Le donne di Balthus su “Positano News”
Positano News
agosto 2014
«Cara Selene, non so se leggerai mai queste parole, le affido alla bambola appartenuta a mia sorella Francesca che tanto le era stata cara durante la guerra e che ti regalò appena adottata. Oggi mi sento in colpa, mi spiace per i tuoi capelli ma non sono capace di chiederti scusa. Non sono capace di abbracciarti. Non ce la faccio ad essere meglio di ciò che sono. Spero che Francesca dovunque sia mi perdoni ed anche tu. Tua “madre” Luisa-S’inserru 1980.»
Questa è la parte finale di una lunga lettera inviata alla protagonista principale di un romanzo tanto bello quanto inquietante, che si snoda e si complica insieme in un turbine di intrecci e situazioni. L’autrice, Valentina NERI si rivela, sin da subito, narratrice di razza e cattura fin dalla prime pagine l’attenzione del lettore, e si fa sempre più attenta e partecipata man mano che si avventura alle storie dei vari protagonisti e si affannerà insieme a loro alla ricerca delle risposte delle mille domande che si affollano, si intersecano e si sovrappongo in ognuno di loro e figliano come matriosche storie da storia e romanzi da romanzo. Il titolo è LE DONNE DI BALTHUS, (Arcadia Edizioni), la cui personalità emerge dall’analisi introspettiva dei personaggi, che hanno tutti a che fare con questo straordinario pittore francese di origine polacca, che recitò un ruolo non indifferente nel panorama artistico europeo del secolo scorso. Ne è stata segnata di sicuro l’autrice che è laureata in Storia dell’Arte e che è fondatrice dell’Associazione “Mescolarte” e ne cura gli eventi riscuotendo notevoli e meritati consensi per la originalità delle tematiche. Nel libro Balthus è presente come filo conduttore delle vicende narrate che riportano quasi sempre in modo diretto o semplicemente accennato e sotteso alla “casa color glicine”, dove è conservato un quadro che trasmette emozioni tanto forti quanto inquietanti nel susseguirsi delle vicende dei protagonisti che spesso le rivivono in un’atmosfera rarefatta ed onirica, ma che, nello stesso tempo, ne scarnifica e ferisce nel profondo la psiche. Ha per titolo “La chambre” e nella narrazione volutamente misteriosa su origine ed autenticità dell’opera calamita ed avvince il lettore anche uno “scafato” come me e non nuovo a vicende letterarie impegnative. Acquistano importanza anche i particolari apparentemente insignificanti, a partire dal gatto Balthassar, che a romanzo ultimato si rivelerà utilissimo anche nel nome che è poi quello di nascita dei pittore. Sdraiata sulla poltrona verde Selene nuda, la finestra spalancata al sole, il viso rivolto verso quel maledetto quadro era l’ultima cosa che aveva visto, anzi guardato ed interiorizzato, per l’ultima volta, appunto, in una sorta di recupero di vita alla moviola dei ricordi prima di farla finita con una overdose di pillole a viaggio onirico perpetuo verso l’aldilà. E’ una delle tre “donne di Balthus,” che con la madre Ludovica e la figlia Ester movimentano la narrazione del romanzo e le danno cuore ed anima. Ha una sua sensualità, che esplode di travolgente carnalità da quando don Franco la deflorò in un rapporto affrettato nell’umbratilità della sacrestia parrocchiale di S’Inserrù e la marchiò di sporco di peccato nella miscela profumata di incenso e cera che le accenderà più volte nella vita voglia di trasgressione nei rapporti spesso desiderati, voluti, ricercati e vissuti tra peccaminosità impudicamente ostentata. E la carnalità è una costante delle tre donne, della mamma Ludovica, che vive amore/carnalità nella mediterraneità accecante di solarità di Marechiaro, a Napoli, dove “pure li pisci ‘nce fanno l’amore” e dove si respira concentrazione di sensualità inesplosa in gara con la