La lacrima della giovane comunista
Prologo
Messaggi dal passato prossimo
Avevo consumato un caffè al bar davanti all’università, un posto economico e molto alla buona. C’erano sette o otto tavoli occupati da piccoli gruppi di studenti che aspettavano l’ora di inizio delle lezioni.
Era lunedì e cominciai la settimana di cattivo umore. Nella mia monotonia di vita, la monotonia di tutti i giorni, ero lontano dal pensare che potesse accadere qualcosa di inaspettato e che la vita potesse improvvisamente subire una scossa.
Mi alzai dopo aver pagato e mi diressi in facoltà. La statua di Giuseppe Borsalino all’entrata dell’Ateneo del Piemonte Orientale sembrava guardarmi dall’alto della sua imponenza. Il sole allargava l’atrio. Attirato dalla grande finestra sopra l’ingresso faceva strani giochi sul pavimento.
«Professore, che bella sorpresa. Speravo proprio di incontrarla.»
Stentai a riconoscerlo perché, girandomi, il sole mi colpì in pieno volto, quasi accecandomi. Quando lo vidi venire avanti delineai meglio quella figura. Viktor Demanenko, portavoce del console russo di Genova. In maniche di camicia, capelli tagliati cortissimi ad accentuare l’ampiezza della fronte e occhiali da sole a specchio. Era un viso astuto, furbo, che a lui si adattava perfettamente. Lo potevo confondere con uno dei tanti colleghi.
«A cosa devo questa sua visita? Andiamo nel mio studio così possiamo parlare.» Allungai il passo attraverso un lungo corridoio dove c’erano le stanze di ricevimento docenti e dove si trovava anche il mio. Aprii la porta con la chiave e con un cenno del capo lo invitai a sedere. Sugli scaffali i libri erano accatastati in modo disordinato. C’erano testi storici e di letteratura russa interrotti da ricchi faldoni contenenti appunti e traduzioni. «Come mai questa sua apparizione improvvisa senza avvertirmi? Qualcosa deve averla spinta fin qui e credo che non sia venuto a caso. Mi lasci dire, sono convinto che cercasse me.»