“La lacrima della giovane comunista” su ALIBI Online
“LA LACRIMA DELLA GIOVANE COMUNISTA” DI GIORGIO BONA
Vi sono libri che ti catturano con una storia e libri che ti trasportano in un viaggio. In questo romanzo di Giorgio Bona sono presenti entrambe le potenti suggestioni. Nel mio caso, poi, sussiste una ragione supplementare di coinvolgimento: storia e viaggio hanno inizio nella città in cui vivo. Ecco, allora, la statua di Giuseppe Borsalino, che presidia l’ingresso dell’Ateneo; ecco le strade spruzzate di pioggia, fiocamente illuminate dai lampioni, ancora silenziose nel dormiveglia; ecco la stazione, col piazzale vuoto, la luce grigia, gli odori di ferrame, cemento vecchio e zolfo, l’atrio percorso da una torpida, attediata pattuglia della Polfer… Ma vediamo cosa succede. Siamo nell’epoca immediatamente successiva alla Perestroika. L’io narrante, professore universitario di letteratura russa, riceve nel proprio studio la visita di un funzionario del consolato di Genova, che, prima di rientrare – controvoglia – in Patria, gli lascia una vecchia, malconcia copia clandestina del romanzo Mosca-Petuški, dello scrittore dissidente Venedikt Erofeev. L’autore risulta sconosciuto a repertori e cataloghi (trent’anni fa, Internet non esisteva…), tranne che per la traduzione italiana, risalente al 1967, del suo libro, curata “da un celebre slavista” (si intuisce il riferimento al grande Pietro Zveteremich, di cui avremo ancora modo di parlare). Il docente, incuriosito dal mistero che circonda la vita e l’opera di chi ha saputo scrivere pagine così intense, decide di raggiungere la capitale russa, dove spera di rinvenirne qualche traccia. Ottiene il visto, acquista un biglietto ferroviario – con cuccetta – sulla Freccia dell’Est e parte. A differenza del frettoloso aereo, il treno gli consente di degustare visivamente ogni porzione del paesaggio attraversato, di confrontarsi in maniera meno superficiale con gli altri passeggeri, di riflettere, analizzare, valutare. Viene alla memoria, per analogia, il racconto di Anton Čechov La steppa, nel quale il ragazzino Egòruska, diretto alla città in cui dovrà studiare, conosce, grazie alla lentezza offerta dal calesse e alle soste compiute, gli immensi spazi della Russia e i radi abitanti che li popolano. Il nostro studioso percorre la ex Jugoslavia, si ferma per dodici ore a Budapest e profitta della pausa per visitarla, raggiunge Kiev, fa tappa anche qui. Vale la pena, per ragioni di attualità, trascrivere le parole del suo compagno di scompartimento (ritroveremo più avanti anche costui): “L’Ucraina è sempre stata il cuore industriale dell’Unione [delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: n.d.r.]. Qui si concentrava il cuore del potere economico di tutti gli Stati. Anche la vita privata ha una dimensione diversa da quella della Russia in genere. L’Ucraina ha un rigore quasi anglosassone, da far invidia persino agli inglesi”. Diciamo che, grazie a questa osservazione, possiamo forse intuire meglio le complesse ragioni che si celano dietro le vicende belliche cui stiamo assistendo negli ultimi mesi. Anche a Mosca, come già ad Alessandria, le strade luccicano per la pioggia. Il protagonista ama questa città, che ritrova emozionandosi. Ama la sua filosofia di vita e le sue tradizioni; ama il suo teatro e la sua musica; soprattutto, ama i poeti che vi hanno abitato e scritto. Incontra, come convenuto, il vecchio amico Ivan, giornalista culturale. Vanno a pranzo. Il russo dice di non aver mai sentito parlare di Erofeev, ma il professore ha come l’impressione che menta. I difetti moscoviti, peraltro, sono peggiorati rispetto a un tempo: caos organizzativo, disonestà, scarsa pulizia. Partendo dall’accogliente albergo a ridosso del giardino botanico, inizia la propria