La sapienza dei maestri d’ascia
La Nuova Sardegna
28.05.2010
Il legno è stato il primo materiale usato per costruire ripari, quando gli uomini si decisero, dopo migliaia di anni, ad abbandonare le grotte e i ripari sotto roccia. Materiale duttile, facilmente lavorabile, isolante termico eccezionale, il legno è diventato elemento insostituibile nella costruzione di case e suppellettili. Tavoli, sedie, letti, porte, finestre, taglieri, mestoli e un tempo anche piatti, scodelle e bicchieri, cassepanche indistruttibili. La lunga storia del legno in Sardegna è raccontata nel settimo volume della collana «Antichi mestieri e saperi di Sardegna», da domani in vendita nelle edicole insieme alla «Nuova». E’ intitolato «Dai falegnami ai maestri d’ascia». Accenno alla larga differenziazione che ci fu, tra tutti quelli che avevano a che fare con il legno, fra categorie anche diversissime di lavoratori: dal pastore che sulle vette del Gennargentu si fa la sua pinnetta con il tetto di resistentissimo ginepro alle cassepanche in cui ogni sposa sarda, per secoli, ha conservato il suo corredo, alle statue che adornano tutte le chiese isolane e, in alcune di loro, ai magnifici retabli che illuminano gli altari, ai «pupazzi» di Tonino Anfossi ed Eugenio Tavolara che ebbero uno straordinario successo verso gli anni Venti del Novecento. E, ancora, alle barche dei piccoli cantieri sulle coste e a «sas chèas», le carbonaie con cui, a partire da metà Ottocento, furono trasformate in carbone ettari di foreste. I lavoratori del legno erano tanti che fin dal Tre-Quattrocento si organizzarono in potenti associazioni come i Gremi. Fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando una legge abolì tutte le associazioni di mestiere, il processo di lavorazione del legno era controllato dalla corporazione dei falegnami. Vi erano scultori, intagliatori, carpentieri, fabbricanti di casse di bauli, fabbricanti di strumenti musicali e intarsiatori: tutti eredi, ognuno nella sua categoria, di quegli artigiani che nella Sardegna del Cinquecento e del Seicento venivano chiamati, in base alla specializzazione di ciascuno, «arcari, caxers, fabri lignari, fusters». E’ difficile fare un inventario di tutto quello che nella vita quotidiana e anche nel lavoro dobbiamo al legno. Pensiamo ai mobili, fra i quali divenne elemento essenziale dell’arredamemto la cassapanca nelle sue diverse varietà subregionali – nessuno avrebbe confuso, in passato, la cassapanca («cascia longa» o «bancale») barbaricina con le cassepanche di Santulussurgiu. Pensiamo all’importanza fondamentale dei «maistus de carru», i costruttori dei grandi carri a ruota piena che hanno trasportato per secoli, con il rimbombo delle loro ruote piene, tutto il trasportabile delle produzioni isolane. Pensiamo alle barche, soprattutto quelle costruite per navigare e pescare nelle acque interne: dai caratteristici «fassonis», per cui si è trovata somiglianza solo con certe barchette che attraversano il lago Titicaca sulle Ande, e i «cius» con cui sbarcano la vita i pescatori di Santa Gilla. E, facendo un grosso salto, pensiamo ai cento giocattoli inventati per i bambini, dai bambolotti di legno alle trottole. L’inventario non finirebbe mai. Così come del resto conferma anche una sola occhiata veloce a questo volume, ricco – anzi ricchissimo – come gli altri di una serie di bellissime illustrazioni a colori, nelle quali si vede come il mondo della tradizione, quello – per dirla con il titolo della collana – degli antichi mestieri e degli straordinari saperi dei padri, ha resistito al tempo ed ha ancora molte cose da dirci. Il ginepro («ghinnìperu» o «zinnìperi»), il leccio («ìlixi» o «élighe»), la quercia da sughero (in gallurese «lu sùaru») sono le tre piante-chiave di tanta produzione isolana (aggiungendovi, magari, almeno il castagno, padre di tutte le cassepanche). Il sughero, soprattutto: per secoli la Sardegna è stata la seconda isola sugheriera del Mediterraneo, e ancora oggi l’industria del sughero, rinnovata con i ritrovati della tecnologia più moderna, affronta le sue crisi ricorrenti. Un’ultima parola per l’uso del legno nella più antica statuaria religiosa isolana: dai grandi crocifissi ai gruppi lignei detti «Compianto sul Cristo morto», il più antico dei quali sarebbe quello conservato nella chiesa cagliaritana di San Giacomo e che si fa risalire alla metà del Quattrocento, sino ai magnifici «retabli», splendenti di colori e d’oro, autentici capolavori di pittura sorretta dalle ardite costruzioni dei «maestri d’ascia». Basta guardarsi intorno, e si vede quale straordinaria eredità ci è stata lasciata. – Manlio Brigaglia