Japanischer Garten
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La hostess della Lufthansa, con indosso una divisa celeste perfettamente intonata al colore degli occhi, controllò il biglietto e mi indicò il sedile vicino al finestrino.
Favoloso, ero di nuovo a bordo di un aereo!
Da due anni, da quando ero stato assunto dal Gruppo Ruessmann, colosso mondiale della chimica farmaceutica, mi capitava sempre più spesso.
Ma malgrado fosse oramai diventata una consuetudine, continuavo a fantasticare che si sedesse, nel posto accanto al mio, una bella ragazza con la quale alimentare una seducente conoscenza. Niente di compromettente, mi sarei accontentato di chiacchiere innocenti. Mai avrei tradito Valentina, la mia fidanzata!
Era solo una questione di vanità, o quanto meno di trasognare liberamente.
Che soddisfazione eh Congera, vedere i maschietti, quelli che camminano dentro una nuvola di Patchouli, che tengono la camicia in jeans sbottonata sino all’ombelico e i Ray-Ban di traverso sulla testa anche nella tazza del cesso, che ti guardano invidiosi.
Impagabile captare dal labiale il loro astio.
“Ma guarda quel ragazzino, che culo che ha avuto con quella lì…”. Rosicate, rosicate pure qualunquisti senza cervello. Non avete ancora capito che le donne vanno trattate con gentilezza e attenzioni, non imbrogliate con profumi e balocchi.
Eh sì, Antero Congera, ingegnere di ventisette anni, ogni tanto aveva bisogno di evadere con la fantasia, prendendo le distanze dalle brutture della realtà quotidiana.
Però malgrado il mio continuo sperare sino ad allora mai mi era capitata una bella ragazza con cui scambiare almeno il nome.
Forse proprio perché mi ostinavo a non mettere i Ray-Ban e a non inondarmi di Patchouli.
Anzi ne ero certo, il motivo era proprio quello.
Il “compagno” fuori tempo che era in me continuava a battagliare ogni giorno con l’“ingegnere”, come mi configuravano gli altri, e non voleva farsene una ragione, perché ancora e ancora aveva un suo codice etico e morale a cui ubbidire, quello del sol dell’avvenire, anche se oramai, in quei primi anni Ottanta, nessuno credeva più negli ideali rivoluzionari.
Ecco perché per Congera, quel profumo e gli occhiali con le lenti verdastre continuavano a rappresentare il simbolo del disimpegno politico, le icone della reazione.
Vivevo quel periodo crogiolandomi in dogmi semplici, in slogan superati, torcendoli a mio uso e consumo per giustificare le continue ambiguità in cui mi muovevo.
Una di queste la stavo vivendo imbarcandomi in quell’aereo.
Perché ero perfettamente cosciente che non c’era niente al mondo di più imperialistico dell’industria chimica, nella quale cominciavo a crearmi uno spazio professionale importante. Ma mi assolvevo, con l’alibi che si trattava di un lavoro come un altro e che di qualcosa dovevo vivere, facendo finta di ignorare che lo stipendio era tre volte quello di un operaio.
“E poi fra qualche anno Antero potrai abbandonarlo questo lavoro”, mi dicevo, “magari per fare qualcosa di più utile e giusto per la società”. E così tiravo avanti.
Il viaggio in prima classe, nel volo di linea della Lufthansa, Roma-Düsseldorf, l’avevo inquadrato come un semplice tassello del mio lavoro, non dipendente dalla mia volontà, una trasferta obbligata.
Però in fondo in fondo, ne ero orgoglioso!
Perché ragazzi, non capitava a tanti, a quella età, di poter partecipare a un Master in Ingegneria chimica, in una cittadina della Renania, in compagnia dei più grandi esperti del settore, provenienti da ogni parte di Europa!
Il corso era curato dalla Ruessmann.
Il gruppo vantava una serie di filiali in tutto il mondo, tra cui una anche in Sardegna, dove ero stato assunto da due anni, appena laureato con il massimo dei voti.
Priorità richiesta per la frequenza del corso la conoscenza delle lingue straniere. L’inglese lo avevo studiato al liceo e approfondito durante l’università e potevo dire di conoscerlo abbastanza bene; il tedesco era invece la mia seconda lingua, considerato che per quattro anni in estate durante le vacanze scolastiche – l’ultima volta dieci anni prima – avevo lavorato in Germania.