Intervista a Paola Musa su Formicaleone
I 7 VIZI CAPITALI NEI ROMANZI DI PAOLA MUSA
Esordisce ufficialmente come scrittrice nel 2008 ma Paola Musa ha con le parole un legame che viene da molto lontano e che non si esaurisce soltanto nella sfera letteraria. Basta avvicinarsi anche solo un poco al suo linguaggio, per capire quanto l’approccio di Paola Musa alla scrittura sia colto, riflessivo e raffinato; l’eleganza del suo sguardo sulle cose della vita, la delicatezza nel saper gestire la materia narrativa, anche quella decisamente meno maneggevole e rassicurante, si rivelano qualità distintive di un indubbio talento.
La scelta di esplorare, attraverso la narrazione scritta, i vizi capitali è iniziata nel 2019 con la pubblicazione del romanzo “L’ora meridiana” edito da Arkadia per poi proseguire con il titolo successivo “La figlia di Shakespeare” edito dalla medesima casa editrice nel 2020. Tale itinerario narrativo si rivela molto interessante e certamente innovativo, specialmente in un mondo letterario che calcola ogni mossa e che pare altresì ammiccare per la maggiore soltanto ai temi in voga al momento. Accidia e superbia sono rispettivamente i due vizi finora esplorati dalla penna della scrittrice che, nei protagonisti Lorenzo Martinez e Alfredo Destrè, indaga cause e conseguenze che ruotano intorno alle sette “abiezioni” morali per antonomasia, che già Aristotele osava definire “abiti del male”. Due storie ricche di colpi di scena, due libri egualmente lucidi, due indagini psicologiche coraggiose e per nulla giudicanti che fanno ben sperare in un nuovo capitolo della serie.
Come e perché è nata l’idea di dedicare un romanzo ad ognuno dei sette peccati capitali? L’idea è nata per caso, quando ho iniziato a scrivere “L’ora Meridiana”. Nel primo capitolo, che ho scritto praticamente di getto, ho cominciato a domandarmi che tipo di persona fosse il protagonista, e mi è stato chiaro che si trattava di un accidioso. Ho quindi deciso di strutturare tutto il romanzo intorno a tale vizio, e da lì, l’idea di costruire altre trame intorno ai vizi capitali.
Il protagonista del romanzo, Alfredo Destrè, è un artista teatrale che per un periodo ha “dovuto” lavorare anche in televisione. Poi qualcosa nella sua vita sembra cambiare in meglio, sembra giungere davvero il suo momento… Esatto. Inizialmente spingo il lettore a simpatizzare per il protagonista: un artista non più giovane, che come tanti altri ha dovuto fare compromessi al ribasso per lavorare, e che per tutta la vita spera di veder riconosciuti i propri meriti. Fin qui tutto legittimo, quindi. Ma poiché ogni vizio capitale (si definisce “capitale” perché fa capo ad altri vizi), non conosce temperanza, Alfredo Destrè, che ha trasformato la sua ambizione in ossessiva superbia, non accetta che niente e nessuno si frapponga tra lui e il suo obiettivo di riconoscimento.
La persona superba cerca continua affermazione di se stessa e della propria identità in relazione agli altri, dai quali cerca sempre conferme e riconoscimenti. Alfredo ha davvero bisogno degli altri?Alfredo vuole dimostrare di non aver bisogno di nessuno, e di poter rinunciare ad affetti, memoria, legami con il passato, verità sui propri comportamenti, pur di creare questa nuova identità, che infine si rivela menzognera. Come accade a chi è “posseduto” o “guidato” da un vizio capitale, perde contatto con la realtà. Da qui la scelta di ambientare la storia nel mondo del teatro: una finzione nella finzione.
Non volevi forse suggerirci che i superbi, nonostante necessitino per forza di cose di ammiratori, sono paradossalmente intrappolati in una solitudine senza via di uscita? Sì, intendevo suggerire proprio questo. Alfredo rimane intrappolato in un’immagine di sé che non corrisponde al vero, e per questo è solo. Ma non gli importa.
Perché negli ambienti artistici (nel caso specifico del tuo romanzo in quello teatrale) la pretesa di privilegio e superiorità è così diffusa? Credo dipenda dal fatto che l’ambiente artistico incoraggi spesso la vanità e il narcisismo, e al contempo non possa silenziare l’ansia da precarietà che tali professioni comportano. C’è sempre, nascosta, una profonda insicurezza. Così il successo, o l’aspettativa di un successo, che di per sé sono eventi effimeri, creano talvolta il paradosso di un’insicurezza che si trasforma in arroganza, in superbia: attaccare, piuttosto che difendere.
Ne “L’ora meridiana” , il primo romanzo dedicato ai sette peccati capitali, ti concentri invece sull’accidia, questa incapacità di accontentarsi, questa riluttanza all’operare, all’agire… Mi sembra che questi due peccati accidia e superbia non siano poi così lontani tra loro, perché nascono comunque da una condizione di solipsismo, seppur differente, o mi sbaglio? Come dicevo, tutti i vizi capitali hanno un po’ in comune un eccesso che allontana da una crescita interiore. Credo tuttavia che i personaggi dei miei due libri, siano in qualche modo antitetici: Lorenzo (l’accidioso) non fa nulla per cambiare le cose e non si interessa del giudizio altrui, mentre Alfredo (il superbo) è pronto a fare qualsiasi cosa pur di affermare l’immagine di sé. Certo entrambi sono soli, ingabbiati, uno per troppa inerzia, l’altro per troppa volontà.
Tutti i vizi, quando sono di moda, finiscono per essere virtù disse Molière. Non è così anche ora e non ne vediamo altrettanto (tardivamente) le conseguenze? Concordo con Molière! A maggior ragione, sto prendendo sul serio questo progetto di una narrativa che permetta di riflettere sui vizi del nostro tempo, attingendo anche dalla nostra cultura europea, dai suoi riferimenti letterari, cui dobbiamo davvero molto.
Valentina Di Cesare
Il link all’intervista a Paola Musa su Formicaleone: https://bit.ly/38gi2qO