“L’oceano oltre la rete” su Storygenius
INTERVISTA A ETTORE ZANCA: “I RITORNI NON CONTENGONO MAI LA STESSA TERRA, LE STESSE PERSONE E LE STESSE ANIME CHE ABBIAMO LASCIATO”
Siamo abituati a protagonisti di romanzi italiani che esercitano professioni intellettuali, sono spesso scrittori in crisi di mezz’età, oppure avvocati, giudici, artisti in cerca di ispirazione, in qualche caso invece sono giovani alla caccia di esperienze che li addestrino a vivere, oppure criminali spinti dalla voglia di riprendersi ciò che sentono proprio e che la natura matrigna, o la società ingiusta, gli hanno negato. Abbastanza inconsueto è vedere come protagonista un calciatore, come avviene nell’ultimo romanzo di Ettore Zanca, L’oceano oltre la rete (Arkadia editore, collana SideKar, 2022). L’autore, che ha al suo attivo diversi romanzi e racconti, oltre a collaborare con riviste e quotidiani, insegna storytelling emozionale e sportivo, è docente di scrittura Creativa per ragazzi autistici e per pazienti dei reparti pediatrici degli ospedali, svolge lezioni di legalità per scuole elementari, medie e licei. In questo romanzo racconta di David Rojo, un calciatore di grande successo sportivo, che torna a fine carriera nell’isola di San Vignan per giocare nella squadra locale dei suoi esordi, salita per un caso fortuito del destino – inopinatamente e senza preparazione – nella massima serie. Ma la sua non sarà solo un’impresa calcistica, dovrà fare i conti con gli altri, con sé stesso, con le donne della sua vita, in una terra che è poco più di uno scoglio immerso nel mare. L’ho trovato un romanzo bello, che si legge senza annoiarsi, e che lascia più di qualcosa al lettore quando è finito. Così mi è venuta voglia di fare una chiacchierata con Ettore.
L’oceano oltre la rete è un romanzo sul calcio o sull’amore?
È un romanzo sulle varie coniugazioni e trame a volte distorsive dell’amore. Da quello dei sentimenti viscerali e carnali a quello per un’isola, San Vignan, solo apparentemente ostile dove chi arriva non riparte, passando per l’amore genitoriale e le sue difficoltà di recupero. Il tutto con il veicolo più vicino alla vita nei suoi improvvisi cambi di fronte e colpi di genio al limite del triplice fischio: il calcio.
Il protagonista è un campione che ha vinto tutto e ritorna a fine carriera nell’isola da dove è partito, ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
Il protagonista, David Rojo, è una mistura di ispirazioni che lui stesso ammette. Ha come idoli Rafael Alkorta, che fu capitano dell’Athletic Bilbao e leggendo si capirà perché lo adora e Gaetano Scirea. Lui ha un modo molto umile ma consapevole di approcciarsi alla vita. È di poche parole e molto corretto. Almeno così sembra. Possiamo dire che è l’unione dei grandi capitani di poco verbo e tanta concretezza, oltre ai succitati mi vengono in mente Zanetti, Bergomi, Maldini, Del Piero.
Lui è considerato un traditore, perché se n’è andato. Tu hai mai provato una sensazione simile nella tua vita?
Al suo arrivo una frangia degli isolani lo considera un mercenario e parte della squadra non è proprio entusiasta. E sarà così che tutto comincia per poi dipanarsi fino all’arrivo di uno “straniero”. Di essere considerato un traditore per aver lasciato la mia terra, no. Non mi è successo. Piuttosto mi è accaduto il contrario. Sono io a essermi sentito tradito perché la mia terra mi ha lasciato andare. Anche se poi per certi versi tutto quello che è accaduto dopo ne è valso abbondantemente la pena.
È anche un romanzo sul ritorno, no?
Per certi versi è un romanzo che cerca di trasmettere il messaggio che i ritorni non contengono mai la stessa terra, le stesse persone e le stesse anime che abbiamo lasciato. Nel bene e nel male tutto si perde come acqua salata tra le mani e si stringe come le conchiglie dalle forme strane che ci restano tra le dita e sono più preziose dei diamanti. E cerca anche di fare capire che bisogna andare oltre le apparenti ostilità per trovare una mano che ti stringe nella notte più buia. Quella dell’anima.
