“Non è di maggio” su La casa delle storie
NON È DI MAGGIO DI LUIGI ROMOLO CARRINO
“Non è di maggio” racconta l’inadeguatezza di un ragazzo nel mondo e la sua incapacità di accettare che le persone sulla Terra “non si vedono davvero”. Rifiutato dal bene più grande che l’Universo abbia mai conosciuto, quello della madre, nei suoi primi anni di vita Salvo imparerà a controllare tutti i suoi poteri, dalla telecinesi alla telepatia, dall’abilità di curvare il tempo alla capacità di guardare lo spazio-tempo. Nato davanti al mare di Procida, il bottone più bello del Mediterraneo, eserciterà questi poteri con la mammana-janara Rosina, in una terra fatta di donne del popolo e di nobiltà partenopea che non intende essere messa da parte dal progresso. Salvo tenterà di mutare il mondo e portare un nuovo modo di intendere il significato della vita, convinto com’è di essere nato per questo cambiamento. Lui, il figlio del cielo, il parto di una stella, il bambino indaco, crede di essere arrivato sul Pianeta per insegnare un nuovo alfabeto dell’amore agli uomini.
Introduzione
Ci sono momenti nella vita in cui senti dentro di te una voce che ti suggerisce di fermarti e riavvolgere quel nastro della tua esistenza per raccontare al mondo la tua storia. Si resta impassibili, crediamo di essere padroni del corpo ma è subito preso da emozioni incontrollabili. Paura, terrore, amaro riso, dolce rimpianto che danno un inconvertibile climax. È come un io viandante che percorre gli impervi sentieri della memoria. Prende la consapevolezza che in realtà nemmeno la storia che si sta accingendo a scrivere non gli appartiene veramente perché è la somma degli incontri che si sono susseguiti senza un come, un perché, ma semplicemente doveva andare così. Tragitti inimmaginabili che si confondono e si perdono tra le strade di montagna le onde del mare e il deserto dell’anima. Ricorda di aver visitato tutto questo ma non sa esattamente né dove né quando né con chi, è così che il viaggiatore sospeso riassume il suo percorso azzerando le certezze e accomunando le negazioni. In fondo è egli stesso una negazione. La negazione del tutto e del niente, poiché nessuno gli cammina accanto. Si volta ed è solo, profondamente solo. Spazio e tempo lo inghiottisce in una realtà austera e matrigna, dove il duplice inganno è servito come un piatto freddo, il regno delle infinite possibilità dove tutto è possibile, ma l’unica concretezza è quel pugno chiuso da cui fuoriesce la sabbia della dimenticanza. Cerca di attraversare la ferrovia dell’attesa, nella speranza di prendere il treno giusto per una volta. Eppure è ancora destinato a errare alla ricerca di qualcosa che è lontano e astratto, non è ancora arrivato il momento di librarsi in volo libero da catene invisibili a occhio nudo eppure lo tengono prigioniero in questa porzione di mondo. L’io non può andarsene perché c’è un dubbio che attanaglia la sua mente, cos’è lo spazio? Cos’è il tempo? Che si dica hic et nunc, qui e ora, here and now la diversificazione linguistica non muta la nudità e l’essenzialità dell’istante. Ruota tutto sulla descrizione di un attimo che può prendere qualsiasi forma oppure celarsi in qualcosa di asettico e apparentemente indefinito che nella nitidezza di uno scatto aspetta quell’io disposto a guardarlo. In quest’incrocio di sguardi il concreto e l’astratto si tramutano in armoniosa parola. Il viaggiatore fa dei giri immensi ma poi ritorna nel suo personale adesso. Si accorge però che in realtà è rimasto fermo sempre nello stesso punto. Fermo davanti alla finestra della sua camera il viaggiatore osserva il Sole dire arrivederci al mondo. Si ritrova suo malgrado testimone del clandestino incontro tra i più classici degli amanti. Si sfiorano soltanto, è questione di contatto e ciò nasconde il messaggio di estrema fiducia nell’altro. Il viaggiatore sente nello stesso momento qualcuno che gli sfiora il viso, l’inaspettata vicinanza con la persona amata che credeva di aver perso lo fa svegliare dall’antico torpore. Apre il suo cuore e trova finalmente la chiave per scrivere la sua storia mediante la luce della rinascita, anche se nel suo animo alberga ormai la notte. Si sente spossato e decide che è arrivato il momento di far riposare le stanche membra. Luce e ombre si alternano fino a quando nell’universale ciclicità degli eventi sorge una nuova alba che non lo vedrà protagonista.
