letteratura deve far vacillare le sovrastrutture mentali tanto di chi legge come di chi scrive. Questo processo si può attivare attraverso vettori di vario tipo, per questo motivo trovo che la distinzione tra cultura alta e cultura di massa abbia poco senso. Sono appassionato di letteratura e cinema di genere e ho trovato domande e risposte per me importanti sia in Dostoevskij che nei film di Lucio Fulci.
– Davide compie la sua trasformazione, superando un’infanzia infernale. Ma perché l’infanzia, in un modo o nell’altro, è sempre così ustionante?
Tanti studi dimostrano che è durante l’infanzia che si definisce la personalità dell’individuo. Soprattutto, pare che nei primi anni di vita si determini la nostra predisposizione a essere persone felici. Eppure, l’attenzione rivolta dalla società alla salute psichica dei bambini è davvero nulla. Si considerano ancora legittime le punizioni fisiche come parte del processo educativo, ma ciò che è peggio è che con molta facilità si umiliano i bambini pensando che crescendo dimenticheranno tutto. Non è così. Non si dimentica nulla. Io non ho dimenticato nulla.
– Raccontare il male è più interessante che rappresentare il bene, la gioia, la serenità?
Tutti questi aspetti del sentire umano meritano di essere raccontati. Io sono considerato uno scrittore molto cupo, eppure in alcuni dei miei romanzi ci sono pagine che in tanti hanno trovato divertenti e piene di luce. Credo che ci debba essere spazio per ogni tipo di emozione. Certo, il bene, la gioia e la serenità attirano più facilmente i lettori, ma qualcuno deve pur dar voce a chi non può farsi sentire. E la voce di chi non può farsi sentire molto spesso si esprime attraverso la semantica del male e del dolore.
Mariano Sabatini
Il link all’intervista su OLnews: https://bit.ly/3xxBLh2
“Cantico dell’abisso” è il ricordo di un’estate che racchiude tutto il simbolismo della scoperta, dei sogni, della consapevolezza, della violenza e dell’accettazione di sé. È la storia di Davide, di situazioni apparentemente incredibili, di messe in scena che servono in modo utile e funzionale a raccontare la verità o, se si vuole, una delle tante realtà possibili. È la vicenda di un tredicenne che vive a Bologna e che ama visceralmente suo padre, Osvaldo, in modo morboso, incapace di stabilire un limite o un oltre che non deve essere travalicato. Davide affronta la sua acerba consapevolezza in modo aperto, in un viaggio che lo porterà all’emancipazione e categoriche scelte di vita, non ultima quella di convivere serenamente con la propria omosessualità e con la decisione di diventare transgender. Nel romanzo di Ariase Barretta nulla è più potente della realtà, in una narrazione fluida che mescola passato e presente, dolore e promesse di una vita migliore.
Introduzione
Sono stata da sempre in compagnia del silenzio, dovrei conoscerlo abbastanza bene nella sua pienezza, eppure questa notte con la sua forza devastante, sembra uccidermi. Non lo riesco a fermare, mi vuole trascinare ancora una volta in quella caverna buia che è stata la mia vita, nell’incessante ricerca di una luce che fosse solo mia. Può definirsi una colpa? Improvvisamente muove la bocca, all’inizio sembrano parole incomprensibili, poi mi soffermo a leggere il labiale ed ecco che mi sta sussurrando: Per l’ultima volta, perché domani sarà tutto diverso. Non ho mai riposto fiducia nel domani, non sono mai riuscita a immaginarlo, perché è sempre stato difficile vivere hinc e nunc, un’autentica sopravvivenza. Io sono figlia di Apollo e Selene, due insofferenti amanti che mordono le briciole regalate dall’imperfezione dell’attimo per un incontro che cullato dal vento diventa l’exemplum perfetto di una magica poesia. Le ore passano lente e inesorabilmente scandite da un pendolo e dal suo movimento ondulatorio che simboleggia il mio immerso nella tempestosa marea dei ricordi. Una paradisiaca sospensione dai contorni infernali, che non ha mai veramente compreso perche nella mia mente di bambino, assumeva un altro significato. A questo