“La scrittrice obesa” su La poesia e lo spirito
“La scrittrice obesa”, di Marisa Salabelle
Marisa Salabelle, La scrittrice obesa, Arkadia Editore, 2002
Di Marisa Salabelle ho letto diversi romanzi, e ne ho sempre apprezzato l’ironia e la leggerezza perfino nel parlare di vicende fosche. Così, in particolare, è stato nel penultimo libro, Il ferro da calza, edito da Tarka l’anno scorso, ma anche nel precedente giallo di ambientazione appenninica L’ultimo dei santi, dello stesso editore. Per Arkadia, invece, aveva già pubblicato un romanzo dai tratti molto più seri, gravidi di storia (della Resistenza) e di drammi familiari, Gli ingranaggi dei ricordi. Ora per la casa editrice sarda esce un nuovo romanzo, La scrittrice obesa, che sembra unire queste due “vene” dell’autrice. Sì, perché in apparenza si tratta di un romanzo dai tempi e dalle situazioni “comici”, ma in realtà la storia e il personaggio che racconta sono decisamente tragici. La protagonista, Susanna, è una donna obesa, vittima della solitudine e della tristezza, oltre che, probabilmente, di un caratteraccio in gran parte indipendente dalla sua condizione fisica. Tratta male mamma (finché ce l’ha), vicini e conoscenti, e anche la sua migliore amica, Lorella, quando le prendono i proverbiali cinque minuti. Il suo tormento segreto – ma nemmeno che più di tanto – è il tentativo, continuamente frustrato dalle circostanze, di essere riconosciuta come scrittrice a livello editoriale. Vince concorsi di poco conto, ma non riesce mai a pubblicare, nonostante abbia un grandissimo (e reale) talento, per lo più misconosciuto dai suoi contatti personali e decisamente ignorato dalle case editrici, che subissa di proposte e messaggi pieni di rimostranze. Nella narrazione di questa vicenda Marisa Salabelle ha saputo incastonare alla perfezione i momenti più spassosi (tipo i coloriti insulti che Susanna rivolge ai malcapitati che le capitano a tiro quando è nelle fasi negative) nella cornice del dramma umano della protagonista, che non è tanto quello dell’artista incompresa, quanto quello della persona rancorosa e totalmente isolata dal mondo, che a causa di questo scompenso emozionale non riesce a trarre il meglio – se non sulle pagine che nessuno vuole leggere – né dalla solitudine né dalla compagnia dei pochi che la sopportano. “Se non sulle pagine”, appunto: perché lì, invece, riversa con grande efficacia tutte le sue visioni. Susanna attinge dalle persone che incrocia e poi idealizza, collega e deforma, ingigantendone i tratti mentre ne immagina vite e rapporti. Per lei la scrittura è il surrogato di una vita affettiva pressoché assente e di un’autostima totalmente prostrata. In definitiva, i suoi scritti – nei quali rientrano anche le numerose lettere, sempre più deliranti, che invia a personaggi famosi del mondo della cultura (arrivando perfino al mio “nume” J.R.R. Tolkien, pur essendo consapevole del fatto che è morto e senza risparmiargli aspre critiche) – sono un modo per gridare una richiesta di aiuto che, inutile dirlo, non le giungerà se non da pochissime persone vicine e prive di qualsiasi influenza in campo letterario, come Lorella e una suora che opera nei dintorni di casa sua. Susanna, intanto, mescola sempre più realtà e immaginazione, e spesso confonde le persone che le capita di incontrare con i personaggi dei suoi romanzi e racconti; quindi riversa le proprie rabbie su internet, facendosi la fama di una pericolosa “troll” della Rete. E tutte queste negatività le accumula, e sempre più, sotto forma di cibo-spazzatura e chili. Insomma, nel romanzo di Marisa Salabelle convergono tutti i peggiori “mostri” del nostro tempo: la solitudine di una società arida e indifferente, la dispersione delle monadi che si affannano sui social media e sui forum online per essere considerate e sentirsi meno sole e più appagate nel loro ego, il cinismo di gran parte del mondo culturale, retto da lobby di vario tipo e attento quasi soltanto al profilo dell’investimento redditizio (non sto a dirvi il finale del libro, in questo senso), l’alimentazione di pessima qualità, cestino (e fonte) di rifiuti di un’esistenza densa d’insoddisfazione. Il grande merito dell’autrice è di averci fatto “ingollare” – è proprio il caso di dirlo, visto l’argomento – tutta questa oscurità con spirito lieve (per quanto capace di spingersi, a tratti, in territori fortemente viscerali), riuscendo così a guardare oltre, come in fondo fanno le uniche due amiche di Susanna, per dare un senso anche a una vita come la sua, che pensava di non averne alcuno.
Giovanni Agnoloni
Il link alla recensione su La poesia e lo spirito: https://bit.ly/3ZxrWOS