Josh in fuga
Un giorno qualunque di fine novembre, ore 17:20
Sbuco in strada dove sfocia la scalinata affollatissima di una metropolitana e, appena esito un attimo per guardarmi attorno, subito mi sbatte contro un tipo in cappotto blu che sale i gradini a testa bassa. «E che cazzo! Devi proprio fermarti qui in mezzo?», protesta, e prosegue.
Le mani nelle tasche del chiodo, mi scanso dal flusso della gente che sciama verso casa dopo una giornata che, a giudicare dalle facce truci, dev’essere stata frustrante per tutti, e giro lo sguardo nella piazza cercando di decidere quale direzione prendere. I jeans mi danno fastidio, così stretti, ma cercherò di non pensarci. Le scarpe invece
sembrano comode, come avere due cuscini sotto le piante dei piedi. Un lusso e una novità.
Dopo essermi calcato un po’ di più sulla testa il berretto di lana grigia, m’incammino fischiettando verso questo posto, la Chiesetta. Fischiettare mi ha sempre messo addosso allegria, fin da quando vagabondavo tutto solo intorno al paesello costruendo trappole per le cavallette. Il locale l’ho scelto ovviamente per il nome, perché mi ha strappato un sorriso, e non è che sia vicinissimo. Dopo tre minuti che cammino ho già rischiato di farmi mettere sotto due volte, la prima da un tram arancione pieno di gente e di luce che mi ha stordito con una scampanellata furiosa, la seconda da un rider con un grosso zaino quadrato in spalla che mi è sfrecciato davanti su una bicicletta – interessante mezzo di trasporto – ma poi ci prendo la mano e sto più attento. Il marciapiede non sembra meno pericoloso della carreggiata: zigzagare tra la gente occupata a guardare il telefonino è un gioco di abilità. A peggiorare l’impressione che ho di queste persone nervose e infelici, noto che sono tutte vestite di scuro. Predominano il marrone, il nero, il blu, il grigio. Nessun cappotto, che so, zafferano. Nessun giaccone porpora. Quando vedo venirmi incontro una ragazza con una sciarpa scozzese sul rosso è quasi una visione, rallento e la fisso, ma lei non se ne accorge, è immersa in qualche improrogabile chat. La zona sembra popolata in prevalenza da cinesi con il volto grigio che spingono o trainano carrelli con enormi carichi, come laboriose formiche. Cosa ci sia nei loro fagotti e imballi non si sa, e neppure dietro quei loro occhi a fessura che mi passano attraverso come se fossi aria, e comunque non m’interessa. Stasera, sono un uomo con una missione.