“La figlia di Shakespeare” su La lettura – Corriere della sera
Rivisitazioni
La figlia di un superbo (cioè arrogante) Bardo di oggi
Che prezzo ha la superbia, tra i vizi capitali quello che più si radica nell’animo umano? L’attore Alfredo Destrè paga caro il suo peccato: offuscato dalla gloria del sé, distrugge tutto pur di brillare di luce propria. Per poi rimanere accecato. È un romanzo crudo La figlia di Shakespeare (Arkadia Editore, pp. 124, € 14), dell’autrice, poetessa e sceneggiatrice Paola Musa (1966), il secondo sui vizi capitali (lo precede L’ora meridiana, Arkadia, 2019, sull’accidia). Alla fine di una carriera dedicata soprattutto al teatro shakespeariano, il protagonista è ancora attaccato a un successo sbiadito. Per ottenere il premio della vita, prova a risollevare le sorti del teatro più importante della città, il Global. Nonostante porti sul palco un’opera mediocre, grazie alla fama passata e a certe conoscenze, Destrè ottiene una buona accoglienza. Saranno due personaggi a rivelare la sua vera natura: Enrico Parodi, storico amico e attore molto talentuoso, rimasto ingiustamente nell’ombra, e la figlia Clara, stanca delle bugie di un padre borioso. Viene a galla tutto: le menzogne, la squallida, atroce, natura di un uomo capace di tutto pur di sentire lo scroscio degli applausi. E la storia si spinge sempre più in fondo alla ferocia umana: omicidi, violenze; una tragedia fuori dal palco che vede, tra le vittime, una figlia senza un padre, e una donna che ricorda solo il nome di chi le ha mosso violenza: diceva di chiamarsi Shakespeare. Un romanzo a tinte nere sullo sfondo di una Roma decadente e di un mondo dello spettacolo disegnato come insulso e povero culturalmente, dove l’ambizione è premiata al posto del valore. Ma i vizi prima o poi si riversano su chi li alimenta. E già il Bardo metteva in guardia: «Chi sta in alto è soggetto a molti fulmini, e quando infine cade, si sfracella».
Jessica Chia