Le donne di Balthus su Positano News, un nuovo articolo
Positano News
14 settembre 2014
Geografia delle emozioni nel romanzo di Valentina Neri “Le donne di Balthus”
Le donne di Balthus è un romanzo bello e coinvolgente di Valentina Neri. Come si anticipa nel risvolto di copertina “in un turbine di intrecci e situazioni, i protagonisti (e sono tanti) della storia si affannano alla ricerca delle risposte alle mille domande che si affollano in ognuno di loro”. Si tratta di una storia onirica e misteriosa, il cui segreto è conservato in una lettera cucita nel ventre di una bambola “Lenci” e svelato nell’ultima pagina del romanzo. Ma, al di là della trama avvincente, narrata con abile maestria e tenuta sempre sul filo della tensione emotiva dalla brava Valentina Neri, che si rivela e si lascia apprezzare come narratrice di razza, il romanzo può essere, e secondo me, dovrebbe essere letto anche come una “geografia delle emozioni”. Io l’ho letto anche così seguendo sensazioni, stati d’animo ed emozioni, appunto, dei protagonisti, seguendoli nei viaggi che si alternano, si richiamano, si intrecciano e si sovrappongono dalla Sardegna, a Roma, a Firenze, a Napoli e fino a Parigi, quasi a cercare un palcoscenico adatto per mettere in scena l’uragano delle sensazioni/emozioni, teatralizzandole. Naturalmente la regia è della scrittrice che denuda ed espone la propria interiorità servendosi dello schermo dei personaggi creati dalla sua fantasia, come capita di frequente a tutti, o quasi, i narratori. E lo si avverte fin dalla prima pagina ambientata a S’Inserru, un paesotto in fieri alle porte di Cagliari, dove una delle protagoniste, Selene, si è scoperta grande, anche da bambina, in una sorta di “lazzaretto reso ancora più inquietante dalla sua pace tediosa” e dove si svolgono i riti della Settimana Santa “dai sapori spagnoleggianti (che) scuotevano i sensi ; anche la natura partecipava all’emozione popolare svelando, per un attimo il mistero che legava la morte alla vita con i suoi cieli burrascosi che accompagnavano il canto luttuoso dei cappucci bianchi,mentre il pizzo nero unto di lacrime mariane si dissolveva sotto il sole che sempre accompagnava l’incontro celeste tra madre e figlio nelle mattine pasquali”. Lì Selene, ancora vergine implume, ha la sua prima esperienza con il giovane e colto parroco. “Don Franco avvertì la malizia setosa della sua pelle, profumata di fragola, effondersi in un calore intenso tutt’altro che immacolato”. Lì la mamma Luisa “si vide riflessa sullo specchio della pettiniera… notò la vecchiaia avanzare sulle carni flaccide dei suoi mal portati quarantatre anni, il portamento , una volta altezzoso ed austero, ora appariva curvo e avvizzito dai seni cascanti e dalle pieghe del ventre, … anche il turchese degli occhi sbiadiva tra le rughe che le increspavano il viso. La monotonia della vita di paese l’aveva ridotta così”. E qui Selene trascorse infanzia e prima adolescenza e quando “smise di desiderare per iniziare a volere allora si accommiatò dalla adolescenza, … curiosa ed affamata d’amore, tanto da cercarlo come un bimbo cerca il latte…”. Apparì, ed era, ad Alvaro, il suo primo uomo, “non dozzinale… con il vestitino corto rosa fucsia modello sottoveste, bordato con inserti di pizzo nero, che con le scarpette di vernice dal lungo tacco flessuoso, ce n’era per saltarle addosso… anche senza sbirciare tra i seni arroganti…”; un esempio inequivocabile di come le situazioni dell’ambiente esterno influenzino emotivamente gli stati d’animo somatizzandoli. Cosa che viene esaltata anche a Roma, dove Selene, ammirando le anse del Tevere, riflette e sottolinea che vi “si specchiavano in moti circolari di Castel Sant’Angelo accompagnare i capricci del tempo che ombreggiavano Roma, il luogo ideale per appagare la sua fame d’arte…. Amava leggere all’ombra della quercia del Tasso in quell’angolo di mondo che… divino doveva esserlo per forza e si innamorò pure del linguaggio romanesco tronco ed insolente che suonava tra i versi di Trilussa insinuando dettagli di sapienza…”. E’ finanche ovvio sottolineare che l’autrice trasferisce nei personaggi del romanzo i suoi stati d’animo e pillole di critica letteraria e di conoscenza profonda di Storia dell’arte che fanno parte del suo bagaglio