punto sorrido impercettibilmente pensando ai vostri occhi sgranati che lo catalogheranno subito come un errore ortografico, perché ingabbiati nella stilizzazione di un genere naturale. Non mi sento un errore, quell’io ha finalmente raggiunto una piena consapevolezza. Ho vissuto per anni nella neutralità del mio essere, ma c’era una voce interiore che continuava a chiamarmi in un modo strano e per questo gli voltavo le spalle. Forse nell’ingenuità dell’età non ero ancora pronta ad ascoltarla, eppure in un angolo segreto del mio cuore l’ho sempre saputo. Ognuno ha le sue ossessioni in fondo, basta individuarne la forma e accettarle, può anche essere una piacevole compagnia. Vi sembrerà strano ma quel bambino non mi ha mai veramente abbandonato, a volte giochiamo ancora insieme, non lo rinnego, è indissolubilmente una parte di me. Vi confesso che ancora non mi sono abituata a entrare in libreria e vedere scritto Cantico dell’abisso e ammettere a me stessa che in fondo è stato proprio questo. Non è più soltanto la mia storia, grazie ad Ariase Barretta Cantico è anche vostro. Ringraziando chi mi ha permesso di parlare, ritorno a essere ciò che semplicemente sono: il personaggio di un libro, ed è arrivato il momento di andare. Io che mi chiamo Aurora sento che la natura mi ha accettato e scostando una tenda vedo che siamo alle soglie del nuovo giorno e posso sorridere pienamente alla vita perché adesso so che quel sole è lì anche per me.
Aneddoti personali
Prima di Cantico dell’abisso questa volta ho conosciuto l’autore. Tutto è accaduto quando sono entrato nelle community veramente famigliari di Quelli che letto riletto recensito e Giallo al centro. Ariase si presenta di solito vestito scuro ma è uno che vi può assicurare porta il sole nella vita di chi ha la fortuna di conoscerlo. Ariase è un rock man con l’animo di un eterno bambino che non smette un attimo di sorridere e donarti buonumore, nonostante sofferenze e dolori. Ancor più del sentirlo parlare in dialetto napoletano mi ha conquistato la sua eclettica personalità ed estrema bontà. Nonostante non gli somigli fisicamente per la sua dolcezza, ricorda gli orsetti dei cartoni animati. È come se un uragano avesse piacevolmente sconvolto la mia vita. Sono indescrivibilmente felice di potermi onorare della sua amicizia. Ariase è un dono speciale di quelli che stai ore a domandarti cosa hai fatto per meritarlo. Un aspetto straordinario del suo carattere è che quando gli fai qualcosa di buono se ne ricorda sempre ed è in grado di sorprenderti. Lo so per esperienza, perché è successo quando mi sono inaspettatamente ritrovato tra i ringraziamenti di questo magico libro. Tornando a Cantico vi risparmio, un po’ dello sfondo, perché altrimenti questa parte verrebbe un papiro. Quando il trio Sidekar mi disse che nel nuovo libro della collana, ci sarebbe stata una sorpresa per me, ho pensato a una loro dedica sulla copia destinata a me, non potevo immaginare tutto questo. Ancora prima di ricevere il libro, ricordo con grande gioia le lunghe telefonate in particolare con Mariela, dove ne abbiamo parlato tantissimo, c’era tantissima apprensione di come potesse essere accolto dal pubblico, però nelle sue parole c’era anche tanto amore e questo accade soltanto quando un libro ti segna nel profondo. Adesso che l’ho letto, in realtà divorato in pochissime ore, posso dire che il mio amore per questo piccolo gioiello è aumentato notevolmente, anzi trabocca faticando a contenersi. È un libro che mi ha catturato e vi assicuro che non riuscivo a staccarmi, perché incantato dalla sua bellezza. Ringraziando Ary per averlo scritto, mi accingo a recensirlo con somma gioia. Meritate come sempre una riflessione analitica del testo che esula dal mio legame con l’autore. Ho una grande responsabilità, farvi conoscere una storia che narra temi attuali e forti. Ci provo l’emozione è tanta perché vede la nascita cartacea di Cantico, è una vittoria non solo di Ariase ma anche di tutti noi che ci abbiamo e continuiamo a credere ancora tanto.