esplorazione. Il lettore, dopo averlo accompagnato nel lungo tragitto in ferrovia, lo segue adesso tra strade e piazze, scoprendole come se le vedesse di persona (tutto merito dell’abilità descrittiva di Giorgio). Ritrova pure la bella Olga, altra amica di un tempo, la cui storia dolorosa ci viene presentata. Va da sé che anche la donna neghi di aver contezza del dissidente… In più occasioni, il narratore avverte un disagio che va oltre la sensazione di essere sorvegliato (caratteristica storica, purtroppo, della vita in Russia: ne parla il poeta Premio Nobel Iosif Brodskij, in una delle Conversazioni). Si ostina a fumare le pessime sigarette autoctone, malgrado lo facciano star male: per nostalgia dei tempi in cui era dottorando, credo. Ogni tanto, inserisce (in corsivo) quelli che si direbbero paragrafi estratti dal vecchio romanzo clandestino, quasi a controcanto – o a conferma – della propria prosa. Il professore va, con Olga, alla ricerca del funzionario che gli aveva donato inizialmente il libro, ma lo trova morto, in circostanze misteriose. Da solo, prende appuntamento con tale Antropov, un dirigente della Cooperativa Scrittori, e quando lo incontra riconosce in lui – senza stupirsi troppo – il compagno del viaggio in treno. Erofeev, è chiaro, l’uomo non lo ha mai sentito nominare. Butta anzi lì un’ipotesi provocatoria: “Nulla mi vieta di pensare che possa essere il frutto della fantasia di voi italiani… Uno scrittore vuole rimanere nell’ombra, pubblica sotto pseudonimo e si inventa una biografia che è una vita all’opposto di quella che conduce…”. Ora, qualcosa di assai simile è effettivamente avvenuto: nel 1971 apparve sui samizdat, a firma di un fantomatico Vlas Tenin, il romanzo “Le notti di Mosca”, che divenne un classico della letteratura “sommersa” e fu adottato come testo di studio in alcuni atenei; diversi anni più tardi, però, venne fuori il vero autore, ossia il già citato Pietro Zveteremich, da cui era stato presentato in traduzione italiana. Tralascio, per semplificare, alcuni episodi: ugualmente ben illustrati, comunque. Su indicazione e con l’aiuto di Olga, il narratore si reca fuori città. Dapprima raggiunge (in taxi) il villaggio ove ha sede la Residenza per Artisti della Cooperativa Scrittori, nel cui archivio rinviene alcuni preziosi documenti relativi all’autore investigato. Poi visita (andandovi in treno, a imitazione del romanzo da cui tutto trae origine) un altro paesello: Petuški, appunto. In una delle sue dacie (o isbe, come accade a Sophia Loren – in URSS alla ricerca del marito Marcello Mastroianni, disperso in guerra – nel film di Vittorio De Sica I girasoli) ha un incontro inaspettato… Ormai, il Nostro dispone di troppe informazioni. Antropov si rivela essere ben più di un semplice addetto culturale. Con l’ausilio di un paio di scagnozzi, preleva il professore dall’albergo e lo sottopone a un memorabile trattamento dissuasivo (chiamiamolo così). Dopodiché, gli ingiunge di rientrare subito in Italia, assicurandosi personalmente – in compagnia, udite udite, di Ivan e Olga – che lo faccia davvero. Lo studioso, amareggiato, parte. Acquista, in stazione, la rivista Literaturnaja Gazeta. Una volta in treno, la sfoglia. Trova, subito in prima pagina, un articolo di Ivan, e scopre… non vi dico cosa. Se volete saperlo, dovrete leggere il libro. Piccola notazione sul titolo. Come viene spiegato a pag. 151, “la lacrima della giovane comunista” è un cocktail – un intruglio disgustoso e piuttosto tossico, che solo un beone russo può aver elaborato: “cento grammi di vodka, un cucchiaio di shampoo antiforfora, una spruzzata di lacca per i capelli e poche gocce di unghiolina”. Alziamo i bicchieri… alla salute!
Marco Grassano
Il link alla recensione su ALIBI Online: https://bit.ly/3IZP2aN