La porta dipinta
PROLOGO
Il modulo di comando Apollo 11 si avvicina alla Luna nel silenzio spettrale dell’Universo. Neil Armstrong e Buzz Aldrin guardano dall’oblò il cielo che non c’è. Cominciano a prepararsi. Quando la navicella spaziale raggiunge il punto stabilito, s’infilano nel Lem che poco dopo si stacca e s’avvia verso la terra desolata. Il terzo astronauta, Michael Collins, resta in orbita a pilotare la navicella madre che riporterà l’equipaggio sulla Terra.
A mano a mano che si avvicinano, la Luna assomiglia sempre più a una polverosa plaga terrestre. Arrivare fin lassù per così poco? Sarà questo il malo pensiero che viaggerà per continenti a missione compiuta. Tanto valeva prendere la scorciatoia per il deserto del Mojave, appena 3.700 chilometri dalla base di partenza.
È il comandante Armstrong a scendere per primo i nove gradini del modulo lunare. Toccherà il suolo con il piede sinistro. Non deve essere superstizioso, altrimenti lascerebbe al destro la gloria della storica impronta. Ma l’ingegnere Neil è un uomo pratico. Secondo Oriana Fallaci, è uno che se vede un albero di Natale pensa alle batterie che lo illuminano. Dello stesso stampo i compagni d’avventura.
Al pari di Cristoforo Colombo, che cinque secoli prima contrassegnò con la bandiera di Spagna il futuro suolo americano, pianterà la bandiera a stelle e strisce su un pezzo di deserto, come se sul pianeta dell’Onnipotente non ne esistessero di uguali o più importanti. Eppure, in quell’azzardo c’è qualcosa di mistico, come se gli astronauti fossero profeti venuti ad annunciare alla Luna, glaciale e smarrita, un dio sussidiario ma nello stesso tempo a contaminarla, derubarne la poesia, lo splendore della solitudine.
Venti luglio 1969. Girano i mondi senza fine, si espande il fiato dello spazio, svettano le piramidi e i codici di Napoleone, brillano gli oceani e la poesia di Baudelaire, ma l’umanità aspetta che la porta celeste si apra sul mistero più vicino.
Otto anni più tardi, Bill Kaysing, uno che ha lavorato in un’azienda produttrice di motori a razzo, sosterrà la teoria del complotto lunare. Secondo Kaysing, che vanta una laurea in Lingua e Letteratura inglese, l’allunaggio è stato realizzato dalla nasa nella base aerea di San Bernardino in California. Tutto un imbroglio, insomma. Più in là negli anni, i difensori dell’impresa americana troveranno la risposta risolutiva: fosse stato un film, anziché tre sconosciuti come minimo avrebbero scelto John Wayne.
Quel giorno gli americani hanno gli occhi puntati verso la cupola dell’Universo e immaginano che il Lem sia come la Mayflower dei padri pellegrini che approda in un nuovo mondo, facendosi esempio di conquista e non pensare a niente che non sia umanamente e tecnicamente possibile. Anche i Pink Floyd puntano la Luna e ne immaginano la parte nascosta, il lato oscuro dell’animo umano. Anni dopo diverranno leggenda con Dark Side of the Moon.
Paolo VI, per dovere d’ufficio e legittima curiosità, segue lo sbarco attraverso uno speciale televisore a colori. In Italia c’è ancora il bianco e nero. I sovietici inghiottono amaro, ma la “Pravda” rende onore al capitano Armstrong definendolo «lo zar delle astronavi».
Gli avventurosi rientreranno con venti chili di sassi che saranno studiati allo sfinimento e poi dimenticati in un magazzino, così gli altri che verranno dalle successive missioni che saranno giudicate anch’esse un’invenzione. In tutto, trecentottantadue chilogrammi portati sulla Terra come carbone a Newcastle.
Con i sassi anche la missione è abbandonata. Troppo costoso colonizzare il satellite, distruggere il cuore dei pleniluni sulle spiagge dorate del Pianeta, troppo complicato alterare la logica dell’infinito o tentare di capirla. Seppure Oriana Fallaci, poeticamente, avesse scritto che l’uomo deve andare nello spazio perché il Sole potrebbe morire. In ipotesi, tra cinque miliardi di anni.
Meglio lasciare Caino in ostaggio alla Luna, le sue spine, riscoprire sulla Terra il senso della vita. Comunque, il confronto con l’Unione Sovietica è vinto. L’Apollo entra nella storia e nella sua retorica, accanto al Colosso di Rodi, al Mausoleo di Alicarnasso e ad altre perdute meraviglie del Mondo Antico.