“Oltre la porta socchiusa” su Menti in fuga
Oltre la porta socchiusa. Intervista a Lucia Guida
L’ultimo romanzo di Lucia Guida – Oltre la porta socchiusa – rappresenta un passaggio importante nella produzione di un’autrice che sa rivolgere la propria attenzione a temi e situazioni centrali nelle nostre vite e sa raccontarli con un tono pacato, misurato e senza le “urla” costanti delle nostre forme di comunicazione più diffuse.
La parola letteraria, levigata da Lucia Guida con perizia e cura costante, riesce a offrire al lettore una dimensione altra e riflessiva da cui osservare gli eventi della vita e seguire il ritmo del respiro e della coscienza.
Una storia all’apparenza semplice mostra, nella piccola fatica quotidiana dell’esistere, quanto siano importanti i mutamenti, i progetti e, infine, le speranze. Con Lucia Guida abbiamo conversato intorno al suo nuovo romanzo.
La inviterei prima di tutto a presentarsi ai nostri lettori e ad illustrarci il suo percorso letterario.
Eccomi qui. Attualmente sono una docente della scuola pubblica statale italiana “prestata” alla scrittura, nel senso che dedico a quest’ambito per me molto importante buona parte del tempo extra professionale. Amo altrettanto leggere e lo faccio durante tutto l’anno. Leggo di tutto senza pregiudizi di sorta, con particolare riguardo per la narrativa moderna e contemporanea. Ho iniziato a condividere con un pubblico di lettori virtuali le mie notazioni di cronaca aprendo un blog nel 2007 su una piattaforma nazionale. Ho, poi, pensato di propormi a terzi partecipando a concorsi nazionali e internazionali per “saggiare”, diciamo così, la consistenza della mia scrittura. Dopo aver contribuito ad antologie di AAVV di prosa e poesia (cosa che continuo sporadicamente a fare anche adesso), nel 2012 ho pubblicato da solista una silloge di racconti per Nulla Die, seguita nel 2013 da un romanzo. Nel 2016 ho dato alle stampe un secondo romanzo (il primo di una trilogia intitolata Prospettive urbane) e poi una raccolta di poesie nel 2018 sempre per Amarganta. Ho quindi continuato con la prosa pubblicando un terzo romanzo nel 2021 per Alcheringa. Per i tipi di Arkadia nel luglio 2024 è nato il mio quarto romanzo Oltre la porta socchiusa che è poi la mia ultima fatica letteraria. Ho collaborato con riviste digitali di arte, società e cultura. Curo un blog da autrice su WP e alcune pagine social per mantenere un filo diretto con le persone che hanno scelto di leggermi.
Il nostro compito è dare degli elementi senza svelare troppo. Se lei accetta la mia proposta la inviterei a giocare con il profilo dei personaggi che lei ha creato e con alcuni punti di svolta del suo romanzo, lasciando così la scoperta della trama ai lettori. Ci possiamo affidare anche a qualche citazione dal suo testo.
Con un balzo si inserì nella corsia di sorpasso, dando di sfuggita uno sguardo alla fiancata laterale dell’automezzo che, in un’epoca lontana, doveva essere stata di colore verde tenue, verde speranza. Un attimo fatale per lei.
Stiamo parlando di Alice, la protagonista del suo romanzo, e stiamo parlando del Prologo, quando inizia tutta la vicenda. Come possiamo presentarla?
Gli eventi narrati in Oltre la porta socchiusa, prologo incluso, scaturiscono dalla quotidianità della protagonista, Alice Bellucci, impiegata in una ditta che ha deciso di delocalizzare altrove costringendo i suoi lavoratori a una scelta obbligata: conservare il posto trasferendosi lontano dal proprio entourage o licenziarsi.
Alice è in macchina e sta tornando a casa (potremmo immaginarla alla fine di una giornata di tensione, “tossica” se vogliamo usare una terminologia più recente). Quello scatto in avanti in una corsia di sorpasso in realtà segnerà per lei ben altro, costringendola a vivere un lungo momento di impasse, psicologico e fisico. Che, poi, a ben vedere, è ciò che può succedere (e spesso accade) a ciascuno di noi quando tentiamo di forzare le circostanze della vita nella speranza vana di dimezzare i tempi, allungandoli invece a dismisura o peggio condannando noi stessi ad arretrare in modo inesorabile.
Per sua fortuna l’evento drammatico, in cui verrà suo malgrado coinvolta, avrà comunque la valenza positiva di fare da spartiacque tra un’esistenza piegata a situazioni passivamente subite e un nuovo corso ritmato invece da prese di posizione più vicine al suo sentire e quindi per lei più consone
La telefonata di Betty era arrivata all’improvviso nel bel mezzo del rinvaso, rimandato per mia pigrizia, di una delle mie famose piante di geranio.
