Monologhi impossibili
LILITH
Quindi un serpente, che non può essere incantato fece il suo nido tra le radici dell’albero huluppu. L’uccello Anzu mise i suoi piccoli tra i rami dell’albero e la vergine oscura Lilith costruì la sua casa nel tronco… (dal cuneiforme poema sumerico intitolato L’albero Huluppu).
Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l’un l’altro; vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora (Isaia 34:14).
Vi si anniderà il serpente saettone, vi deporrà le uova, le farà dischiudere e raccoglierà i piccoli alla sua ombra, vi si raduneranno anche gli sparvieri, l’uno in cerca dell’altro, nessuno si farà attendere (Isaia 34:15).
La più bella sei tu – il tuo nome è Lilì – spettinata così – tu mi piaci di più – Oh! No! Non cambiare anche tu! – Non cambiare i capelli – non truccarti di più – amore ma tu tu tu tu tu tu tu tu… (Musetto, Domenico Modugno, 1956).
Ecco, nei sacri testi sono descritta così! Però, per mia fortuna, ci hanno pensato i pittori della Confraternita dei Preraffaelliti a raffigurarmi come simbolo della femminilità. L’ha fatto Dante Gabriele Rossetti, dipingendomi anche in veste di Venus Verticordia o Venere che apre i cuori.
Ecco, è anche come diceva e cantava Mimmo Modugno di quel musetto che si chiamava Lilì. Io Lilith voglio essere immaginata così: pettinata, vestita e truccata in quella maniera lì di Lilì. Me la canto e me la suono quella Lilì, per scacciare i cattivi pensieri e i brutti sogni.
Per quasi tutti, da che mondo è mondo, sarei un mostro notturno portatore di disgrazie. Sarei una megera, un’indemoniata da esorcizzare con acquasanta e crocifisso.
Di me Lilith, possono dire cose orrende e sconce. Dicono che farei eiaculare gli uomini che dormono da soli e che da quel seme sparso e perso nascerebbero demoni pronti a riprodurre il male dappertutto. Secondo miti e leggende primigenie, quello sarebbe il mio modo di partorire. Certi arrivano perfino ad attribuirmi la colpa di genocidi e olocausti.
Solo qualcuno, bontà sua, mi vede e mi descrive come incarnazione della beltà femminile e di tutto il creato che ci è stato dato. Il fatto è che di Lilith non ce ne è solo una, come raccontano sacri testi o sante scritture. Io sono una delle tante e mi piace farmi chiamare Lilì o Lulù o Leila anche.
Io sarei l’Arpia per eccellenza e come tale funesterei i luoghi dove passo e molesterei tutti coloro che incontro sulla mia via. Invece, sono dolce come un’arpa, basta toccare le corde giuste.
Dicono che io semini vento e raccolga tempesta. Non penserei ad altro che a seminare zizzania tra le persone, per impadronirmene e abusarne a mio piacimento. Mi tratteggiano ricoperta di peli e ungulata.
Un mostro alato con lunghi capelli rossi, occhi iniettati di sangue e sempre pronta ad accapigliarsi e accoppiarsi brutalmente con chiunque, uomo o donna che sia.
Tracce di me si trovano in Mesopotamia, Palestina e Asia Minore.
Ho avuto tante avventure ma non mi sono mai intrattenuta con lo stesso maschio per più di una volta o al massimo due. Anche con Adamo è andata così.
Fosse stato per lui, gli sarei dovuta soggiacere a vita, dato che altre donne in giro non ce n’erano. Solo animali che davano latte come le capre e le pecore. Qualche volta ho visto Adamo che si infrascava con una bella pecora, così come può capitare in quell’isola che chiamate Sardegna, tra i pastori che vivono a tu per tu con le pecore.
In Sardegna non ci sono mai stata. Lì, molti portano uno strano cognome che ricorda uno dei miei nomi babilonesi: Lilitu. In Sardegna quel mio nome assiro-babilonese indicherebbe i genitali femminili. Chissà come sarà poi andata. Io non c’entro. Potrebbe essere stata qualche divinità malefica finita in Sardegna ai tempi del Giudizio Universale o al tempo della cattività del popolo ebraico in Babilonia.
Può anche capitare che i nostri genitali possano mettere paura e soggezione e assumere l’aspetto di un gufo o di una civetta, esseri notturni come me che spesso vengo assimilata anche a un pipistrello.