Chi è Amaranta?
È una delle “protagoniste in crescendo” di questo romanzo, ovvero quelle che poi daranno alla trama una connotazione determinante: le donne nella veste di figlie sorelle e compagne. Amaranta è la figlia di David Rojo. La ragione principale per cui David torna sull’isola a giocarsi un campionato che non aveva preventivato. Il resto lo si capirà leggendo.
Tu hai mai giocato a calcio, in quale ruolo?
Ho giocato a calcio per una vita e ne ho respirato la canfora di spogliatoi dismessi di categorie molto inferiori. In questo calcio fuori dai radar del talento e dei grandi palcoscenici, ho dato il meglio di me come portiere, laterale difensivo e per un breve e felice periodo, attaccante. Ma non credo che il mondo del calcio abbia ricordi nitidi di me. Ero uno che amava il lavoro oscuro. Era meglio dare la palla “a chi finalizza il gioco”, come dice una canzone.
Chi ha ispirato la figura di Sara, la giornalista televisiva compagna del protagonista?
Esattamente l’autrice della postfazione. La giornalista di Sky sport Roberta Noè. Quando scrissi il romanzo non ci conoscevamo. La vedevo in TV e ho “immaginato” come potesse esprimersi e comportarsi una donna che, come riportato tra le pagine, “parla la stessa lingua di David Rojo” e ha un modo unico di intendere la professione. Lei mi è stata di ispirazione. Quando poi l’ho contattata per dirglielo, ha voluto leggere e il romanzo le è piaciuto. E da allora le sue parole fanno parte integrante del libro. E peraltro mi piace l’idea che ci sia tra le pagine una donna nel mondo del giornalismo calcistico che ancora si declina al maschile in prevalenza.
Osvaldo Soriano, le poesie di Saba, ecc., il gioco del calcio nel tempo ha prodotto letteratura, ne hai tenuto conto per scrivere il romanzo?
Certo che sì. Aggiungerei anche Vladimir Dimitrijevic con il suo “la vita è un pallone rotondo”. Però la letteratura romanzata sul calcio non ha un filone molto omogeneo e coerente. E quindi scrivere un romanzo su una squadra di un’isola inventata è stato un impegno senza troppe luci di faro a riferimento. Ci sono racconti e romanzi sparsi ma non una direzione netta. Però, come detto, non ho scritto “di calcio”, ho scritto “tramite” il calcio.
C’è un famoso romanzo di Peter Handke che parla della paura di un portiere prima del calcio di rigore, tu l’hai rovesciato. Qui la paura è quella dell’attaccante?
La paura è dell’uomo. Alla fine non è “il calciatore” che va sul dischetto. Lì chiunque smette di essere ciò che è. Il dischetto è lo spazio che la vita ti concede tra una scelta giusta e un errore atroce. E lì se hai fantasmi in giro che non hai messo a dormire, ritornano e ti entrano dentro devastandoti. In questo romanzo l’uomo, l’essere umano è anche un attaccante.
Quanto è importante segnare un rigore al momento giusto? E se poi non lo segni?
Mi hai fatto venire in mente il rigore sbagliato di Baggio col Brasile ai mondiali del 1994. Segnare un rigore, nell’immenso romanzo casuale del mondo, cambia destini inimmaginabili e spesso, se vinci, è la firma eterna per cui sarai ricordato. Sbagliarlo è una lezione di vita che per sempre ti farà aprire gli occhi prima della sveglia. Il rigore è un po’ la metafora della vita quando ci mette davanti alle scelte. Quelle a collo di bottiglia dove o ci siamo o non ci siamo. E anche se sbagliamo dobbiamo sbagliare con ogni cellula del nostro corpo e credendo a quello che stiamo facendo. Come canta Diodato al “Divin Codino”: “lo so potrà sembrarti un’esagerazione, ma pure quel rigore, a me ha insegnato un po’ la vita”.
Il link all’intervista su Storygenius: https://bit.ly/3aG8vyv