Alice ama le piante, i film, le letture. Alice ha bisogno di cambiare lavoro e darsi qualche scossa per progettare il proprio futuro. Tanti piccoli dettagli ci lasciano vedere e sentire una casa, uno spazio, una dimensione del sentire: che cosa ci ha voluto mostrare attraverso la vita di Alice?
Quello che Lucia crede sia importante al mondo: la necessità di crearsi una sorta di luogo privilegiato o forse potremmo chiamarla anche comfort zone in cui riversare la propria umanità partendo da quei momenti altalenanti, che non sempre sono nelle nostre corde, in cui recuperare sentimenti ed energie positive, quelle che ci spingono a fare grandi cose partendo dalle piccole e grandi contrarietà quotidiane.
Se pure ci capita di non riuscire a concretizzare le nostre azioni nel modo in cui avremmo voluto, possiamo sempre provare ad affrontarle in maniera costruttiva e produttiva. Alice è una convinta sostenitrice di quanto bene possa fare all’individuo impegnare le mani in qualcosa di tangibile: per lei la coltivazione di piante da balcone, per Lucia Guida il crochet, per Giacomo (nome di fantasia) il bricolage praticato in garage. In fondo per creare una forma di Bellezza possibile che stemperi una quotidianità talvolta scialba o poco gratificante potrebbe bastare semplicemente rimboccarsi, anche metaforicamente, le maniche e trasformare quello che ci è piaciuto meno delle nostre giornate in atti di fare creativo, operoso.
Una specie di stimolo a fare bene per amore del bene e di noi stessi. Un’ottima via di fuga indispensabile per mantenere il nostro equilibrio psicofisico. Credo che a molti questa tematica (o forse dovrei parlare di leitmotiv?) stia molto a cuore, soprattutto negli ultimi tempi.
Dal canto mio avevo l’impressione che Matias si sforzasse di recarmi meno fastidio possibile pur avendo accettato di buon grado la sua sistemazione.
I legami fra i protagonisti del suo romanzo mostrano diverse possibili relazioni umane: familiari, amorose, perverse, intergenerazionali e così via. Alice, che abbiamo già incontrato, è una donna chiamata a fare delle scelte e a comprendere quali siano per lei i legami importanti e portatori di benessere. Possiamo partire dalla rete dei suoi legami familiari e soffermarci anche sul sorprendente rapporto con il giovane nipote Matias?
Alice è una donna single che fa fatica a tessere relazioni affettivo-sentimentali (ma anche di tipo lavorativo, a ben vedere) efficaci come spesso al giorno d’oggi succede. In famiglia si lascia forse in maniera un po’ passiva guidare da Betty, sua sorella, dotata di senso pratico e impegnata nella missione di collocarla nel mondo in maniera accettabile. A un certo punto il grave incidente, a cui fortunatamente sopravvive, agisce paradossalmente da catalizzatore spingendola a riconsiderare quanto sia importante amarsi realmente vivendo un’esistenza che valga davvero la pena di essere vissuta. E quanto poco tempo abbiamo per poter portare avanti questo progetto di vita e crescita personale. Una tempistica limitata, la nostra, che non ci è dato di sapere e che dovrebbe spronarci ad agire senza cadere e soggiacere a compromessi di varia natura, lavorativa e non.
Matias, nipote amatissimo e di poche parole, personaggio secondario, ma tuttavia essenziale nell’economia dell’intreccio, rappresenta una specie di ponte tra passato e futuro della protagonista oltre a costituire per lei un solido legame col suo presente attuale. Un elemento che costituirà almeno all’inizio anche l’unico contatto di Alice con quella quotidianità di cui lei stenta a riappropriarsi proprio per la richiesta di cura continuativa, anche se non pressante (ciascuno dei due continua comunque autonomamente a fare la propria vita), che una coabitazione, “imposta” da Betty a fin di bene, ma accettata di buon grado da entrambi, come la loro richiede: un pungolo a muoversi nella lentezza della riabilitazione fisica ma anche psicologica di lei. Potremmo, quindi, definirlo una specie di “traghettatore silente”. Una bella immagine piena di potenzialità e di energia vitale
L’altra persona gli apparteneva. Era cosa sua. In fondo lui era un maschio alfa, un prescelto; una personalità elevata ed eccelsa messa dal destino di contrappunto a una controparte che era un riflesso sbiadito della sua assoluta, intrinseca quintessenza di uomo.
