“La bambina impazzita” su Il Detonatore
TUTTI PAZZI PER VIVIANA VIVIANI, L’ANTI-POETESSA IMPAZZITA
Che cosa sia la poesia non l’ha mai capito nessuno, specialmente i critici. Poi, certo, alcune cose in merito ad essa sono relativamente sicure, come il fatto che i professori, a scuola come all’università, sanno renderla incredibilmente pallosa, con la loro voce atona da modesti impiegati che sognano la pensione. Un’altra cosa praticamente incontestabile è la situazione squallida e tristissima dell’ambito poetico. Quello che l’ha descritta meglio è fuor di dubbio Bukowski, con i versi di una delle sue liriche più famose: “una poesia è una città di poeti,/ per lo più similissimi tra loro/ e invidiosi e pieni di rancore..”. In tale oltraggioso panorama di sovraumana e inutile boria – con punte maniacali di autoreferenzialità –, uno spettro si aggira per il web, quello dell’anti-lirica Viviana Viviani, appena tornata in libreria con La bambina impazzita (Arkadia).
È sicuramente difficile recensire un’opera in cui sei citato nei ringraziamenti e l’editore ha l’ufficio a 10 minuti da casa tua, in prossimità del cimitero monumentale – cazzo, mi sa che sono cascato anch’io nell’autorefenzialità, che comunque è sempre meglio della cripta! Il rischio marchetta è dietro l’angolo, ma io sono abbastanza troia da aprire le cosce a gratis, con imparzialità – almeno credo. Se conoscete anche voi la Viviani, sarà indubitabilmente perché avete letto la sua oramai epocale – nel senso che ha proprio segnato un’epoca – poesia Non mandarmi il tuo c@zzo in chat, una delle poche che si arrischi, dimenticando per un secondo cielo, mare, laghi e grilli – insomma, cose con cui oramai hanno a che fare unicamente i presunti poeti – a raccontare in versi il nostro tempo – a giudicare dalle scollature che pubblicano di solito le poetesse, credo che molte ricevano più foto di peni in chat che immagini di tramonti.
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Accade – maledetta autoreferenzialità! – che sia stato io a ispirarla, almeno per il titolo, quando la minacciai, se avesse continuato a rompermi i coglioni con le sue richieste di consigli poetici, di inviarle una foto del mio apparecchio riproduttivo in chat – ogni uomo ha le sue responsabilità di fronte alla Storia. Per fortuna, quel giorno, la funzione panorama, nello smartphone, non mi funzionava. Ma venendo al dunque, il libro in questione ha tanti aspetti positivi. Non ultimo il fatto di essere una summa dell’opera poetica della Viviani, comprendendo in buona parte anche il precedente lavoro, Se mi ami sopravvalutami, con molte liriche revisionate – Viviana è un animo inquieto e petrarchesco, dunque non finirà mai di riscrivere sé stessa.
Ognuno troverà nelle diverse sezioni, che corrispondono a un colossale percorso esistenziale dalla culla alla tomba, il proprio spazio, più leggero o meno. Io, personalmente, preferisco le poesie più confessionali, come quelle sulla morte, tipo una dedicata al padre “volubile/ un giorno si svegliò comunista/ tornò liberale a ora di pranzo/ la sera fu integralista”. Un padre che “aveva dentro una guerra” e “soltanto quando è morto/ non ha cambiato idea/ o forse solo un po’/ quando mi sgrida nei sogni/ ha la voce più gentile”. Alla fine, non resta che ricercare sé stessi nello specchio distorto della vita dell’autrice. A me piacciono soprattutto episodi minimi, tra le liriche inedite, come “Le mani su un volante senza sterzo/ d’intorno solo dune di deserto/ stride l’amore grida un suono eterno/ ma il corpo non risponde al desiderio/ se l’ultima illusione s’è perduta/ ti rendo il vuoto dammi un’altra vita”. Poi, certo, ci sarebbe il cazzo in chat. Visto che si aspetta un commento al suo libro, mi sa che glielo giro, così si incazza.
Matteo Fais
Il link alla recensione su Il Detonatore: https://bit.ly/3XBOFHp