“Non è di maggio” su Versiliatoday
“Non è di maggio”: le donne, la storia, la realtà, l’incanto.
“Non è di maggio” è l’ultima opera di Luigi Carrino edita da Arkadia (2021). E’ la storia di un bambino speciale, di un’isola rinomata, dove si annidano nella trama, le suggestioni del grande romanzo novecentesco.
- “Non è di maggio”, il tuo ultimo romanzo, si concentra su un protagonista assolutamente intrigante, capace di rapire il lettore con la sua storia e il suo modo di stare al mondo pagina dopo pagina. Come descriveresti in poche parole Salvo?
Salvo è un portatore di luce, il parto di una stella. La sua incredulità nei confronti del genere umano è dissonante con le vibrazioni tutte dell’umanità. Il suo intento è quello di insegnare un nuovo alfabeto per volersi bene e vedersi gli uni con gli altri senza schermi, senza remore, in modo autentico. Nonostante tutti i suoi poteri, il suo intento è destinato a soccombere perché l’uomo mente a se stesso e agli altri: non per cattiveria, ma è la sua natura ingannarsi, confondersi.
- Nel tuo libro troviamo numerosi personaggi che costellano l’universo di Salvo e della sua Procida, isola in cui è ambientato il libro. Spiccano in modo determinante le figure femminili, tra maternità disconosciuta e legami con il mondo magico della tradizione, in qualche modo le donne sono il motore della trama. Quali sono le donne della storia che hai avuto più piacere a sviluppare nella storia e cosa rappresentano nell’universo narrativo di “Non è di maggio”?
Rosina la mammana-janara è stato il personaggio che più mi ha commosso. Il dolore che questa donna prova per la perdita dei suoi affetti viene riversato nella sua capacità e volontà di guarire il dolore degli altri. Angela, che potrebbe sembrare una madre anaffettiva, in realtà è sovrastata dalla perdita del compagno e pare sostare nella vita come una pietra sulla spiaggia davanti alla sua villa. Anna, madre di Angela, ha vissuto con un marito che le ha ricordato ogni giorno le sue origini umili e chi era il padrone di tutto, anche del suo corpo. Poi c’è Annina, madre del ragazzo autistico Nuccio, e poi Marta e Angela Fontanile, nonne di Angela, raccontate attraversando mezzo secolo di Storia. Sì, tengo moltissimo alle figure femminili di questo romanzo.
- Salvo vive un profondo senso di inadeguatezza nel vivere nel mondo, solo nell’amicizia con Nuccio, coetaneo affetto dall’autismo, riesce a trovare un modo di comunicare. Quali sono le caratteristiche di questa amicizia, del loro dialogo e cosa accomuna i due ragazzi?
Sia Salvo sia Nuccio in realtà non riescono a comunicare nel modo in cui l’intero Pianeta fa. La solitudine che vivono è speciale, li rende unici. Ed è proprio sulla comunicazione che si incontrano. Il loro è un altro modo di vivere nell’Universo, di parlarsi, che non passa attraverso un linguaggio ma attraverso immagini nella mente, una sorta di interazione primigenia. Il loro affetto sincero, il loro legame forte nasce dal fatto che si sono ri-conosciuti l’un l’altro nella loro vera essenza.
- Nel romanzo affronti temi importanti dall’autismo alla teoria dei bambini indaco alle leggi della fisica con rigore scientifico ma conferendo l’accessibilità di una narrazione letteraria. Che ruolo hanno queste tematiche nel romanzo e quale strada hai perseguito stilisticamente per renderle “accessibili” e coinvolgenti come di fatto sei riuscito a fare?
Be’, è stata dura mettere insieme tutti questi elementi e piegarli alla narrazione che avevo in mente. Non è un caso che ho impiegato un bel po’ di anni a scrivere questo romanzo. La fisica quantistica, la relatività con cui cozza, le teorie di Heim sulle multidimensionalità, le capacità di certi bambini di sapere più di quanto la loro età giustificherebbe non sono cose innaturali, anzi: è proprio attraverso la Natura che sono riuscito a coniugare spiritualità, scienza, tradizione magica e comunicazione.
- Mi ha colpito tantissimo, tra i tanti aspetti della tua opera, le scelte linguistiche che hai applicato nel discorso narrativo. Dialetti e lingua italiana si alternano e si fondono, il lessico preciso della scienza fin dall’inizio. Che funzione hanno le diverse scelte che hai attuato?
Bisognava trovare le parole giuste, la narrazione aveva bisogno di sedimentare e io di strutturare ogni singola frase. L’uso del dialetto è un suggerimento per far riflettere il lettore sulla comprensione di quello che diciamo: certe espressioni del mio territorio non possono essere del tutto trasportate in italiano senza perdere delle sfumature che un napoletano conosce perfettamente, ma avrebbe serie difficoltà a restituirle nella loro semantica precisa perché il tutto è accompagnato anche dal linguaggio del corpo. Il fatto è che spesso gli uomini non si comprendono, non voglio comprendersi e talvolta non hanno i mezzi per farlo.
- La storia è ambientata nell’isola di Procida e non è solo uno sfondo, è una realtà che interagisce con la sua essenza nelle vite dei protagonisti. Cosa di quella Procida di decenni fa si può ancora riscontrare nel presente?
Procida è un miracolo di bellezza. La differenza tra conservarsi e preservarsi è abissale. E Procida è stata preservata, si è preservata nella sua tradizione ma non ha rinnegato modernità e progresso e quindi non è un’isola conservatrice. Forse è uno dei pochi casi italiani dove gli anni trascorsi non hanno disperso ricordi e non hanno rinnegato quello che accadeva contemporaneamente. Era il luogo migliore per ambientare un romanzo come il mio, dove gli avvenimenti vengono vissuti e rivissuti, modificati, piegando il tempo.
- Il tuo libro è dedicato a tutte le grandi scrittrici e poetesse italiane, in particolare a Elsa Morante e Anna Maria Ortese. Cosa significano queste due straordinarie autrici per il romanzo e per te?
Mi sono confrontato con il romanzo novecentesco. Oggi quasi nessun autore italiano lo fa. La scrittura che arriva da autrici, in questi anni, mi piace molto di più di quella che arriva da mano maschili. Elsa Morante è stato un nume tutelare nel corso di questa stesura e Procida non poteva non far pensare alla sua Isola: tante sono le citazioni sparse nel mio romanzo, anche della Storia. Stessa cosa per la Ortese: ho studiato la sua lingua, soprattutto quella di Il mare non bagna Napoli, per cogliere le sue folgorazioni linguistiche.
Erika Pucci
Il link all’intervista su Versiliatoday: https://bit.ly/2P0cjQq