“La Sardegna nuragica” su Sardinia Post

da: Sardinia Post
Sardinia Post
7 marzo 2016

La vita ai tempi dei nuraghi: nel libro di Mulas nozioni archeologiche alla portata di tutti

Un centinaio di pagine per raccogliere circa 1400 anni di Storia. A qualcuno potrebbe sembrare una follia, ancor di più se ci si sofferma sul tema, la Sardegna nuragica, ma in realtà è proprio questo spirito di sfida ad essere la carta vincente. In mezzo a tante pubblicazioni sull’argomento, questo saggio colma finalmente un vuoto di non poco conto: la necessità di avere un testo che sia da un lato rigorosamente scientifico e dall’altro di facile lettura per chiunque voglia avere una visione esaustiva del mondo dei nuraghi, senza dover per forza inerpicarsi sui manuali universitari. Una necessità di informazione immediata che, d’altronde, è nelle corde dell’autrice, Francesca Mulas. Archeologa, con in tasca una laurea in Lettere classiche, una specializzazione in archeologia preistorica e un diploma di archivista, lavora, infatti, come giornalista nel campo della comunicazione sui Beni Culturali. Come dice il titolo, “La Sardegna nuragica. Storia, religione e vita quotidiana”, il filo rosso seguito è quello di raccontare questo lungo periodo della protostoria sarda attraverso le testimonianza materiali dateci grazie all’archeologia, le uniche capaci, in mancanza di una scrittura, di dare dati attendibili sull’esistenza dei sardi di quel periodo. È la vita di tutti i giorni ad essere al centro delle pagine in cui emergono con forza uomini e donne, le loro credenze, il loro mondo. Partendo dall’elemento simbolo del nuraghe, raccontato attraverso la sua evoluzione e le tantissime tipologie ancora riscontrabili. Dai protonuraghi “a corridoio” ai monotorre, per poi arrivare via via a sistemi più complessi e articolati di cui rimangono esempi lampanti come Su Nuraxi di Barumini, oggi patrimonio Unesco, scoperto dal padre dell’archeologia preistorica sarda, Giovanni Lilliu, o quello di Santu Antine a Torralba, uno dei meglio conservati, sino all’Albucciu di Orroli e Genna Corte di Laconi che hanno rispettivamente cinque e sei torri. La narrazione continua poi attraverso la religiosità e il mondo dei morti, tra i luoghi del sacro e quelli funerari: templi delle acque, pozzi sacri, santuari federali e tombe dei giganti. Poi l’arte con i bronzetti e la statuaria in pietra, la ceramica, i metalli, la società Spazio anche ai rapporti con il mondo esterno e l’arrivo di genti d’oltremare. Perché la Sardegna fu terra di approdi e partenze, luogo di transito aperto all’altro e proprio da quelle acque trovò stimoli diversi e nuovi allo stesso tempo. Ormai è, infatti, assodato che l’isola fu contenitore di esperienze plurime né più, né meno di altri luoghi del Mediterraneo. L’arco temporale corre attraverso i millenni: dall’eredità delle culture del Bronzo antico alla conquista romana. Dal 1600 sino al 238 a. C. sono secoli in cui questa civiltà unica si evolve e muta pelle, lasciandoci però ancora oggi una eredità “pesante”, con cui fare ancora i conti. L’attenzione sul passato più remoto della nostra isola è diventato, infatti, negli ultimi anni materia di dibattiti spesso feroci che ormai hanno travalicato il mondo accademico, mescolando istanze identitarie e presunti sensi di inferiorità rispetto alle altre coeve entità storiche del passato; da qui la necessità di un rilancio a tutti i costi. Ne è nata così una sterminata bibliografia basata più sul sensazionalismo e su spericolate teorie in cui si dipinge un quadro a tinte favolistiche dei sardi. La (ri)scoperta dei Giganti di Monte Prama e i nuovi scavi nella piana di Cabras hanno poi aumentato questo interesse. Ne “La Sardegna nuragica” un paio di pagine sono dedicate proprio a questi argomenti, che vengono sezionati e discussi criticamente attraverso l’occhio preciso del vero archeologo. Perché per narrare il passato e i punti più oscuri non è necessario avventurarsi in territori che sono più vicini al romanzo e alla fantasia, ma bisogna sfogliare quel libro aperto composto da strati che è la nostra terra e far parlare in maniera chiara gli oggetti che vi si trovano. Come fa Francesca Mulas e questo libro.

(Francesco Bellu)


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