Nelle mani dei maestri la grande sapienza di un’arte raffinata
La Nuova Sardegna
14.05.2010
La chiamano «l’ultima nuragica». A Villanovaforru, che fu nell’antichità, anzi addirittura nella preistoria, uno dei grandi empori ceramici del Mediterraneo, Roberta Cabiddu «è divenuta simbolo della continuità con l’arte e il gusto degli artigiani che circa 29 secoli fa plasmarono i raffinati lavori (àskos, brocche trilobate, vasi piriformi, borracce, grandi ziri) rinvenuti a Genna Maria e ora esposti nel museo del paese», uno dei più famosi della Sardegna. A lei e alle sue emozionanti reinvenzioni di queste testimonianze dell’antica identità è dedicato uno dei trenta capitoli del quinto volume della collana sugli “Antichi mestieri e saperi della Sardegna” che sarà in edicola da domani insieme alla “Nuova Sardegna”, intitolato appunto ai ceramisti e ai vasai sardi. O, meglio, alla storia e alla tradizione della ceramica nella storia della Sardegna. Cominciando da quei manufatti di argilla che compaiono in Sardegna per la prima volta nel Neolitico Antico, oltre settemila anni fa, con un particolare tipo di decorazioni, impresse sulla creta con il margine dentellato del “cardium”, una conchiglia diffusa praticamente in tutto il Mediterraneo. Da quel momento è cominciata una storia che non è ancora finita: basta pensare alla fama e all’apprezzamento di cui godono i moderni ceramisti sardi, alle cento volte con cui artisti di grande notorietà, soprattutto in questi ultimi cento anni, hanno dato vita ad una tradizione di ceramica artistica che conta i nomi di Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Melkiorre e Federico Melis, il grande Salvatore Fancello che la morte in guerra strappò giovanissimo, negli anni Quaranta, a un sicuro successo per la forza e l’originalità inventiva: e ancora nomi come quelli di Gavino Tilocca, Giuseppe Silecchia, Emilia Palomba. E insieme a loro, oggi, i grandi ceramisti di Assemini, vincitori di concorsi in ogni parte d’Italia, e i fìgoli oristanesi, uno dei quali, Angelo Sciannella, è anche autore di due capitoli del volume, straordinariamente interessanti per la minuziosità con cui Scannella illustra e analizza i tanti segreti di un’arte bella ma anche difficile. Ma non è la ceramica d’arte quella che attraversa, si può dire, la vita quotidiana dei sardi attraverso tanti secoli. Si pensi all’importanza del làdiri, il mattone di paglia e fango crudi essiccati al sole, con cui sono state costruite tante case dei Campidani: oggi, come si sa, è in atto una coraggiosa campagna per riaffermare le virtù ecologiche di questo mattone, cellula fondamentale di case fresche d’estate e calde d’inverno, quelle che – quando sono fatte a regola d’arte da maestri di muro particolarmente capaci – diventano “domo ‘e saludi”, case particolarmente salubri per chi ci abita. Per non dire della produzione di tegole e coppi, durata più di due millenni: a Lodine, racconta un capitolo del libro, “sa tèula” faceva le funzioni della moneta, tanto era abbondante e nello stesso tempo preziosa la sua produzione. Ma l’oggetto-simbolo della ceramica è il vaso, recipiente adatto a mille usi: nel libro uno dei capitoli è dedicato a uno dei più particolari, “sa scivedda”, destinata principalmente all’impasto della farina e dunque alla produzione dei cibi fondamentali dell’esistenza domestica. E ci sono, nell’antichità, le famose “anfore onerarie” che, allineate impilate nella stiva delle navi, permettevano di trasportare merci di ogni tipo attraverso il Mediterraneo – non escluso quel “garum”, una sorta di salsa di pesce, che i Romani usavano come condimento prelibato. Fino al Duecento-Trecento la gran parte della ceramica sarda era prodotta in Sardegna, ma gli apporti da altre rive e altri luoghi del Mediterraneo erano tutt’altro che infrequenti. A partire dal periodo giudicale si moltiplicarono le importazioni. Molte di queste ceramiche “esotiche”, per esempio, sono state trovate scavando i resti del castello giudicale di Ardara. E come dimenticare gli splendidi “catini” di ceramica invetriata che adornavano (e adornano anche oggi, ma spesso drasticamente diminuiti di numero da ruberie di secoli) le chiese romaniche nelle campagne sarde? Un libro, dunque, quello proposto da “Antici mestieri”, che non racconta solamente la storia della ceramica, ma la storia stessa della Sardegna colta nella sua quotidianità: e lo splendido corredo di immagini aiuta il lettore a ritrovarsi in altri tempi, in altri luoghi. – Manlio Brigaglia