Sotto i ponti di Yama. La stamberga dei lettori
La stamberga dei lettori
31 dicembre 2012
Sotto i ponti di Yama
I Contenuti
La perversa logica della globalizzazione e i suoi devastanti effetti, riscontrati direttamente tra i quartieri e le strade di Calcutta, la moderna Kolkata, offrono all’autore l’occasione per una riflessione fuori dai soliti schemi pietistici o miracolistici.
Una città indescrivibile per cultura e crudeltà, dove la povertà estrema e la miseria delle bidonville, il popolo degli intoccabili e l’ambivalente logica del turismo religioso, ci ricordano che il miracolo economico indiano è forse solamente uno spot orchestrato dalle solite élites.
La ricerca di una fede rimasta tuttavia orfana di risposte e di concretezza porta il lettore a dedurre che, se Dio a Calcutta non è morto, certamente neppure Lui se la passa tanto bene. Un viaggio nell´India di Gandhi e Madre Teresa, in quella descritta da Tiziano Terzani, Hesse, Pasolini, Moravia, Lapierre. Ma anche l’India del popolo della strada e dei suoi silenziosi ma acuti tormenti, dell’Hi-tech, di Bollywood, delle grandi multinazionali e dei suicidi di massa dei contadini.
Un lucido cammino attraverso l’Indian dream contrapposto a quello della più sordida miseria, dove folle di mendicanti, senzatetto, persone denutrite, portano avanti, giorno dopo giorno, una sistematica lotta per la sopravvivenza. Un libro per tutti coloro che nei supplizi e nei rantoli dei dannati della terra non identificano una precisa volontà divina, ma individuano una specifica, responsabile e scellerata scelta umana.
La Recensione
Se fosse soltanto il racconto di un viaggio negli abissi della miseria umana di Kolcata – Calcutta come è conosciuta dai più – sarebbe ben poca cosa il racconto/reportage che Bandinu propone in questa pubblicazione di Arkadia.
Lo sguardo del viaggiatore offre invece a chi legge molto di più che non una semplice e compassionevole descrizione delle durissime condizioni di vita del popolo di derelitti che affolla strade, baraccopoli e lazzaretti della metropoli capitale dell’India durante il colonialismo britannico e tuttora punta di diamante nel miracolo economico della tigre indiana.
Di sicuro fa parte del pacchetto una certa dose di voyeurismo nei confronti della miseria: andare a prestare servizio per un periodo limitato nelle fetide corsie di ospizi per derelitti e relitti moribondi in qualche modo lo comprende nel biglietto.
Pregio di questo libro, tuttavia, è il non nascondersi dietro l’alibi della solidarietà dalle gambe corte, che è un po’ quella a cui siamo abituati con gli aiuti attraverso sms o donazioni nei momenti dell’urgenza e che fa pensare quasi a una specie di orrendo marketing della miseria. Vedere e toccare in prima persona le condizioni di vita dell’umanità sfiancata dal caldo e dai monsoni, dal peso di una storia densa e soffocante, da tradizioni di cui, persa l’origine, resta solo l’attuale insensatezza – penso ad esempio al sistema delle caste ancora vivo nella società indiana per quanto abolita per legge – sentire sulla propria pelle tutto questo permette di sfatare il falso mito letterario della ‘città della gioia’ di Lapierre.
Senza inutili polemiche Bandinu alza il velo di quest’immagine letteraria per mostrarci, per ricordarci, con la sua prosa, ingenua a tratti, lineare e priva di ogni artificiosità da tecnico della scrittura, che non può esserci alcuna consolazione nell’accontentarsi della semplicità del poco o del nulla, che non c’è spazio per la gioia del nirvana sui marciapiedi coperti di corpi doloranti e avviliti dei figli di Kolcata.
E che ogni tentativo di nascondere con questa forma di misticismo facile le disuguaglianze di una società, che vede fianco a fianco la crescita esponenziale del PIL grazie informatici e ingegneri di Bangalore e lo sprofondare dei suoi figli e figlie degli slum di Kolcata nella miseria più nera, priva di orizzonti e possibilità di redenzione, è un modo di lavarsi le coscienze.
Le note più intime e sentite di questo viaggio nei meandri della natura umana sulle rive del Gange e nella coscienza dell’autore sono quelle che vibrano, senza pretese scientifiche o falsa retorica, nella parte finale del racconto, che mette insieme una serie di riflessioni storiche e considerazioni sul futuro politico e sociale della più popolosa democrazia del pianeta e di una delle più formidabili economie mondiali, in grado di modificare gli equilibri planetari.
Le stesse note rimbombano ancora nell’animo del protagonista al suo ritorno nella realtà normale della Sardegna, e anche, certo solo per interposta persona, nella mente dei lettori, mettendo a nudo le contraddizioni irrisolte di un sistema di sviluppo che è formalmente teso verso una destino di luminosa felicità, la prospettiva della ‘Shining India‘, ma nel concreto non sembra davvero interessato a colmare le lacune dei diritti umani e a praticare un’uguaglianza che vada al di là dell’involucro delle parole.
Contraddizioni che bruciano nelle parole prese a prestito dal vescovo delle favelas brasiliane, dom Helder Camara, vicino almeno in spirito alle tesi della teologia della liberazione latinoamericana, e che però si adattano bene a commentare un miracolo economico come quello del subcontinente indiano, che tollera, con la connivenza interessata dell’Occidente delle multinazionali, di prosperare sulle sofferenze di molti, nell’ipocrisia generalizzata di chi ce l’ha fatta: Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista.
(Polyfilo)