Lava
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La lettera arrivò inattesa, accolta con una punta di preoccupazione. Di sicuro guai o scocciature. Poi, chi scriveva più lettere? Nella cassetta c’erano solo e sempre bollette, estratti conto della banca che non apriva mai, volantini pubblicitari dai colori chiassosi. Il commissario Aurelio Di Giannantonio buttava sempre tutto, o quasi.
La primavera prometteva bene a Venezia, e quando giunse al terzo piano dell’edificio del Campiello dei Miracoli era tutto sudato, con la camicia bianca appiccicata alla schiena sotto l’abito di velluto, sul quale aveva indossato un piumino scelto troppo in fretta, tratto in inganno dall’aria ancora pungente e umida del mattino lagunare. La giornata si sarebbe ingentilita col passare delle ore, portando un’aria dolce di scirocco tra le chiacchiere rumorose dei turisti.
La busta era di una carta insolita, spessa e dall’aria antica, ruvida al tatto. Qualcuno, con scrittura curata – la D gli ricordava una miniatura medievale –, aveva tracciato il suo nome, facendolo precedere sia da “Commissario” che da
“Dottor”. Stava per aprirla quando sentì una chiave girare nella serratura della porta d’ingresso.
Maria Quaranta entrò carica di buste della spesa, facendo cadere le chiavi.