“Lettere dall’orlo del mondo” su HuffPost
Quando il dolore di un lutto arriva potente, non puoi fingere
Occorre fermarsi e conoscere l’immobilità, imparare a muoversi dentro uno spazio piccolo di una stanza e da lì allenarsi alla miopia di tutti i giorni
«Come ci si salva dall’assalto dei ricordi?». Più volte snoccioliamo in bocca questo interrogativo. Lo stesso che J. pone ad Y. in una lettera scritta da un Mondo lontano e da un tempo indistinto. Non affannarti a rispondere: a volte non viene incontro neppure una sillaba, altre volte tocca fare come le barche in mezzo al mare. Lasciarsi andare, sperando che la paura del salto si trasformi in una mano pronta a sostenere.
Barbara Garlaschelli lo fa capire chiaramente: quando il dolore di un lutto arriva potente, non puoi fingere. Puoi dichiararti sconfitto senza avere sensi di colpa. Puoi issare tutte le vocali che hai in petto, urlarle fuori dalla finestra e attendere che ogni cosa inutile vada in frantumi. Il dolore di cui parla Barbara nelle sue “Lettere dall’orlo del Mondo” (Arkadia Editore) è uno stato d’attesa che s’incunea fra la pazienza e la tensione, fra la solitudine e la bugia salvifica. È uno scavo nella parola “padre”. Un incedere lento nella pronuncia di un nome che ha bisogno di silenzio.
J e Y. cuciono lettere d’amore, provano a prestarsi gli occhi per raccontare l’indescrivibile e impiattare solitari la mancanza e la disperazione. Al tavolo del dolore ci si accomoda sempre da soli. Si cercano J. e Y., nella loro identità inizialmente taciuta. Danzano fra le parole in assenza di giudizio, reclamano presenza fisica, ma sanno attendere il tempo della carezza che li porterà nuovamente alla riva, nella consapevolezza che «non si torna mai dal mare. Non si torna mai del tutto da nessun viaggio.
Le lettere che Barbara ci consegna sono un tentativo di fuga, in mezzo alla velocità e alle nevrotiche compensazioni che la società impone, ma sono anche esperienza di coraggio sotto un cielo che resta uguale. Ci siamo anche tutti noi, nel libro di Barbara: i volti dei passanti, gli amici, gli amanti che sopravvivono alla vita stessa, i dannati, coloro che sorridono oltre la cornice di una foto.
Leggendo “Lettere dall’orlo del Mondo” occorre fermarsi e conoscere l’immobilità, imparare a muoversi dentro uno spazio piccolo di una stanza e da lì allenarsi alla miopia di tutti i giorni.
Forse è vero, dall’assalto dei ricordi non ci salva mai, perché l’istinto ci dice che siamo animali e preferisce strangolare tutto ciò che è nocivo. Ma Barbara ci insegna qualcosa che l’uomo ha dimenticato e che in questo tempo ostile, fatto di contagi e distanziamento fisico, torna a essere manifesto dell’agire quotidiano: occorre «spostare il baricentro dall’io agli altri; al mondo», se vuoi davvero salvarti, perché l’abbraccio è «il gesto sociale più difficile da compiere».
Ho chiuso il libro e ho iniziato a scrivere ascoltando la Sinfonia n.7 di Dvořák. Presto capirete perché.
Alessandra Angelucci
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