Non è di maggio

Un estratto del romanzo di Luigi Romolo Carrino

 

 

 

ERA DI MAGGIO

 

Maggio fa impazzire di giallo le ginestre e fa le teste bianche al mirto, scippa l’odore di resina al lentisco e lo spinge nella cucina e lo strascina sotto il porticato, lo caccia via dalla camera da letto, lo sale per le scale in pietra lavica e va a mischiarlo con la lavanda Mira Lanza delle lenzuola che Rosina ha sciorinato sulla loggia. Maggio promette al gelsomino una festa di ombrellucci candidi e dice all’aria un profumo che sa di incenso e si finge di essere una rosa a cento passi. Maggio porta, porta maggio, un calore nuovo per l’estate che sta arrivando e un Sole bambino che fa le smorfie di mattina e ride pe’ senza niente sulla capa delle donne di Procida uscite a far mercato. Maggio porta una luce che stopetea di luce i vigneti dell’aglianico e i corbezzoli e i limoni, come se gli volesse dire: Non è il vostro turno, guardate che arriva l’estate e voi avete già fatto le cose vostre i vostri fiori e i vostri frutti, come se gli volesse dire: Voi avete già fatto il vostro odore.
Nel cielo maggio ci mette una palla che appiccia di arancione la casa verde, la casa azzurra con lo scalone in piperno, la casa con il finestrone viola. I pescatori le hanno colorate così, le loro case, per riconoscerle subito anche da mezzo al mare e pare che maggio questo lo sa e dà una mano leggera di indaco per farle luccicare di più.
Maggio fa sudare nella controra la fronte di un guagliunciello di quindici anni mentre impara ogni giorno la vita un poco un po’, a quest’età un minuto è lungo quanto un mese, e gli fa gli occhi a fessura mentre guarda verso Napoli e manda un bacio a chissà chi senza ragione.
Sul Cristo dei pescatori maggio posa un codazzurro solitario e stanco della Siberia e lo rifugia qui perché maggio fa il nido sull’isola agli uccelli più strani, a quelli più rari. Prima che si scarrupi la sera, su tutto il porto di Procida si sente crescere il frusciare di ali e gli stormi sfilano nel cielo come una coreografia di soldati tronfi di patriottismo e se ne vanno a dormire sull’isolotto di Vivara uno dietro un altro, di fianco a qui.
Questo fffrrr! Questo ffffffrrrrrr di maggio è la litania di donne che chiedono grazia per un ritorno. È la preghiera pronunciata sottovoce per mariti dentro tempesta. È il lamento di una ragazza bionda per il suo fidanzato morto di tifo. Questa è anche l’ora dei bisbigli di madre che dietro a una porta rimproverano alla figlia un segreto spiritato di paura da nascondere al padre-padrone di casa, che sia uno sposo non gradito o un bambino che non può e non deve nascere.
Maggio avvisa le falene più cieche, attratte dal caprifoglio già fiorito, che si sta facendo tardi e dice maggio predice, dice la sera che sta per arrivare con lo strillo dei pipistrelli usciti a cercar zanzare e lo dice con il suono di una madre alata e mammifera che la riconosce la voce di figlio tra mille altri piccoli figlioletti e poi, poi infine, la sera cade improvvisa e se ne va a fare notte e musica con il mare.
Era un sabato e io non ero ancora nato. Sul piroscafo a prua, nella pancia di mia madre, ascoltavo le cose del mondo e le raccontavo a mio fratello che non faceva altro che dormire tutto il tempo nello spazio piccolo a nostra disposizione.


Arkadia Editore

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