“La collagista” su La Lettura – Corriere della Sera
Il tempo della novella
Tre smilzi volumi – di Lorenzo Chiuchiù, Francesca Mazzucato, Monica Pezzella – propongono un genere letterario che, come mostrano il «Decameron» o «Le mille e una notte», trae linfa dalla crisi ed è la perfetta rappresentazione di questo momento incerto.
E se questo non fosse il tempo del romanzo, ma della novella? La domanda non nasce da una semplice oziosità, ma da un’oggettiva e recalcitrante difficoltà di incasellare alcune recenti uscite editoriali in un apposito genere. Ora, è un esercizio utile di critica e di riflessione, anche per l’estensione di recensioni e non per l’accademico, domandarsi a quale genere appartengano i libri che, di volta in volta, stazionano sul proprio tavolo di lavoro; un esercizio di ermeneutica mai fine a se stesso, ma che può – in alcuni casi – produrre interessanti riflessioni e curiosità. Come nel più trito luogo comune sappiamo che un indizio solitario è un mero accidente, ma tre indizi correlati tra di loro formano una prova o, quanto meno, producono una possibile riflessione. Le tre tracce corrispondono ad altrettanti libri che si vorrebbe mettere qui in relazione: Esecuzione dell’ultimo giorno, di Lorenzo Ciuchiù (Aguaplano); La collagista (Arkadia Editore) di Francesca Mazzucato; Binari (TerraRossa Edizioni) di Monica Pezzella. A rendere più interessante l’ipotesi è il fatto che sono pubblicati non da tre grandi editori, ma da piccole realtà. Oltre a questa provenienza «indipendente» (si perdoni la brutale semplificazione del sistema editoriale), altri due dati visibili accomunano questi testi, dati oggettivi vorremmo aggiungere. In primo luogo è l’esiguità del loro numero di pagine: una sessantina per Chiuchiù, una settantina per la Pezzella e qualcosa più di cento, ma con carattere e interlinea generoso per la Mazzucato. A questa prima comunanza se ne aggiunge un’altra: la parola «romanzo» non è presente in nessun luogo paratestuale deputato a tale definizione, né in copertina, né nella bandella né in quarta, neppure nei ringraziamenti; si parla di testo, libro, storia, mai di romanzo. Rimane quindi e in primo luogo da stabilire quale possa essere lo statuto di questi libri, il che non è tanto un discorso commerciale – risposta alla domanda «dove colloco questi libri in uno scaffale di una libreria?» – quanto una ricezione di genere. L’idea che si adombra è che questi tre libri, in maniera indipendente l’uno dall’altro, stiano cercando di riesumare un vecchio strumento/genere letterario, ovvero la novella. In realtà il genere novella rimane oscuro e si definisce in contrapposizione al romanzo, come ad esempio nel rapporto che entrambi i generi intrattengono con la diade oralità/scrittura. La novella, più che il romanzo, nasce dal racconto orale – l’esempio calzante può essere la cornice del Decameron – e trova la sua ragion d’essere in questa simultaneità tra il tempo del racconto e la durata della lettura: la novella è un testo breve che non costringe come il romanzo a riprendere le fila, a seguire trame diverse di personaggi e, così facendo, permette di raccontare tutta la storia in un ragionevole tempo di lettura. Questa essenzialità orale si traduce, nei testi presi in esame, in due forme di prima persona (Chiuchiù e Mazzucato), molto diverse tra di loro ma accomunate entrambe da un desiderio spasmodico di essere ascoltati, mentre la protagonista di Binari è «una voce». La novella trae la sua linfa da una situazione di crisi, in cui il mondo così come lo conosciamo viene meno o è in pericolo (ancora il Decameron oppure Le mille e una notte). Non è peregrino, quindi, che oggi si senta il desiderio di produrre narrazioni che nascono dalla crisi e della crisi raccontano; come Esecuzione dell’ultimo giorno che fin dalla titolazione produce una riflessione sui misteri novissimi (la fine del mondo, il tempo che verrà) e lo fa riprendendo anche formalmente le movenze tardo ottocentesche (su tutte il sottosuolo dostoevskiano degli uomini ridicoli); oppure come in Binari, si opta per una inversione della segmentazione temporale dove la scansione dei capitoli (Fine, Prima, Dopo, Inizio) raffigura un chiasmo a creare una nuova temporalità, dove la dilatazione e la contrazione, simili a quelle esperite durante il lockdown, ci fanno vivere la medesima temporalità dei personaggi dei romanzi, in cui abolita la cronologia si vive in balia di un tempo immoto. Da qui il fondamento della novella, la sua concezione del tempo come intensità. La novella è, stando a ciò che dice Goethe e che György Lukács riporta, il racconto di «un avvenimento inaudito che si è verificato», questo dà alla novella la possibilità di essere non tanto il genere della crisi, quanto colei che ratifica il suo esplodere. In questo caso La collagista della Mazzucato risulta essere, deprivata della trama amorosa, una riflessione metaletteraria di una narrazione che rende conto dei pezzi del mondo, che li raccoglie e li collega, li assembla. La novella è la rappresentazione calzante di questo tempo veloce, sincopato, scisso e incoerente; il massimo splendore lo raggiunge sul finire dell’Ottocento e fino alla Grande Guerra che in qualche modo somiglia a questo nostro evo, dove «il nulla sarà un inverno purissimo» (Chiuchiù).
Demetrio Paolin