“La vita schifa” su Cronache di Caserta
Le riflessioni post mortem di un killer della mafia
Io credo solo nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo per me è il senso dello scrivere”. Credo che questo pensiero di Ennio Flaiano sia stato sposato in pieno da Rosario Palazzolo nel suo ultimo libro La Vita Schifa edito da Arkadia. Il suo stile a volte quasi privo di punteggiatura, come un flusso di coscienza, travolge il lettore. Lo sorprende, non lo molla, fino alla fine e ti diverte anche con quelle inflessioni dialettali siciliane. L’incipit è già un primo dono: “Quando sono morto io si fece festa, una festa stramba e inutile ridicola come le cose ridicole, una festa che ognuno se ne stava a casa sua a gioire in silenzio…”. Ernesto racconta la sua vita, la racconta da morto, un anno dopo. È un killer scelto dalla mafia, prima da ragazzo e poi da uomo, per andare a risolvere questioni fuori dalla Sicilia. Ma è morto davvero Ernesto? Non importa per il lettore. Con la sua lingua viva e mischiata dice quello che l’autore gli pone nei pensieri. Ernesto così ci racconta la sua storia. da morto è come una radio. La radio fa un ronzio di vita e di morte: “… e io pure avevo provato una gioia incapita e una paura così, come se tutta la smania che sentivo, tutto quel bisogno attaccato, quella gobba improvvisa, mi avrebbero potuto soltanto morire, come del resto è successo”. Un libro sulla colpa e sull’impossibilità di redimersi, ricordando nei temi il capolavoro di Dostoevskij: Delitto e Castigo. “L’ammazzatore” riflette sulla colpa e la redenzione. Propone un antidoto alla colpa, la sottopone a molte attenuanti e giustificazioni, la uccide e la seppellisce. Deve essere esposta, invece la colpa, su un piedistallo perché non la si dimentichi se ci ricapita di vivere ancora. Il siciliano e l’italiano sono fusi e nasce una terza lingua. Lo stile datoci da Rosario Palazzolo, con il suo amaro sarcasmo, lo rende unico e conia nuove parole. Vocaboli che s’incrostano di realtà, rompono le righe e si liberano disordinatamente nelle piazze e nelle vie tra la gente. Si allentano la cintura e cravatta e mostrano la lingua e si sporcano le mani. Con le mani sporche e insozzate le parole di Palazzolo ci fanno riflettere sulla morte e sulla vita, nostra e altrui.
Maria Laura Labriola