La mentalità della sardina
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Le palle di Nettuno
Oggi se n’è scappata al mare, per ricordarsi chi è davvero. Con la scusa della spesa grande alla Conad, ha preso la Panda bianca, ha imboccato la via Italica brulicante di negozi, bar e attività, che da Camaiore porta a Lido di Camaiore, ha parcheggiato davanti al Caffè Sirena con le sue poltroncine di paglia bianca e, attraversata la passeggiata, è sbucata in spiaggia.
Forse perché entrambe sono fluide, capaci di adattarsi ai capricci degli altri e del vento, nella sabbia Angela ritrova sempre se stessa. Si toglie calze e scarpe anche se è febbraio e fa freddo, anche se sopra indossa il piumino. Non lo sa nemmeno lei il motivo, ma è fin da quando era bambina che le piace sentire la pianta del piede che si allarga per farsi accogliere, i granelli fini e dorati che si insinuano nello spazio tra le dita, d’estate il bollore che la costringe a saltellare, se ha appena piovuto l’umido un po’ sgradevole della crosta bagnata, se è già buio la sensazione di fresco e proibito, come quando da ragazza andava a baciarsi con Severino tra le cabine di nascosto dal resto del mondo.
In fondo allo stabilimento balneare smantellato e deserto l’aspettano il mare invernale, acqua torbida e un groviglio di palle di Nettuno, plastica e altri detriti di varia natura, che formano un brutto pizzo decorativo là dove muoiono le onde più lunghe.
L’acqua è plumbea come il cielo ma prima che lei uscisse Severino, consultati i suoi oracoli, ha decretato che non è prevista pioggia, se non con il venti per cento di probabilità dopo le sei, e anche in questo caso non più di un paio di millimetri. Visto che le previsioni meteo del suo consorte pelato e panciuto la investono imperiose ogni volta che Angela infila le scarpe, fosse anche solo per andare a buttare la pattumiera, perché non approfittare dell’informazione per spingersi fino al pontile? Con le scarpe in mano, la borsetta con i soldi, il telefono e le chiavi di casa a tracolla e il bavero della giacca alzato contro il vento salato, Angela prova a immaginare come sarebbe prendere la direzione sud e non fermarsi più. Continuare a camminare sul bagnasciuga fino a congelarsi i piedi, infilare calze e scarpe per entrare in un paese vicino, finora attraversato sempre e solo di fretta con la Panda, mangiare in trattoria da sola con ancora nei vestiti l’odore dello iodio, dormire al calduccio in qualche alberghetto tenuto aperto dalla divina provvidenza e la mattina dopo ripartire, direzione Scilla e Cariddi, senza lasciarsi dietro neppure un’impronta, complici il vento e il mare. Sparire, evaporare, sentirsi leggera, aria, spuma, movimento.
Arrivata al pontile, Angela sale con il suo cuore pesante sulla piattaforma panoramica sopra il bar e si mette a guardare due surfisti che, sfidando il freddo nelle mute color pescecane, tentano di cavalcare le onde fragorose con le loro tavole, finendo ogni volta ribaltati e sospinti con prepotenza a riva. E poi di nuovo verso il largo, sdraiati sul surf con la prua che s’impenna a ogni onda e le braccia che spingono fino allo stremo, per farsi ribaltare ancora, e ancora, e ancora. “Faticare così, per il puro gusto di faticare”, pensa. “Ma cosa vuoi, a ognuno le sue passioni. Già, ma quali sono le mie?”.
Si volta con le spalle al mare, meditabonda. Davanti a lei le Apuane appuntite, statiche e severe, che le cave di marmo fanno apparire innevate anche in agosto. Tutto intorno acqua, sabbia e vento, docili e carezzevoli, sembrerebbe, ma in realtà leoni in agguato, pronti a distruggere. Al loro cospetto Angela si sente una gattina domestica, capace al massimo di danneggiare la fodera di un divano.
Riempie i polmoni, chiude gli occhi. C’è talmente tanta umidità che nell’aria salmastra si potrebbe cuocere la pasta. Persino un pesce potrebbe respirare su questo molo. “Ecco la mia passione”, pensa Angela. “L’aria, quella che mi manca, dentro e fuori”. Alle sei e cinque, quando come da oracolo inizia a piovigginare, Angela entra in casa con la spesa, voglia di cucinare zero e la lunga treccia grigia segretamente impregnata di salsedine.
«Sei tu?», grida Severino dal salotto, come ogni volta che lei torna.
«No, sono Belzebù!», risponde Angela.
“Ma chi vuoi che sia”, pensa. “Chi vuoi che sia”.