culturale, come da curriculum, e sono entrate di diritto nel DNA della sua formazione che espone con naturale e coinvolgente disinvoltura. E sono epifania del suo stato d’animo le grandi emozioni che colora di riflessioni su arte e poesia nei suoi rapporti d’amore carnale con Elio a Roma “…e loro avevano vissuto stretti in una complicità collosa alla ricerca continua del reciproco fisico e mentale. Aveva amato Elio con tutti sensi: il corpo, la voce, l’immagine, l’animo pulito, selvaggio e guerriero. Lo aveva amato come si ama l’arte, la poesia, la natura; lo aveva amato come si ama lo spettacolo del mare infuriato o la pace delle montagne velate dal cielo….”. E nel primo incontro con Ludovica, che scoprirà essere la sua mamma adottiva, legge e trasferisce nell’aspetto fisico della donna quelli che palesemente sono i suoi tormentati stati d’animo e le sue reazioni/passioni interiori. ”Fu subito affascinata da quella donna, dalla sua bellezza primitiva… tra soprusi di rughe precoci un volto che doveva essere stato sinonimo di erotismo. Bella come la furia di una tempesta sublimava il dolore cercandolo come una ossessione “. Stessa sensazione a Firenze, di cui in poche battute esternizza e materializza l’ammirazione per le grandi opere d’arte. Non aveva tempo per le distrazioni culturali. Ma poi cede alla tentazione e mescola ammirazione per l’arte a ricordi di vita vissuta. “Ma le armonie geometriche concepite dall’Alberti, di cui tanto le aveva parlato don Franco, la perfezione volumetrica delle volute, la sottile levità dei goticismi mediati dal più alto e raffinato Rinascimento, vinsero ogni resistenza; ed eccola lì …quella tela perfetta da un punto di vista prospettico tanto da poterci entrare dentro, che violentava gli occhi per la forza di quelle tinte impetuose come lame. E tutta l’umanità dei volti mistici cruenti sapevano sciogliere i suoi ostili riserbi all’idea di un Dio più che mai vivo…”. Lo stesso capita alla giovanissima Ester nel primo impatto con Cagliari, “fondata dai Fenici sul calcare lattescente che arginava, costeggiandolo, lo scintillio sensuale del mare perfetto … pronto a strusciarsi provocante sul candore della rena alabastrina..”. E ancora a Firenze dove Selene affonda e si sazia nella bulimia della carnalità e dell’arte “una immersione totale, libidinosa nell’arte… sugli sguardi di ogni scultura, dal David di Michelangelo che schiacciava la sua potenza a quello più femmineo e ammiccante di Donatello: Firenze era un perenne arcano, una matrioska di misteri, uno scrigno di messaggi indecifrabili dove le sue perversioni fisiche e mentali trovavano libero sfogo creativo”. E Le riflessioni sulla pittura di Balthus, sulla cui arte alita una immortalità catturata e le fa sottolineare che “… la bellezza dell’adolescenza incarna l’avvenire, l’essere prima che si trasformi nella bellezza perfetta. Una donna ha già trovato il suo posto nel mondo, un’adolescente no. Il corpo di una donna è già compiuto; Il mistero è scomparso…”. E qua e là a Firenze, come a Roma, a Cagliari, come a Napoli o a Parigi erompono schegge di riflessioni, che hanno la certezza, ma anche la bellezza, dell’apodittico del tipo: ”i seni svergognati che parevano sgusciare fuori dal vestito”, “l’anima di Leonardo che osservava attraverso l’affresco sfatto”; a Napoli “lui non le diede la possibilità di pensar e … in un attimo si impossessò della sua bocca e udirono il mare, gli scugnizzi e i mandolini di Zi Teresa”. E potrei continuare ancora e ne verrebbe fuori un trattato sulle emozioni di e da viaggio. E non è il caso. Ma mi piace chiudere come ho cominciato con un flash sulla Sardegna, con Ester che vi ritorna sola in aereo nella casa dei segreti e dei misteri dove nacque. ”Il mare sotto di lei era sempre più sardo”. Sta per atterrare e Cagliari è lì di sotto ”… nel sommo di una roccia calcarea,incastonata nel cuore boscoso dei tacchi d’Ogliastra, là dove avevano vissuto i giganti e le Janas, sotto un cielo che sapeva di miracolo, immersa in una natura ancora intatta, con l’illusione del Paradiso in terra, lontana dalla prepotenza della tecnologia, avrebbe potuto scoprire se stessa e aprire i portali d’altri mondi dove i sospiri dei volti a lei cari avrebbero popolato i suoi sogni.”
(Giuseppe Liuccio)