Da me figli non ne potevano proprio venire. Il seme maschile si disperdeva prima o se capitava che si inoltrasse non trovava terreno fertile. Forse qualche altra Lilith potrebbe anche essersi riprodotta, tra un viaggio e un altro ma non è il caso mio. Un altro punto è che io sono fuggita dal Paradiso Terrestre, ben prima della Cacciata dei Progenitori.
Cacciati Adamo ed Eva, tutta la natura disponibile diventò mortale. Io che ne ero uscita in anticipo, sono rimasta tale e quale e immortale e posso essere ovunque, che vi piaccia o no.
Volendo, potrei anche riprodurmi ma se mi capitasse di farlo, lo potrei fare solo per partenogenesi.
Il libro della Genesi vede tutto a modo suo e così anche il Talmud ebraico. Certo, sono una donna fuori dai canoni.
I focolari domestici non fanno per me. Di avere casa con residenza fissa non mi importa. I greci e i latini hanno un mucchio di divinità tutelari del matrimonio, del parto e della casa. Io non sono devota a nessuno e nessuno venera me a parte quei neopagani degli animisti. Non ho casa, né chiesa o tempio.
Ho una certa simpatia per quella invasata della Sibilla ma lei non è più la stessa, da quando le parrocchie hanno preso piede dovunque. Sono stata nel suo antro, a Cuma. Non succede più granché. La terra non trema, a meno che non si risvegli il Vesuvio. A volte, sono tentata di prendere il suo posto ma poi lascio stare perché io sono una che non riesce a fare l’uovo da nessuna parte.
Sono stata spesso e volentieri anche nell’antro di quell’altra Sibilla, quella ingrottata dentro i monti Sibillini, nelle Marche. Un infernaccio, dal quale emergono scosse sismiche ma io non c’entro.
Io non ho avuto bisogno di una costola di Adamo per venire al mondo. Sono stata partorita da uno sbuffo della Terra, quando questa si era appena addensata su se stessa. Quello sbuffo era come un geiser vulcanico. Altro che Eva o Venere. Avevo pelle più liscia e morbida della loro, anche se certuni mi descrivono ricoperta di peli di cinghiale e scaglie di coccodrillo. Si trattava solo di travestimenti per Carnevale o per certe feste dionisiache.
Quando Adamo mi ha vista, è rimasto a bocca aperta, con gli occhi fuori dalle orbite e fuori anche dalla grazia del suo Dio. Mi è venuto subito dietro. Avrei potuto seminarlo facilmente ma ho pensato che volevo vedere dove volesse arrivare. Siamo arrivati al dunque, poi ho capito subito che avrebbe voluto fare tanti figli con me, per trattenermi con lui come moglie, madre e massaia. L’ho mollato al suo destino di progenitore.
Il vero Eden si trovava tra l’Eufrate e il Tigri. Un tripudio. Lì, era il regno-paradiso delle palme. Loro erano di marzapane e si lasciavano assaggiare, poi la parte assaggiata ricresceva subito rigenerata. C’erano valli di ricotta, montagne di parmigiano e fiumi di vino Fragolino. Un vero Bengodi. Era bello, non c’erano uomini e si faceva tutto tra noi donne ed eravamo tutte Lilith o Lilì o Lulù o Liliana o Leila.
L’incantesimo si è rotto quando sono comparsi gli uomini con le loro complicazioni: questioni, conflitti, faide, discussioni con questo è mio e questo è tuo e questa terra è la mia terra e non ci puoi passare sopra, proprietà privata, divieti di transito e poi matrimoni d’amore e di interesse e tradimenti, amanti vaganti e il possesso e le eredità, i diritti di passaggio e i confini e i furti di bestiame, le guerre tribali e le crociate.
Tra di noi donne Lilith, eravamo una per tutte e tutte per una e formavamo una bella comune. Finito l’incantesimo, mi sono trovata costretta a difendermi come potevo per cavarmela dai guai. È in quel frangente che mi sono trovata costretta ad assumere un aspetto terrifico.