C’è, nelle sue pagine e nelle sue scelte lessicali, una costante attenzione alla vita delle donne e alla fatica per essere davvero libere di determinare il proprio cammino. Nella vita di Alice si inserisce un incontro – all’apparenza banale – che si trasforma poi in un pericolo. Esagero con una domanda macroscopica che lei sembra suggerire: che cosa sappiamo davvero delle persone che incrociamo nelle nostre città? Quanto sono chiamate a stare attente persone come Alice per gestire serenamente i propri incontri?
Non esagera affatto. Mi spiego con un esempio tratto dalla mia esperienza di docente. Quando a volte convoco dei genitori per narrare scolasticamente i loro figli, i miei studenti, mi trovo spesso di fronte a persone che di questi sanno poco o nulla o che non li riconoscono attraverso la descrizione che ne faccio. Ciò accade perché talvolta è molto più comodo elaborare un’immagine ideale, foss’anche idilliaca delle persone a cui teniamo invece di impegnarci a sondarne la psicologia correndo il rischio di imbatterci in particolari poco piacevoli che, una volta individuati, vanno riequilibrati per evitare che si cristallizzino e diventino qualcosa di negativo. Cercare di capire chi abbiamo di fronte richiede uno sforzo immane che non tutti hanno voglia di compiere. Alice vede in Carlo ciò che vuol vedere: un uomo rispettabile anche in virtù della patina esteriore di onorabilità socialmente accettata (lui si presenta come un manager di successo e un uomo di cultura, distinto ed elegante) e proposta dai media legata soprattutto a caratteristiche di tipo concreto come l’appartenenza a una certa categoria sociale, per esempio. La loro conoscenza si manterrà estemporanea e non si tramuterà mai in qualcosa di più profondo impedendole di vedere “oltre la porta socchiusa”.
Nella realtà di tutti i giorni ciò avviene con conseguenze drammatiche spesso stigmatizzate nei resoconti giornalistici della cronaca nera. Il marito che accoltella la moglie che voleva separarsi da lui viene descritto come una persona gentile che salutava tutti e amava gli animali, dico per dire. Chiaramente siamo di fronte a più di un problema relazionale: la volontà di avere accanto a sé un partner senza andare troppo per il sottile, perché avere qualcuno al proprio fianco ci rende più simili a tanta gente istituzionalmente parlando e allontana la solitudine. E poi l’idea di una donna vissuta da molti uomini come una sorta di appendice del proprio corpo di cui, anche in presenza di un rapporto disfunzionale, non ci si vuol privare in virtù di un’idea morbosa di possesso che non ha più ragione di essere in un’epoca in cui le donne sono giustamente capaci di diventare artefici del proprio futuro da sole.
Con ciò non voglio dire che non sia possibile instaurare sane relazioni interpersonali tra uomo e donna ma piuttosto porre l’accento su una vera emergenza educativa, spesso minimizzata e banalizzata, affrontata con poca serietà che è presente in più di una generazione se è vero che ciascuno di noi pone in essere e interpreta quei modelli ricevuti nelle famiglie di origine. Se non incontri sul tuo cammino qualcuno che si prende la briga di farti notare che certi atteggiamenti non vanno bene, che il senso di possesso non ha mai ragione di esistere e va sostituito con comportamenti solidali e maggiormente rispettosi ed empatici verso l’altra persona, è tutto inutile.
Il predestinato era una persona su cui per una frazione di secondo aveva avuto potere di vita e di morte sia pure per cause e concause da principio non dipese da una sua precisa volontà. Una farfalla da catturare, riporre ancora viva in una vetrina trasparente osservandone il lento e progressivo spegnimento.
Lentamente si va precisando, con i significativi dettagli che stiamo svelando, che il suo romanzo è una sorta di affresco sull’importanza dei legami e sulla loro qualità: legami che sostengono e rendono liberi; legami che vorrebbero soffocare e imprigionare. Ci siamo troppo allontanati dalle sue intenzioni?
No, affatto. Oltre la porta socchiusa non è la semplice narrazione quotidiana, lineare e priva di mordente, della vita di Alice intesa come “una di noi” tout court. È una proposta di riflessione da parte mia su parecchie sfaccettature della nostra epoca. Come ho già detto in altra sede, semino nel testo degli indizi non soltanto per mantenermi coerente all’impostazione di giallo psicologico che ho voluto conferire a questa terza e ultima storia urbana, ma anche e soprattutto per stimolare attraverso descrizioni o vicende prese dalla vita di ciascuno di noi quei lettori che hanno voglia di leggere anche tra le righe. Tra queste proposte di lettura c’è quella dell’ampiezza di scelta che abbiamo nel momento in cui decidiamo di condividere un pezzo di strada al fianco di qualcuno. Sarebbe bello e consolatorio poter augurare a tutti una buona vita costellata da persone ineccepibili ma sovente ciò non accade. A me basta istillare il dubbio: è giusto andare avanti e accontentarci di false sicurezze, spesso materiali, in cambio del controllo totale della nostra vita da parte di terzi o forse sarebbe meglio vivere giornate più adatte a noi con persone che accettano i nostri difetti e non vogliono conformarci ai loro ideali astratti di perfezione? Che ci amano e rispettano anche e soprattutto per le nostre idee e quelle piccole contraddizioni così umane, quasi cucite addosso che ci rendono ciò che siamo, unici e irripetibili? Me lo chiedo e glielo chiedo.
