“Leuta” su Border Liber
Leuta. Mario Falcone e l’isola dell’espiazione
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Leuta” di Mario Falcone, Arkadia, 2024
Ritornare dopo cinquant’anni nel proprio luogo di origine con l’intento di cercare la propria pace, per poi ritrovarsi nel mezzo di nuovi tormenti. La storia di Enrico è così: un andirivieni tra pentimento e voglia di vivere, tra ricerca e fuga da sé stesso; in poche parole, la sua vicenda sa tanto di scherzo del destino. Mario Falcone dà voce a un romanzo che si muove con pacatezza, quasi a voler imitare il protagonista, che vorrebbe solo vivere una vita ritirata, invece diventa l’uomo sbagliato nel momento sbagliato, o per intenderci meglio, il classico elefante che cammina in un negozio di oggetti di cristallo. Lo scenario è Leuta, isola che non c’è, luogo immaginario che la fantasia colloca tra Lampedusa e Malta, e che proprio per questo motivo racchiude, con una azzeccata allegoria, tutto il tema del romanzo. Enrico se n’è andato da giovanissimo per sfuggire alla morte dei genitori. Nel Continente diventa affermato scrittore e sceneggiatore, ma a distanza di mezzo secolo sente l’esigenza di venire a morire a “casa sua” e di chiudere i conti con la “memoria”. Fatto sta che la Necessità, nel senso greco del termine, non lascia scampo a chi è in balia delle turbolenze del cuore. Ci sono troppi momenti rimossi che chiedono improvvisamente udienza e un nuovo pericoloso amore con cui fare i conti. Leuta diventa quindi carcere e patibolo, luogo di dolore e di espiazione, palcoscenico su cui si svolge la tragedia che ha per protagonista un uomo che incarna le più romantiche contraddizioni. Infatti, Enrico appare come un tipo pacato e riflessivo, ma il suo animo è governato da un dolore che non si spegne. Rimbalza tra vita e morte, tra amore e disprezzo per tutto; cerca pace, ma è sobillato da qualcosa di atavico che fa parte di lui, forse è proprio quella forza che lo ha aiutato a rinascere e a raggiungere il successo, ma che ora lo sta divorando pian piano. Stile chiaro e lineare, parole dosate con accuratezza, descrizioni che lasciano al lettore la possibilità di entrare nei panni dei personaggi; Falcone rende tutto scorrevole e crea una sorta di vortice che risucchia ogni cosa e ciascun personaggio, persino noi. La voce solenne del narratore, che ci racconta i fatti senza fretta, crea la giusta tensione, come se volesse spingerci a riflettere, perché questa è una storia che sa essere tanto unica quanto comune. Leuta richiama in un certo modo “Il Carcere” di Pavese, il romanzo che rievoca i giorni che lo scrittore piemontese passò in esilio, a Brancaleone. La differenza sta nel fatto che è stato Enrico a scegliere la sua gabbia-sanatorio, con la speranza di chiudere con il passato. Invece, è stato proprio quel lutto non elaborato, quella fuga con il pesante bagaglio che il protagonista si è portato appresso, e che mai è stato aperto, che gli ha fatto decidere di ritornare “in patria”. Falcone scrive quindi un romanzo dai forti connotati mediterranei, in cui è onnipresente il senso del tragico.
Martino Ciano
Il link alla recensione su Border Liber: https://tinyurl.com/2s3rj976