Recensione
Le creature dovrebbero essere tutte amate indistintamente in egual misura. Chi è realmente capace di un amore tanto assoluto senza pregiudizi ed etichette in questa Terra, che sia della stessa carne degli uomini e non appartenga al divino? Il bambino all’inizio della sua formazione non ha filtri né preconcetti e si lascia guidare dalla meraviglia e dalla sorpresa di scoprire la maestosità del mondo tracciando nuovi, inaspettati orizzonti e seguendo liberamente il battito del cuore. Questo è un cantico che non celebra la bellezza naturale ma indaga la profonda nudità dell’animo umano . È un romanzo polifonico strutturato in sei capitoli a ognuno di essi, corrisponde una voce che diventa uno strumento funzionale per regalare uniformità a un racconto alla ricerca di un nuovo viscerale linguaggio che possa tradurre perfettamente le emozioni. L’uniformità è soltanto narrativa perché i personaggi di questo libro sono tutti prigionieri di un appagante desiderio inespresso. Con quale parola si può descrivere il cuore senza differenziare e marchiare? Rendendosi complice di una società che permette il libero arbitrio per tutto tranne che nelle scelte d’amore. È assurdo che per amare liberamente si debba ricorrere a una legge. Il romanzo narra la storia di Davide un adolescente dall’esistenza in bilico tra la luce della vita e la quotidiana convivenza con le ombre. Se queste ultime oltre che dalla sua anima arrivano da quel nido che invece di essere un’oasi di protezione è la raffigurazione dell’infernale caducità umana, fatica a riconoscerle. Davide ha un fratello minore di nome Mauro che può simboleggiare il fiore rosso di Garsin. La crescita dei due ragazzi è tracciata in una contrapposizione binaria. L’autore analizza con sapiente delicatezza non solo la loro psicologia ma soprattutto la loro strutturale nevrosi psichica che è l’archè di un’ossessiva malattia dell’eccesso. A completare un triangolo non considerato c’è Osvaldo, il padre di origine argentina pienamente insoddisfatto che cerca maldestramente di nascondere la sua natura. Nessuno può andare contro la concezione intrinseca dell’essere, può rimanere a lungo sopita, ma alla fine un giorno inaspettatamente esplode e lascia soltanto devastanti conseguenze. L’usus scribendi dello scrittore si caratterizza per una piena ruvidezza della parola, che arriva dritta al cuore, squarciandoti l’anima. I due ragazzini sono ignari che dietro il gioco alla scoperta carnale della sessualità ’ si nasconda lo spettro della pedofilia. L’aspetto che maggiormente colpisce è l’estrema dolcezza con cui è narrato tutto, ci sono anche alcuni passi toccanti che raggiungono il culmine del lirismo. La percezione del lettore è univoca e non avviene in camere separate. Tutto il romanzo è impregnato di presenze importanti come Wilde, Tondelli, Almodovar, Pasolini e tanti altri che si percepiscono sono perfettamente conosciuti da chi scrive. Tutti questi autori si trovano a essere spettatori di una storia che supera piacevolmente ogni oltre immaginativo. Nella cristallizzazione degli anni Ottanta attraverso canzoni e cartoni animati l’autore guarda bonariamente, il sé bambino che non è presente fisicamente nel romanzo ma che fa capolino attraverso questi elementi, lo osserva con quella raggiunta maturità che gli permette altresì di scrivere questo Cantico. Una favola nera che si annida silenziosamente negli aspetti più oscuri della società che a volte fingiamo di non vedere per comodità. Un romanzo introspettivo che analizza il tortuoso percorso evolutivo di Davide dove bisogna interrogarsi sull’altra faccia della luna tra verità e menzogna. Una taciuta omosessualità che si trasforma in una sospensione del processo identitario Un libro che si sofferma ad analizzare il delicato rapporto che intercorre tra Ἔρως e θάνατος, sapendo che in ogni forza sono celate briciole di vitale rinascita. Oltre ogni atto resta soltanto l’amore vissuto con assoluta autenticità e questo non è condannabile, perché arriverà il giorno, in cielo l’aurora si tingerà di un magico arcobaleno
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