Così, mi sono messa ali da rapace e corna da Minotauro. Dovevo difendermi con le unghie da felino e i denti da vampira. Gli Ebrei mi temono fino al punto di fare un cerchio magico ai piedi della culla di ogni nuovo nato, scrivendo il nome di tre angeli esorcisti: Sanvi, Sansavi e Semangelaf. In più e per sicurezza, gli appendono al collo e alla culla amuleti capaci di tenere lontano ogni tipo di demone. Per loro, il demone femmina è il peggiore tra tutti.
Io sarei assatanata di giovani maschi che condurrei al delirio, alla perdizione e sul lastrico. Preferiscono che i loro maschi tengano i capelli lunghi per farli sembrare femmine, così io non mi accorgerei di loro e non li insidierei. Sono tutte storie, compresa quella per la quale sarei stata amante di Satana. Quello lì, mi fa un baffo e oltretutto è un vero moralista pantofolaio.
Per incantare i serpenti, anche quelli più accidiosi e velenosi, mi basta fare un fischio, un fischio di quelli che si fanno quando passa una bellezza a spasso o al bagno.
Di me, dicono che sono un vero serpente, un serpente peggio di quello dell’Albero della Conoscenza.
Sarei stata e ancora sarei un serpentone anche peggio di quel Pitone che, nelle Metamorfosi di Ovidio, viene fiocinato da Febo in persona.
Per me, l’Albero della Conoscenza vera è il corpo, il nostro corpo dove le braccia sono i rami, i seni le mele, i capelli la chioma, i piedi le radici e la… dico la… insomma quella lì che sta a valle dell’ombelico e a monte delle cosce è fonte dell’ebbrezza, mentre il sangue è la linfa vitale che scorre come malvasia o ambrosia.
Noi la chiamiamo la Lilith.
Certi, che non sanno cosa inventarsi per spiegare il mondo, attribuiscono a noi Lilith perfino la colpa delle terribili violenze degli uomini sulle donne. Tutto paga Lilith. Meno male che siamo tante e possiamo dividerci tutti questi pesi della Storia e del Mito. Siamo tante, tante quante erano le ninfe nelle Metamorfosi di Ovidio. Siamo tante, tante almeno quante sono le donne che non hanno fatto e non fanno figli.
I sensi, da sempre, sono cinque ma poi c’è il sesto senso. Non tutti ce l’hanno. Il settimo senso è il senso di colpa. Tutti ne hanno almeno un po’. Noi altre Lilith, ci diamo da fare allo scopo di allargare le possibilità della percezione. Il nostro preferito è quel visionario di William Blake: quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose apparirano come realmente sono, infinite.
Noi Lilith ascoltiamo Jim Morrison quando canta: you know that it would be untrue/youk now that I would bealiar/if I was to say to you / girl, we couldn’t get much higher / come on baby, light my fire come on baby, light my fire / try to set the night on fire.
Noi altre Lilith suoniamo Janis Joplin: break another little bit of my heart now, darling, yeah, yeah, yeah. Oh, oh, have a! Lunàdiga anche lei come me che sono stata la prima donna del creato e la prima Lunàdiga tra tutte le Lunàdigas dello stesso Creato. Io Lilith, sono psichedelica e psicotropa ma non ho mai fatto male a nessuno.
Tra le Lilith, qualcuna un figlio lo ha fatto ma per suo conto, senza chiedere niente a nessuno. Sono casi eccezionali. Nessuno sa cosa possano diventare da grandi quei pargoli e che aspetto potrebbero prendere crescendo. Io non ne ho mai voluto sapere. La partenogenesi è faticosa e ti fa invecchiare prima del tempo.
Sono stata anche Sirena, quando le Sirene non erano pesci ma uccelli grifagni.
Io penso che il corpo sia la prima restrizione di libertà che ci ritroviamo appena nati.
Se avete bisogno di me, non fate altro che cantare o fischiettare la canzone di Musetto o Lilì.
Donna serpente. Donna cannone. Donna sirena. Donna fatata. Donna chimera.
Ognuna di noi Lilith, quando tira fuori gli artigli, lo fa per difendere a spada tratta l’incolumità della propria femminilità e spesso neanche basta.
Allora, tremate tremate le Lilith son tornate.
Ora, mi cambio per andare a cena.
È la cena sociale del Centro di Documentazione delle Lilith. Porterò il mio serpente au sarcophage, al posto della quaglia, come insegnava quella gran cuoca di Babette, anche lei una Lilith e una Lunàdiga.
A presto.