“Nomi, cose, musiche e città” su SoloLibri
Nomi, cose, musiche e città di Giovanni Granatelli
Arkadia editore, 2023 – Libro magistrale, dizionario di sogni condivisi, dove a volte ti fermi perché ti sembra di conoscere quelle persone raccontate: ma non siamo noi, ci speravamo.
Giovanni Granatelli è quel tipo di scrittore che non vive l’uscita di un libro come un atto messianico, né si sente cultore di una setta che chiameremo “poeta che scrive anche libri”. È un signore colto, che vive a Milano per lavoro, e ultimamente, ha raccolto venti anni di poesie edite e inedite in Resoconto (poesie 2002-2022), per Scalpendi editore.
Ora, invece, ha scritto prose brevi autobiografiche dal titolo Nomi, cose, musiche e città (Arkadia editore, 2023) che hanno come caratteristiche una leggerezza calviniana e il caso fortuito, ovvero quaderni trovati nei cassetti, fino a prosciugare gli scritti in aforismi che ricordano quelli di Emil Cioran nella forma, ma solo per la brevità, non avendo molto altro in comune.
Granatelli è il “Narratore di sé stesso” e ha protagonisti spesso presenti che sono la moglie e le figlie da piccole. Ad esempio la moglie non potrebbe riconoscersi ma perché anche l’autobiografia è “finzione” e meno male, sennò sarebbero documenti catastali.
E invero anche la leggerezza di Italo Calvino non era poi tale. Era serio e coscienzioso nel lavoro, poco avvezzo alla battuta di spirito. E Giovanni era un camminatore alla Martin Walser, anche nei paesi in cui andava poi, anche a causa del virus e non solo, l’età che si srotola e porta con sé la fatica, un po’ di pigrizia e parecchie sigarette di troppo (mai due fumatori dovrebbero prendere l’argomento).
Camminare, dunque, ma anche ascoltare musica che per i poeti dovrebbe essere sempre la musica classica, perché i cliché sono duri a morire. E dunque il rock, i Genesis, ma forse più di loro The Smiths anche se poi e lo scrittore incalza:
E comunque non soltanto di rock si tratta, per quanto non mi sia mai capitato di godere delle Variazioni Goldberg di Bach, per me uno dei vertici della creatività umana, tenendo un volante fra le mani.
La gentilezza del tocco di Granatelli, che quasi si scusa se guidando la macchina non trova gusto nemmeno della musica di Bach.
Più si va avanti, più le parole si prosciugano. Eppure chi scrive trova una “cauta maturità” negli scritti di Granatelli, come se avesse timore.di affrontare la reale crudeltà del mondo e dunque:
Purtroppo la mia mente non si ferma mai, i suoi ingranaggi sono perennemente in funzione, freneticamente in un’attività che non di ramo mi spossa e così, senza peraltro smarrire l’adesione a ciò che accade davanti ai miei occhi, in una parte del mio cervello, cominciò a pormi delle domande. Provo compassione per l’animale? Sì ma non troppa, anche perché non sono vegetariano e dunque non intendo essere ipocrita. Qual è la parola chiave che viene tramandata da questa pratica antica? Rifletto in un attimo, senza pensarci troppo, e quindi mi dico “Coraggio”. Coraggio, che virtù trascurata, nei nostri tempi, condannata all’obsolescenza.
Non abbiamo coraggio, ma non abbiamo più nemmeno un futuro credibile. Il nostro autore trova androni, palazzi e piazze a Milano di cui non aveva contezza, per andare altrove e a questa considerazione, ci potevamo arrivare senza una pandemia globale.
Così come le città dei nostri cugini d’oltralpe: Granatelli fa un breve riassunto della città di Lione senza sembrare un preside con dei liceali addormentati, né come guida turistica.
Scopre pian piano una città che è sempre stata uno snodo ferroviario e, con le sue parole, anche a noi, dalla sedia, troviamo bellissima la Lione dell’autore più della città stessa.
La stessa pandemia, che resta una ferita immedicabile, per il nostro Narratore è la possibilità di alzare gli occhi oltre il cellulare e scoprire scorci di Milano che sarebbero rimasti per sempre vuoti.
E poi la famiglia di Granatelli, che non sarà severa e borghese come quella della Ginzburg, qui è un concentrato di dolcezza e autorevolezza. Soprattutto perché si devono mettere nello stesso calderone due generazioni che non potrebbero essere più distanti. Ma resta il ricordo, il rimpianto, di culetti imbrattati, di adolescenze mute, dove si capiscono molte cose anche solo per come viene messa a tavola la forchetta.
Libro magistrale, dizionario di sogni condivisi, dove a volte ti fermi perché ti sembra di conoscere quelle persone raccontate: ma non siamo noi, ci speravamo.
Vincenzo Mazzaccaro
Il link alla recensione su SoloLibri: https://bitly.ws/XiXz