La viuzza piccola e di passaggio in cui sorgeva aveva acquisito una nuova gioventù. Il locale, frequentato con sistematicità da una clientela affezionata, aveva conservato quell’aria tranquilla e informale a cui Anna e Michele, i suoi proprietari, tenevano così tanto.
Nella vicenda che lei narra appaiono importanti i luoghi di una città: le strade, le piazze e anche i locali e i negozi: vita quotidiana colta nel suo andamento. Che cosa ci vuole dire di questa ambientazione?
Le descrizioni che faccio, e che qualcuno ha definito di tipo filmico, aiutano il lettore a entrare nel vivo delle vicende e a seguire in modo ottimale la storia oltre a consolidare quel senso di quotidianità autentica, vera e vissuta, che come affabulatrice vorrei si respirasse: una specie di appartenenza a un’unica prospettiva esistenziale coniugata in maniera variegata ma pur sempre della stessa provenienza. Intrisa di una umanità che ama, soffre, magari sbaglia ma poi cerca di rialzarsi al meglio delle sue possibilità. Ma non su un palcoscenico in preda ad acrobazie e movenze straordinarie incantatrici e lontane dal mondo che ci circonda. Su un marciapiede di una città di medie dimensioni, su un pianerottolo, nella quiete di un soggiorno immerso nella penombra di fine giornata. Quelle piccole cose di pessimo gusto che rendono accettabile la nostra routine, per quanto ripetitiva e uniforme si prospetti, perché sono connotate dal valore aggiunto della nostra affettività di persone.
Non voglio pensare a quello che poteva capitarmi. Io ero il suo chiodo fisso da prima di conoscerlo di persona. Sapeva ogni minimo particolare che mi riguardava, dal mio indirizzo alle mie frequentazioni.
Alice va incontro alla vita affrontando anche i passaggi più duri e inquietanti. Possiamo dire qualcosa sul sapore, l’odore o la magia che questo romanzo ci lascia mentre ci avviamo al finale?
Se proprio devo pensare a un odore evoco una delle scene finali di Oltre la porta socchiusa. Alice sulla soglia della portafinestra del soggiorno di casa annusa l’aria che sa di neve dopo una nottata sconvolgente e per molti versi tragica di disvelamento di una realtà cruda e inaccettabile.
Quell’evento meteorologico straordinario le porterà novità, vigore e speranza: una minuscola promessa di felicità. In fondo sta a noi riconoscere un piccolo atto di magia nel momento in cui questo si manifesta, facendo in modo che la nostra parte bambina riesca a gioirne per la nostra stessa sopravvivenza emotiva. Per i sapori rimando a quello agrodolce della melagrana, che per me incarna il senso della Vita, punti di forza e punti di debolezza: per me è stato principio di tutto, parlando come scrittrice, oltre a manifestare il senso autentico di un’esistenza che è fatta di elementi contrastanti, ma continua forse per questo a stupirci e a farci sentire vivi, centrati nell’universo piccolo o grande che abbiamo delineato attorno a noi. Grazie per quest’intervista bella e difficile.
Per saperne di più
Lucia Guida, nata a San Severo (Fg), abita e lavora a Pescara, città in cui insegna Inglese. Nel 2012 ha esordito con la silloge di racconti Succo di melagrana – Storie e racconti di vita quotidiana al femminile e nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo La casa dal pergolato di glicine, seguito nel 2016 da Romanzo Popolare e Interlinee (2018), rispettivamente un romanzo e una silloge di poesie per i tipi di Amarganta. Del 2021 il romanzo Come gigli di mare tra la sabbia edito da Alcheringa. Le sue opere hanno ottenuto numerosi riconoscimenti letterari nazionali e internazionali. Già curatrice di rubriche di scrittura su siti di arte, musica e spettacolo, al momento si occupa di un blog sulla piattaforma WordPress e di alcune pagine su Facebook di scrittura e lettura dedicate ai suoi libri e alla propria attività di autrice. Oltre la porta socchiusa (2024) di Arkadia Editore è il suo ultimo romanzo.
Antonio Fresa
Il link all’intervista su Menti in fuga: https://tinyurl.com/37zm53xd