Mio zio l’impiegato
I
VERSO L’APPRODO
Ai primi di gennaio, in uno di quei giorni belli, splendenti, dopo un lungo tratto di navigazione lenta arrivò in vista del porto dell’Avana il brigantino Tolosa. Con le vele bianche rigonfie e sospinta dal fresco vento di nordest, sembrava che la nave si sarebbe schiantata contro i neri faraglioni della costa, ma, cambiando bruscamente rotta, diresse la prua al centro dell’angusta bocca di porto. Il cielo azzurro senza nemmeno la più tenue delle nuvolette a macchiare la sua pura trasparenza; il mare anch’esso azzurro, dalle acque così diafane che a tratti permettevano di vedere le chiazze scure degli scogli; il sole, che dal bel mezzo del cielo spandeva dappertutto luce a fiotti; la città dell’Avana, con le sue case variopinte, con i suoi attici a vetrate, con i campanili delle sue chiese, con la sua costa, punteggiata da scogliere verdi e nere, cinta dalla bianca linea della risacca, con i suoi vetri che trafitti dalla luce lanciavano sfavillii come tanti piccoli soli, con i suoi tetti vetusti e le sue terrazze rampanti, con i grandi muraglioni di pietra grigia dei suoi fortini insediati su una roccia dura e ricoperta di vegetazione: ah! Tutto questo si offriva alla contemplazione di due viaggiatori, a bordo del brigantino, con una certa meraviglia e un certo fascino ai quali non era per loro possibile sottrarsi.