“La figlia di Shakespeare” su La Casa delle Storie
La figlia di Shakespeare di Paola Musa
Quando Alfredo Destrè accetta di risollevare le sorti del più importante teatro della città è un successo di critica e pubblico, che il vecchio attore spera di coronare con il premio alla carriera atteso da una vita. A metterne in dubbio il merito artistico e morale, sarà però un collega della sua compagnia teatrale giovanile, Enrico Parodi, che da sempre ha impersonato il fool shakespeariano. Dopo il buon successo di critica del precedente romanzo “L’ora meridiana”, incentrato sull’accidia, Paola Musa ritorna a indagare i peccati e i vizi della società moderna costruendo una storia magistrale intorno alla superbia. In queste pagine si riverberano così il senso del divenire anziani, lo scontro generazionale, l’incomunicabilità, il predominio di una tecnologia soffocante e alienante, la decadenza culturale, il sottile confine tra ambizione e valore e, dunque, la confusione tra grandezza e superbia.
Introduzione
C’è un mondo dove tutto è possibile, basta chiudere gli occhi ed essere trasportato in un sogno, eppure questo non sempre ha i colori e la magia della fantasia. Questo mondo che si chiama teatro ha un compito che da secoli è sempre lo stesso ma che con il passare del tempo è diventato sempre più difficile ovvero raccontare la realtà. Ė qualcosa di complesso che solo l’arte nella sua nudità può svolgere, far arrivare l’uomo a verità altrimenti indicibili. Raccontare la realtà non è poi così arduo e difficile come può sembrare, bisogna gestire la mutevolezza e allora? Chi è artista lo fa ogni giorno perché ogni spettacolo non è uguale a se stesso. Come se non bastasse già solo questo, bisogna anche affrontare il peso ideologico della cultura che è quotidianamente bistrattata e dimenticata perché fa comodo che lo sia. L’oblio della non conoscenza permette agli uomini di potere di plasmare le menti a loro piacimento. Il problema vero della cultura e ancora di più del teatro è la paura che esercita. Andare a teatro o farlo fa male, ma è un male costruttivo di quelli che scuote, anima, risveglia la nostra personale criticità dall’ antico torpore. Alla fine di uno spettacolo infatti, lo spettatore non è lo stesso. Ha dato il suo assenso ad indagare all’ interno del suo animo mettendo in risalto la propria intimità sviluppando un nuovo canale emotivo senza pudore e vergogna. Un viaggio dall’ esito incerto alla riscoperta del vero sé. Paola Musa compie però un passo in più svolgendo un ‘attenta analisi sui vizi, le virtù e le debolezze dell’essere umano partendo dall’ individuale arrivando all’universale. Ci sono verità scomode che fatichiamo ad accettare ma in particolari momenti della vita i confronti con se stessi non si possono più rimandare.
Aneddoti personali
Sono veramente felice di poter recensire questo romanzo non solo per l’amicizia che sta nascendo con Paola, ma perchè il teatro è la mia casa. Il mio rapporto con il teatro è difficile da spiegare a parole ma ci provo. Ė una lunga storia d’amore che ha superato grandissime prove ma siamo ancora qui innamorati come il primo giorno. Tanti anni fa durante il mio percorso di accettazione della mia condizione fisica che non finisce mai davvero, mi chiedevo spesso perchè il teatro avesse scelto me, pensando erroneamente che non potessi fare nulla per lui e per questo inarrestabile sentimento che sentivo nascere dentro me. Ho sbagliato chiudendomi nel nullo ruolo sociale che mi ritagliava la società eppure non è mai finito il sentimento. Il teatro mi accetta così come sono e questa è sicuramente la nostra forza che rende questa storia unica. Mi faccio nel mio piccolo portatore del suo messaggio soprattutto tra i giovani e nelle scuole, perchè il teatro è condivisione è riscoperta è vita. A me questa vita me l’ha salvata perchè insieme ai libri dà un senso a questo mio passaggio terreno. Questo libro infine, mi ha lasciato tanta inquietudine. Un ‘inquietudine bella di quelle che riscalda il cuore e mi porterò per sempre.