sirena Partenope e le prosperose popolane napoletane che per bisogno e desiderio/voglia di peccato furono le voraci “seniorite” della “carne” di Malaparte e scatenarono “tammurriate” di sesso a marocchini, libici ed algerini in una guerra senza fine con la profanazione assatanata di chiese e conventi e lamenti di poeti in “Munastero ‘e santa Chiara”. Ma c’è carnalità in fieri con malcelati cenni di esplosione nella sensualità/sessualità nel biscotto ambrato della pelle invitante della giovanissima Ester e nell’arrogante bellezza dei seni, “scogli aguzzi”, invitanti nella voglia esplosiva della e dalla camicetta candida. C’è volgare carnalità nell’incesto consumato di un padre senza scrupoli e amorale. Si respira nell’aria e si tocca con mano nello sguardo torbido e voglioso della “nana”, come nei seni di Teresa detta la Farfalla, che a soli otto anni provava già impulsi incontrollabili, quando le sue mani scendevano leste verso il basso, a toccare quelle parti che solitamente nessuno doveva vedere. Lei si era “educata” al peccato spiando dal buco della serratura “il signore che si era spogliato mentre lei (la sorella Lilith più grandicella) era già nuda con le gambe aperte. Lui aveva cominciato a leccarla tutta e anche lei faceva lo stesso, poi si era infilato tra le sue gambe. Sembrava bello. Lilith emetteva sospiri di piacere.” E’ sconcertante nel crudo realismo la narrazione dei particolari dell’incesto. Ma ci sono anche altre belle descrizioni di amore/sesso incastonate nella bellezza carnale del paesaggio. E riandiamo ancora una volta a Napoli e sempre a Marechiaro “Era difficile non innamorarsi in quel luogo dove il mare occhieggiava ai singulti del sole di giorno, suscitando la notte livori lunari che violavano il cielo; e comunque fosse, col sole e con la luna, sotto la potenza di un sole provocante il tremore dei ruderi o sotto la pioggia decisa a incunearsi nella roccia, si poteva avvertire l’arroganza di una bellezza irriverente che giocava a eccitare le carni”.
A pensarci bene si potrebbe ipotizzare una sorta di “viaggio di emozioni”, emozioni d’amore, naturalmente. E, a tal proposito seguiamo Ludovica a Firenze: “Congedò il suo taxi in prossimità di Ponte Vecchio prima di gelare il suo sguardo sull’acqua che riverberava gli antichi palazzi umidi di storia”…guardandosi intorno vide che non c’era nulla di stonato in quella città che si poteva udire: era un’armonia di forme simili a note e di colori pensati per concatenarsi come canoni in fuga. Quegli incastri di tegone rosse su affinità di volumi, i goticismi giotteschi che solleticavano il cielo, le geometrie ridondanti del Battistero di San Giovanni, e gli azzardi bicromi che ammantavano le chiese cittadine. Osman attraversò la piazza del Duomo godendosi tutto il mistero di quegli edifici dove genio e potere si erano congiunti per ottenere il massimo della bellezza.” Al di là delle straordinarie notazioni di storia dell’arte, tutto lascia immaginare che si tratta anche di un preludio di un amore ritrovato nei grovigli dei corpi nel ritmo della musica dei sensi- E pagine analoghe, di grande coinvolgimento emotivo si trovano nei viaggi a Roma, a Parigi, a Cagliari a S’inserru. Ritornerò sul tema, perché mi appassiona e riscriverò la recensione, un’altra, sull’onda di un viaggio di emozioni, un viaggio insolito alla scoperta di amore nella prismaticità delle sue manifestazioni. Valentina Neri, a cui va tutta la mia stima, lo merita tutto, perchè questo romanzo la qualifica e la esalta come una narratrice di razza. Io non la conoscevo, ma sono felice della scoperta che intendo approfondire con ulteriori letture, sia in prosa che in poesia. La suggerisco, ovviamente, a tutti i miei lettori. Non se ne pentiranno.
(Giuseppe Liuccio)