Alessandro Zannoni è scrittore e sceneggiatore per il cinema. E si vede!
Stato di Famiglia, il suo ultimo lavoro pubblicato dalla vulcanica Arkadia nella straordinaria collana sideKar, è come una raccolta di cortometraggi, annichilenti racconti accomunati dall’argomento attorno a cui si sviluppano: il male, visto nelle sue varie declinazioni all’interno di contesti familiari diversi.
Ma su questo torneremo.
Stato di famiglia
Ciò che da subito avvince è la costruzione dei racconti, la tecnica narrativa, il “montaggio”, parola scelta non a caso, proprio per mutuare un termine dal mondo cinematografico: ogni storia parte dalla scena finale, quella in cui si sviluppa la tragedia, il climax, e procede poi a ritroso, paragrafo per paragrafo, in una sorta di flashback, fino ad arrivare al momento iniziale, apparentemente tranquillo, in cui però qualcosa è successo; e quel qualcosa ha scatenato il male. Contemporaneamente, conoscere il finale toglie ogni speranza, rende impossibile aspettarsi il ravvedimento, il lieto fine, il pentimento; non resta quindi che indagare le cause, scoprire il perché di fatti così atroci.
… appare sulla porta, ha uno sguardo che raccoglie tutta la camera tranne lei. La guarda ma non la vede. Lei non rientra nella visione di insieme; la elimina, la cancella, la rende invisibile e senza peso…
Racconto dopo racconto, famiglia dopo famiglia, sprofondiamo nei meandri di menti contorte, malate, forse solo stupide, che si autoalimentano senza darsi tregua e che giunte al culmine della sofferenza, se ne liberano con gesti folli, inspiegabili, rivolti alle persone più vicine, più amate. In una nuova versione della “banalità del male”, assistiamo all’avvilupparsi di pensieri assurdi, all’incupirsi di sensazioni soffocanti, in un crescendo di dolore che ha come conseguenza altro dolore: personaggi comuni, apparentemente normali, persi dietro la propria sofferenza.
Tutto si scioglie e scompare per sempre. Dovrebbe reagire ma non ne è così convinta, non ne sente l’urgenza. Si sente stranamente a suo agio dentro quel dolore, come in una pace fittizia, comoda, definitiva. Decide di rimanere così. Vorrebbe restarci per il resto della vita.
Potrebbe succedere a noi, potremmo essere noi sia la vittima sia il carnefice: la madre disperata che uccide il figlio, il marito alcolizzato e violento, l’adolescente smarrita in una realtà solo social, tutti egualmente vittime. La schiettezza del linguaggio, il ritmo narrativo, la crudezza delle scene riescono a scioccare il lettore, ma, nello stesso momento, lo mantengono in una posizione di neutralità, sospeso fra oppresso e oppressore, incapace di schierarsi proprio perché i fatti descritti sono paradossali e al contempo umani: così può capitare di riconoscersi nel pensiero di quella madre stanca e impotente, e di sorprendersi poi per l’imprevisto declinare del ragionamento, per la perversione e la bruttura a cui conduce; oppure si possono intravedere nei lineamenti dell’orco, le fattezze di qualcuno a noi vicino, troppo vicino. In fondo le storie narrate sono dei cliché, sembrano attinte dai giornali, ma, mentre la cronaca narra di mondi lontani e di sconosciuti disagiati, questi “fatti” sembrano tremendamente normali, queste famiglie potrebbero essere la nostra; forse, addirittura, qualche volta abbiamo sfiorato inconsapevolmente situazioni simili e ne siamo usciti indenni per puro caso. L’angoscia che suscita la lettura di Stato di famiglia deriva proprio dalla banalità dei problemi che portano al dramma, dalla superficialità dei protagonisti, dalla facilità con cui cedono al male. La sensazione di disturbo ci respinge e ci attrae al contempo, in una spirale ineluttabile da cui si esce stravolti. Un libro ipnotico, davvero indimenticabile. Un libro per chi: parafrasando un’intervista all’autore, cerca storie realistiche, adora la cattiveria della vita.
Paola Migliorino
Il link alla recensione su La lettrice geniale: https://bit.ly/3i5cFPT