Marinette Pendola con “Lunga è la notte” su La Sicilia
Gli infiniti volti della sicilianità
“Lunga è la notte”. Il diario degli anni tunisini e quelli del ritorno in Italia dopo la decolonizzazione: Marinette Pendola si racconta: «Il tema della memoria è cruciale»
La Sicilia ha infiniti volti e storie. tante di queste si annidano nei ricordi di chi serba memoria di momenti, fatti e vite che fanno parte della storia del popolo siciliano dentro e fuori l’Isola. Alcune storie, invece, corrono incontro a chi riesce a raccontarle e far sì che non cadano mai nell’oblio. È questo il caso di Marinette Pendola, la cui vita è la testimonianza della folta comunità siciliana trasferitasi in Tunisia nel primo Novecento. Nata a Tunisi da una famiglia siciliana, attraverso i suoi emozionanti romanzi Marinette Pendola racconta le vicende di un luogo che fu comunque, nelle loro case e nelle abitudini, Sicilia. Dopo “L’erba di vento”, sempre per la casa editrice Arkadia, Marinette Pendola torna in libreria sulla scia del vento nordafricano con “Lunga è la notte”.
Com’era la vita dei siciliani in Tunisia?
«Eravamo la minoranza più rappresentata. Sono nata a Tunisi come terza generazione, ad arrivare per primi da parti diverse dell’Isola furono i miei nonni. La nostra comunità ha vissuto una convivenza serena e arricchente con le altre culture, soprattutto con musulmani ed ebrei. Spesso ci si scambiava ricette o si partecipava alle reciproche feste, anche di tipo religioso. Ricordo la processione della Madonna ad agosto alla quale partecipavano tutti. A differenza degli italiani in Libia, noi eravamo una presenza ben accetta, i colonizzatori erano i francesi».
Cosa accadde poi alla sua famiglia?
«Poi, la decolonizzazione. Proprio perché non eravamo colonizzatori accusammo un profondo dispiacere nell’essere costretti a lasciare quella che per noi era la nostra casa. Fu uno strappo molto doloroso».
La sua produzione si inserisce nella letteratura della migrazione, della quale ha molte caratteristiche. Anche in “Lunga è la notte” è centrale il tema della memoria?
«Sì, il tema della memoria è cruciale, ma non solo. In “Lunga è la notte” è presente il tema dello sradicamento e – molto frequente in chi ha un trascorso da profugo – la necessità di mimesi e ricominciare da capo. Nel romanzo Mimmo ne è un esempio: la sua parlata che scivola nel bolognese è un modo per appiattire le differenze e mimetizzarsi nella nuova realtà»
Come nasce “Lunga è la notte”?
«Nasce da una storia donata. In Tunisia ho fatto molta ricerca e parlato con molte persone. Un giorno un uomo, dopo avermi fornito informazioni utili, mi raccontò della morte della propria madre: un femminicidio avvenuto molto tempo prima. Mise quella storia custodita a lungo nelle mie mani, me la donò. Tuttavia, il romanzo non è un giallo, ma è sempre la memoria di una comunità vivace e serena a essere protagonista».
La sua è una vita immersa in una realtà multiculturale al centro del Mediterraneo. Quale appartenenza prevale?
«Ho lavorato tutta la vita sulla mia identità culturale multipla. Sono madrelingua francese, sono cresciuta fino a tredici anni in Tunisia e mi hanno portato a Bologna, dove ho dovuto imparare l’italiano (e non nascondo di averlo vissuto come una costrizione!). Tutta la cultura mediterranea mi appartiene. La consapevolezza di questo mosaico l’ho costruita col tempo, ma la mia sfera più intima rimane, credo, siciliana».
Come vive la sua sicilianità?
«Fino all’età di sei anni io parlavo solo siciliano, così aveva voluto mia madre. Per imparare il francese ci sarebbe stato tempo a scuola, proprio come aveva fatto lei. Sento molto il mio rapporto con la Sicilia, è il mio passato nel senso più profondo del termine, perché l’ho sempre vissuta tramite la mia famiglia. Tuttavia, il bagaglio culturale che i miei nonni avevano portato, nel tempo si è trasformato accogliendo anche la cultura del posto. Così è avvenuto per la cucina o la lingua. I miei nonni, come gli altri, parlavano il dialetto siciliano di fine Ottocento, quasi verghiano direi, sul quale si sono inseriti arabismi, francesismi dando forma a una lingua molto interessante, che è una variante del siciliano. Questo prova, appunto, che la sicilianità ha infiniti volti».
Giusy Sciacca