Sardegna blogger intervista uno degli autori del libro sul genocidio armeno
Sardegna blogger
16 aprile 2015
Il genocidio armeno: intervista con Alessandro Aramu
Alessandro Aramu, giornalista e scrittore, è sempre stato uno dei più attenti e rigorosi studiosi del genocidio del popolo armeno, un massacro rimosso dai libri di storia. È appena uscito “Il genocidio armeno-cento anni di silenzi”, un reportage scritto da Alessandro assieme ai colleghi Gian Micalessin e Anna Mazzone. Le recenti parole del Papa hanno riportato in superficie quella vicenda. Sardegnablogger ha intervistato Alessandro Aramu per comprendere le ragioni di fatti e silenzi.
Alessandro, le recenti parole del Papa sul genocidio degli Armeni hanno portato sotto i riflettori dell’opinione pubblica un olocausto dai più ignorato. Puoi spiegare contesto storico e ragioni di questo sterminio?
“Il genocidio armeno è il primo genocidio del XX secolo. Nel crepuscolo dell’Impero Ottomano, nel corso della prima guerra mondiale, la minoranza armena venne spazzata via per decisione del governo dei giovani turchi. Temevano che gli armeni potessero allearsi coi russi, di cui erano nemici. Nel 1915 alcuni battaglioni dell’esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro fila armeni che in precedenza avevano militato nell’esercito ottomano. Questa, insieme a ragioni di natura etnica e religiosa, determinarono la reazione del governo turco. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al Parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Da quel momento in poi iniziò, e durò per qualche anno, la persecuzione degli armeni in quella regione. Si tratta di massacri ed eccidi che non risparmiarono nessuno, a partire da donne e bambini. Una vera pulizia etnica che aveva il chiaro obiettivo di cancellare ogni traccia della cultura armena e la sua assimilazione a quella musulmana”.
Si può quantificare il numero delle vittime?
“Il numero esatto delle vittime è difficile da quantificare. Si può ragionevolmente pensare, atti alla mano, che quel genocidio abbia coinvolto circa un milione di persone. Alcuni storici parlano di un milione e mezzo di vittime. Sono cifre impressionanti. La verità è che nel corso di quell’evento furono spazzate via intere famiglie, interi villaggi. Non c’è nessuna traccia di quelle persone, nessuna memoria. Tutto, compresi i documenti, venne distrutto. In un secolo di storia è stato fatto molto ma è possibile che la tanto auspicata apertura degli archivi turchi possa fornire ulteriori informazioni sulla consistenza numerica di quell’azione criminale”.
Perché il mondo ha rimosso la strage di un intero popolo, contrariamente a quanto avvenuto, ad esempio, con gli Ebrei alcuni decenni dopo?
“Le ragioni sono molteplici. Un’intera classe dirigente è stata spazzata via, letteralmente cancellata. Un popolo senza leadership intellettuale e culturale non esiste. Figuriamoci quando la sua esistenza viene quasi completamente cancellata dalla faccia della terra. Questo è un fattore importante: coloro che avrebbero avuto gli strumenti – e il ruolo – per denunciare il genocidio armeno nel mondo furono uccisi prima degli altri. Gli armeni della diaspora hanno svolto un ruolo importante ma in contesti non sempre facili. Poi c’è anche l’atteggiamento di una parte influente del mondo ebraico che ha sempre considerato la “Shoah” l’unico vero Olocausto e tutti gli altri, a partire da quello armeno, meno rilevante, quasi un genocidio di serie B. Oggi l’atteggiamento in Israele è cambiato. Terza e ultima ragione: la storia la scrivono i vincitori e i loro alleati. Gli armeni non hanno avuto l’occasione di farlo perché è stato impedito loro anche di combattere”.
La presa di posizione di Bergoglio è una delle tante iniziative personali di questo Papa o ritieni possa avere altre interpretazioni, magari di natura più strategica?
“La presa di posizione di Papa Francesco è la posizione della massima autorità del mondo cristiano che ricorda giustamente il massacro di oltre un milione di cristiani e ne rivendica dignità e memoria. Lo fa ricordando ciò che accade ogni giorno in Medio Oriente, penso soprattutto alla Siria e all’Iraq, dove la minoranza cristiana, insieme ad altre, è oggetto di una reale persecuzione da parte dei fondamentalisti islamici. Il fatto che Bergoglio abbia pronunciato con forza la parola “genocidio” nel corso di una Messa domenicale a San Pietro ha definitivamente frantumato il muro di indifferenza che per troppo tempo ha circondato questa vicenda. Bisogna però ricordare che già nel 2000 Giovani Paolo II si pronunciò in tal senso. Oggi, evidentemente, il clima è cambiato. Ma non è invece mutato l’atteggiamento della Turchia che in entrambe le occasioni ha espresso un giudizio molto duro, minaccioso, contro il Vaticano”.
Perché i turchi rifiutano ogni ammissione su questo massacro?
“Riconoscere il genocidio comporterebbe assumersi la responsabilità storica – e penale – di quel crimine ma anche l’obbligo, sancito anche dai tribunali internazionali, del risarcimento dei danni nei confronti delle vittime e la restituzione dei beni che la Turchia oramai rivendica come propri. L’opinione pubblica turca è spaccata sul punto, ci sono molti intellettuali che hanno criticato apertamente la posizione negazionista del governo di Ankara. Molti sono finiti in galera, altri costretti all’esilio e altri ancora sono stati uccisi. Erdoğan sta esasperando la questione armena in chiave tutta interna: lui che ambisce a diventare il Sultano di una grande Turchia, non può piegare la sua idea di Islam di fronte alla morte di oltre un milione di cristiani. Quel tipo di Islam, nella sua logica, non chiede perdono. Anche se tutto ciò dovesse costargli l’ingresso nell’Unione Europea”.
Alessandro, tu ti interessi del genocidio degli Armeni e di altre questioni di politica mediorientale. Da cosa deriva questo tuo interesse storico?
“Dall’idea che viviamo in un mondo che, con il trascorrere del tempo, si è notevolmente rimpicciolito e che non si può rimanere indifferente davanti a vicende che solo in apparenza ci sembrano lontane, sia nel tempo che geograficamente. Penso alla Siria, un conflitto che seguo ogni giorno da 4 anni. Insieme ad altri giornalisti, ho denunciato fin dall’inizio il pericolo del terrorismo di matrice islamica in quel contesto bellico, con la presenza di miliziani provenienti da oltre 80 paesi del mondo. Lo abbiamo scritto in libri e articoli. Abbiamo denunciato i massacri e le persecuzioni dei gruppi jihadisti e, soprattutto, il rischio che quei terroristi ritornassero a casa, spesso in Europa, a commettere azioni eclatanti. Ci prendevano per pazzi. Oggi, dopo la strage di Parigi, tutti parlano di ISIS. Penso che occuparsi di quei luoghi, comprenderne le ragioni storiche e culturali, aiuti a capire meglio fenomeni che sono destinati a produrre effetti dovunque”.
L’AUTORE
Alessandro Aramu (1970). Giornalista professionista. Laureato in giurisprudenza, è direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Ha lavorato e collaborato con diverse testate giornalistiche. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014). È appena uscito il suo ultimo lavoro: “Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti” (Arkadia, 2015). Fa parte del Centro Italo Arabo Assadakah ed è vicepresidente del Coordinamento nazionale per la pace in Siria.
(Francesco Giorgioni Sardo)