Aneddoti personali
Quando mi è giunta la notizia che Luigi Romolo Carrino avrebbe pubblicato con la casa editrice Arkadia, non potevo immaginare che a distanza di tempo questo romanzo mi sarebbe entrato dentro, raggiungendo un posto speciale nel cuore e lasciandomi la voglia di recuperare gli scritti precedenti di quest’autore straordinario. Questo libro è speciale per tanti motivi ma uno è strettamente personale, è il romanzo che contiene la dedica dei curatori della collana, tre persone speciali che hanno dato alla mia esistenza una sfumatura diversa. Ho avuto da subito la sensazione di conoscerli da sempre e in qualche modo so che ci stavamo cercando Un enorme grazie quindi a Patrizio, Ivana e Mariela per esserci sempre. Quando ho ricevuto il libro, è come se le stelle fossero tutte allineate, una perfetta congiunzione astrale. Si stava avvicinando il mio compleanno e all’interno ho trovato appunto una dedica particolare che conservo gelosamente. Dall’alto della loro esperienza hanno avuto ragione, perché questo libro l’ho proprio divorato. Una volta iniziato, infatti, non si riesce a smettere, bisogna continuare fino a quando arriva il momento di lasciare Procida, il luogo in cui è ambientato il romanzo e si ha il nodo alla gola. Devo dire che durante la lettura non riuscivo a smettere di pensare a Mariela, le parole che mi ha detto durante una delle nostre telefonate mi ronzavano nella testa fino a quando non ho trovato la risposta e quest’opera d’arte mi è apparsa in tutta la sua completezza e bellezza. L’ultimo di questi grazie va indubbiamente a Luigi, detto Gigio che è l’autore di questo piccolo grande capolavoro, lo ringrazio per essermi amico, per volermi bene in un angolino del suo cuore e per aver regalato a me e a tutti i lettori, un’opera intrisa del valore più alto che la letteratura può avere.
Recensione
C’era una volta, c’è ancora e sicuramente ci sarà, un luogo, dove i sogni raggiungono il culmine della loro potenza, mostrandosi nella loro rappresentazione soltanto a chi vuole guardare realmente, cominciando un viaggio verso l’oltre che non ha fine, ma in cui la vera meta è sorprendentemente il suo inizio. Alla ricerca del misterioso e personale ἀρχή, l’origine del tutto. L’autore in Non è di maggio ci introduce in una società antica, dove sapori odori e persino i pensieri hanno un altro colore. Con questo romanzo l’autore rieduca il lettore alla bellezza apprezzando il paesaggio circostante ma anche l’armoniosità di suoni e parole che si convergono inaspettatamente nel regno del silenzio. Si spinge l’essere umano a continuare la sua eterna missione di trovare un posto nel mondo oppure il proprio caratterizzante elemento. Il luogo è solo apparentemente descritto e individuato in Procida, la parola scritta non è una gabbia ma il primo sinonimo dell’agognata libertà dell’esistere. Questo è un romanzo aspaziale e atemporale perché in realtà l’oggetto d’indagine è l’autenticità del bene attraverso le privazioni. La maggior parte dei personaggi sono donne anaffettive sospese in una totale perdizione del loro, essere donne ma soprattutto madri. Con una scrittura lirica Carrino indaga ciò che i latini chiamavano vultus. Gli animi dei personaggi sono sfaccettati, hanno il cuore abitato dai corvi, ma tentano faticosamente la risalita verso la purezza, chissà se il tempo del perdono sarà dalla loro parte. L’autore si sofferma su tutto questo attraverso due bambini Salvo e Nuccio, avendo un profondo rispetto per l’infanzia. Nei quarantasette capitoli in cui si divide il romanzo Carrino, osserva il mondo con i loro occhi e la loro vicinanza fa cambiare la prospettiva anche ad Angela, Anna, Annina e Rosina. La soffocante normalità spiegata attraverso la diversità, non solo cromosomica ma anche di propensione d’animo. Questa è la tipica storia che ha il sapore di un’antica leggenda oppure di una fiaba raccontata davanti al fuoco in una notte d’inverno. È la saga familiare dei Lieto e dei De Rosa ma è soprattutto un romanzo sensoriale, sulle percezioni, dove ogni elemento carnale o personificato ha una sua voce senza alcuna distinzione. Come in tutte le fiabe anche qui c’è l’elemento magico intriso però di realismo che apre le porte della fantasia tra sogno e credenze popolari. Questo elemento è incarnato perfettamente da Rosina la janara di Procida che con i suoi intrugli salva ma genera negli altri timore, è considerata strana e nella sua stranezza individua il potenziale del piccolo Salvo e fa in modo che l’arte della magia abbia con lui una sua continuazione. Il più grande degli incantesimi però lo compie il destino mettendo sulla strada di Salvo, Nuccio un bambino autistico. Salvo con Nuccio perde la sua aridità emotiva e riconosce per la prima volta che anche il suo cuore può battere. Un’amicizia speciale dove l’autore descrive dettagliatamente il linguaggio del corpo sfruttando il suo significato metatestuale che racchiude al suo interno quello che è uno dei più grandi insegnamenti di Sepulveda: solo chi osa farlo può volare. Un romanzo colmo di poesia, citazioni letterarie che attraverso inganni dolori, morte e amori ci fa guardare dentro, nel nostro sé più intimo tingendo il nostro animo di quel blu che trova nella sospesa comunione tra cielo e mare la sua universale e perfetta armonia.
Conclusioni
Consiglio questo libro veramente a tutti coloro che vogliono intraprendere un viaggio tra le emozioni e ritrovare la loro parte bambina.
Francesco De Filippi
Il link alla recensione su La casa delle storie: https://bit.ly/3uPdLEu