Recensione
L’essere umano si differenza dall’ animale per la capacità di pensare, parlare e per lo spirito critico. Siamo sicuri però che riesca realmente a farlo? Non siamo infatti mai disposti infatti a svolgere un percorso di autoanalisi, perché si ha paura della sconfitta certa e ci illudiamo e ci vediamo come esseri perfetti. Le nostre imperfezioni sono notate tuttavia dagli altri che sono pronti a puntare il dito su tutto, non immaginando che esso può essere anche rivolto contro. L’autrice ci conduce nell’ epoca contemporanea raccontando le sorti di un teatro romano che rischia la chiusura a causa della crisi e di altri fattori che ne sono la conseguenza. Questo teatro è apparentemente salvato da una rassegna sulle opere di Shakespeare svolta dal direttore artistico Alfredo Destrè. La crisi del teatro permette all’ autrice di indagare la decadenza dell’uomo moderno. La scelta del teatro elisabettiano e shakesperiano in particolare non è casuale perché non solo Shakespeare è uno dei più grandi drammaturghi ma è un autore che ha focalizzato la sua attenzione sul flusso di coscienza, domande apparentemente senza risposta o dalla difficile risoluzione che si interrogano sull’ esistere e sugli aspetti miserevoli della condizione umana schiava di ingannevoli ideologie e irriverenti passioni. La scrittrice conduce i lettori in un viaggio particolare, raccontando di un grande attore dalle straordinarie capacità mnemoniche, ma che risulta essere un fallimento sul tutto il resto. Il protagonista Alfredo Destrè si può descrivere come un moderno Dorian Gray con l’animo di Lady Macbeth, poichè nonostante sia macchiato di sangue, le sue mani appaiono sempre pulite. L’autrice sfrutta al massimo le capacità attoriali del suo protagonista mettendolo ulteriormente alla prova , così bravo nei ruoli di Otello , Amleto , cosa accade quando si ritrova suo malgrado ad interpretare se stesso? La capacità affabulatoria, la tecnica e la forza ammaliatrice del suo essere riusciranno a salvarlo? All’ interno del romanzo diviso in diciassette capitoli c’è anche spazio per il confronto tra diverse idee di fare teatro, tra la purezza e l’impurità dell’arte che si ritrova ad essere contaminata dai nuovi linguaggi che rispecchiano la società circostante. Ci si chiede quanto realmente si può corrompere l’arte? Quanto l’essere umano può cadere in basso per il raggiungimento effimero del successo? La figlia di Shakespeare è un romanzo sulle apparenze e le sue conseguenti ramificazioni, menzogna e ambiguità tra tutte. La scrittura è perfettamente cruda come deve essere poiché segue il canovaccio prefissato. Un plauso meritano i dialoghi forza motrice del racconto perché mettono in risalto un altro aspetto calzante di tutta la storia: il confronto – scontro generazionale. Il protagonista si scontra con tutti dai pari ai giovani provando per loro un senso di disgusto che circoscrive la sua soggettiva supremazia. Ė un uomo asettico che cerca di nascondere la propria fragilità, come se avesse fatto un patto col diavolo per arrivare al successo. Un altro punto fondamentale del libro è appunto il successo raccontato con luci e ombre e tutti i demoni in mezzo. E mentre Alfredo diventa schiavo della finzione sul palcoscenico appaiono altri personaggi come ad esempio l’ostinata e delusa figlia Clara che cerca di scuoterlo pur di avere delle risposte vere ad alcuni interrogativi che hanno sempre caratterizzato la sua esistenza, oppure il buon Enrico Parodi anche lui attore e vero amico di Alfredo che sfrutta il sarcasmo per nascondere il baratro della solitudine in cui è irrimediabilmente caduto a causa di un segreto inconfessabile. Cerca anche lui di risvegliare la coscienza di Alfredo se mai ne abbia avuta una. Il palcoscenico di Paola Musa è strutturale e metaforico, il lettore – spettatore squarcia l’animo del protagonista costringendolo a indossare il vestito della sua vera pelle che lui stesso aveva rinnegato cullandosi sul potere illusorio della dimenticanza. Il titolo come tutta l’opera ha un significato ambivalente. Alfredo crede di essere il paladino di Shakespeare ed ecco spiegato il significato letterale. Ė Clara quindi la vera protagonista del romanzo che attraverso la ricostruzione del suo passato costringe il padre ad affrontare i suoi fantasmi? Oppure il passato di Alfredo Destrè nasconde altri segreti? Il significato figurato ci fa giungere alla conclusione che la vera protagonista figlia un pò di tutti noi perché presente nell’ animo umano è la superbia. Tra segreti, riflessioni e caducità del vultus, la scrittrice ci regala una storia amara, vera ma non priva di magia che bisogna cogliere prima che il sipario del destino si chiuda per sempre e l’ultima lacrima del rimpianto righi il nostro volto.
Il link alla recensione su La Casa delle Storie: https://bit.ly/3lLTvQG