Liliana
I
La scure
Che l’Uomo, quando varca la soglia della vita, porta con sé l’emblema, lo stigma del male, e che tutti gli uomini (chi molto, chi molto di più) nascono perfidi, è la somma verità, se esiste verità nel mondo.
Però tra tanta perversione, il primo che nacque, che non era un perverso tra tanti, non era un lupo qualsiasi nel branco, semmai era un genio, un colosso, un gigante di perfidia, concepì un pensiero genialmente malvagio.
Era una notte d’inverno. Raccolse un pezzo di silice, e durante le tre lune invernali, andò strofinandolo, appianandolo, affilandolo e pulendolo su di una pietra focaia.
Quando intorno alla sua caverna si sciolse la neve, e il canto del falcinello gli segnalò il buon tempo, la pietra, oramai piatta, tanto era liscia che riluceva, e da una delle sue estremità…
L’Uomo la guardò sorridendo, la prese nella mano destra, nella mano sinistra un mazzo di canapa sfilacciato, e partì vittorioso verso il piede della montagna in cui un frondoso rovere si alzava con maestà.
Era il rovere più forte, il patriarca dei roveri. Gli si avvicinò l’Uomo, con gli occhi perfidamente teneri (occhi di camoscio) e con voce teneramente affettuosa, e rendendogli omaggio, gli parlò così:«Salve, fratello, salve e buona salute!»
«Primavera e salute!», rispose il Rovere.
«Vengo a chiederti poca cosa, una miseria: un pezzo di ramaglia… come il mio braccio, fratello.»
«Puoi scegliere a tuo piacere», disse con bontà l’albero, «ho appena lasciato cadere ai miei piedi tutta la ramaglia secca. Intorno al mio tronco c’è legna per ogni gusto: prendila tutta.»
L’Uomo, scuotendo la testa, avanzò due passi. «Non mi hai capito. Quello di cui ho bisogno non sono rami morti, quanto, proprio al contrario, vivi e pieni di salute, con vene irroranti, floridi, e belli dritti e belli forti. Mi spiegherò meglio.»
E alzando il pezzo di silice, aggiunse: «Vedi questa pietra? A forza di lavorare, ho lavorato tutto l’inverno, gli ho dato questa forma; l’ho piallata, l’ho pulita, l’ho affinata, gli ho tolto fibrosità. Adesso, con questi lacci, voglio saldarla all’estremo di un randello. Capisci bene quello che ti dico? E scacco alla Natura, sia ingiusta sia disattenta, che mi crebbe indifeso tra tanti nemici, farò un’arma per difendermi dai cinghiali, orsi, lupi… e qualsiasi altro animale che mi mostri i denti.»
Il Rovere sorrise e oscillando, disse con accento paterno: «Che pensiero ingegnoso! Non credo che nella mia vita mi sarebbe venuto in mente, per quanti anni avessi potuto vivere. La verità è anche che se venisse in mente, non mi servirebbe a nulla essere ingegnoso e il resto come è Lei. A me nessuno vuole male.»
E scuotendo con forza il più alto e forte dei suoi bracci giganti, lasciò cadere ai piedi dell’Uomo, un ramo. Questi lo prese tra le sue mani; sistemò a un estremo il tagliente pezzo di silice; legò e incrociò; e così, in quella mattina di ridente primavera, nacque la prima ascia, come per caso.