Intervista a Michela Capone, giudice e scrittricre
Il Portico
9 dicembre 2012
INTERVISTA A MICHELA CAPON. Giudice e scrittrice
Classe 1961 Michela Capone è una donna forte, intraprendente, leale, con un grande rispetto per la persona. Michela Capone è un magistrato. Fare il giudice non è semplice, lo fa da ventisei anni: sei anni come ordinario a Nuoro e vent’anni al tribunale minorile di Cagliari. Michela Capone è anche una scrittrice per passione.
Michela, parliamo del tuo lavoro di giudice minorile?
Ho studiato giurisprudenza a Cagliari, poi ho scelto di partecipare al concorso in magistratura ed ecco che son divenuta giudice nel 1986. Sono oramai circa ventisei anni ma nell’ambito minorile circa vent’anni. Vent’anni anche di decisioni difficili perché sì sono un giudice e devo applicare la legge, non devo farmi coinvolgere emotivamente, devo seguire uno schema rigido, ma ogni tanto ti confesso mi viene il magone.
A volte allora hai dei ripensamenti su un determinato provvedimento emesso? come è possibile decidere della vita di un minore?
Non è che ho dei ripensamenti ma il senso del “peso” mi viene una stretta al cuore per alcuni bimbi e la loro situazione familiare, vorrei esser non solo il giudice che applica la legge ma una persona che pensa al bene del bimbo/a e agisce come tale nel miglior modo possibile utilizzando quegli strumenti che mi vengono offerti dalla legge. Sai i provvedimenti non sempre risolvono. Aiutare un genitore o allontanare un bimbo/a è una sconfitta perché si mira il più possibile a fare restare il minore nella sua famiglia, così come da principio giuridico.
Leggo un velo di dolore nelle tua parole, forse perché sei madre?
Il dolore si c’è ma non solo e tanto perché son madre ma quanto perché fare il giudice minorile non è semplice. E’doloroso quando noi giudici che trattiamo con e per gli infanti o per i ragazzi non riusciamo nell’intento prefissato o predeterminato dalla legge in cui crediamo. Salvare anche i genitori da determinate situazioni non è sempre fattibile ed allora il termine rieducare o reinserire bhe restano termini e non fatti concreti che portano inevitabilmente a pensare di applicare le norme per il bene del minore. Il minore è al primo posto, se vogliamo dare una scala gerarchica. Il minore ha bisogno di tutte quelle certezze e concretezze di cui tutti i minori hanno diritto per crescere e formarsi come individui, come persone. Come hai detto tu decidere della vita di un minore è una grande responsabilità. Responsabilità non solo giuridica ma umana. Ecco allora che quando non riesci a recuperare un genitore la tua missione è venuta meno, ecco la sconfitta ed ecco l’allontanamento del minore dalla sua famiglia.
Michela Capone madre e scrittrice?
La grazia più grande è esser madre. Certo non è che il mio lavoro non sia un dono e come tale ha anche degli aspetti molto belli che mi danno gratificazione, ma avere un bimbo/a credo che sia un regalo.
Quindi parliamo di Marco? Il primo libro nasce con e per lui giusto?
Marco è mio figlio. Ho anche due ragazze, ma Marco si è il motivo per cui nasce il libro edito da Carlo Delfino:“Quando impari ad allacciarti le scarpe”. Per parlare di Lui e del libro bhe vorrei citare la sintesi dello stesso: <<Marco apre la porta del bagno e compare vestito di tutto punto, è rosso in viso e trema. Vorrei rassicurarlo e dirgli che, fino a quando respirerò, le mie mani saranno le sue mani. Mio figlio si è vestito da solo ed io trabocco d’orgoglio. Ho il privilegio di godere una sensazione di appagamento speciale. Nella crescita di un bambino handicappato l’ovvio non esiste, tutto è un successo. Mi accorgo che ha indossato correttamente le scarpe ma, accidenti, sono slacciate. Devo pazientare, aspetterò. Marco, quando impari ad allacciarti le scarpe morirò di gioia>>.
E’una storia vera, autentica e carica di emozioni. Come sei riuscita a metterti a nudo? Raccontare la tua esperienza personale non deve esser stato semplice?
Si è la mia esperienza di donna e madre, un’esperienza umana. Sant’Agostino dice: “La speranza consta di due parti: lo sdegno e il coraggio; lo sdegno per le cose viste e il coraggio per cambiarle”. Credo che il libro sia nato per una mia esigenza personale, un grido e una gioia che è Marco. Non è semplice raccontarsi ma volevo che fosse un modo per parlare di handicap, di debolezza, di umanità, di errori, di scontro e confronto, di famiglia, di amore e di fede messa alla prova. Volevo anche far capire che anche un giudice è una persona.
Nel libro che stai per presentare edito da Arkadia“Per sempre lasciami”parli di un tema molto forte ed impegnativo: l’abuso minorile.
L’abuso e la violenza su minore, hai ragione son temi forti. In“Per sempre lasciami”parlo di Lucia e della sua storia. E’una storia vera. Lucia è piccola quando iniziano gli abusi e per anni la sua vicenda è continuata con la connivenza della famiglia.
L’abuso e la violenza è un tema oramai quotidiano nel nostro vivere, non solo i minori ma anche le donne ed oggi alcune volte anche gli uomini subiscono atti di violenza, di abuso o stalking. Mi puoi parlare della protagonista del libro Lucia?
Lucia è una ragazza che ha un vissuto molto doloroso. I reati citati son sempre molto duri da affrontare per la persona offesa. La storia di Lucia è emersa perché è il suo corpo che ha parlato: attacchi d’ansia o di panico e tutte quelle manifestazioni che il corpo non sopprime e sfoga all’esterno lasciando piccole e grandi tracce all’occhio benevolo di chi ha una sensibilità particolare. Nel caso di Lucia l’occhio è stato quello di un professore di matematica. Passerà però del tempo, quasi due anni prima che un familiare abbia il coraggio di denunciare i fatti di Lucia e quindi l’abuso e le violenze del padre.
Hai detto che è una storia vera, il processo come è andato se è possibile saperlo?
Si la storia di Lucia è vera. Diciamo solo che il processo è stato lungo e doloroso. Ci son stati tre gradi di giudizio tutti che confermavano la pena.
Lucia come ha vissuto il processo, può esser stato anche un modo di urlare e sfogare il dolore e la frustrazione?
Lei nel processo ha sofferto tanto, ma allo stesso tempo ha avuto la possibilità di conoscere la vita disgraziata dei genitori. In particolare il padre era un violento che a sua volta aveva subito violenze ma non abusi, forse per lui era il suo modo di amare proprio perché aveva vissuto e conosciuto questo dalla sua famiglia. Lucia quindi è l’oggetto d’amore. Anche nella sua famiglia c’era la completa connivenza su ciò che accadeva a Lucia, c’era un forte sodalizio.
Lucia che rapporti ha con la sua famiglia?
Lucia dopo quasi 15 anni è ancor’oggi attaccata dalla sua famiglia. Si dice che il tempo curi le ferite, ma non è per tutti così anche perché ci son ferite e ferite.
Il perdono o il suo concetto è preso in considerazione da Lucia?
Lucia sceglie il perdono, anche se è molto sofferto ma come Lei stessa mi ha detto: << o mi uccido o perdono, non ho altra scelta per continuare a vivere>>. Lucia è una ragazza che al tempo del processo pensava seriamente al suicidio. Era stata allontanata dalla sua casa e dalla sua famiglia e per quanto atroce pari a noi tutti il forte legame che continua ad esistere fra vittima e carnefice, quindi il padre, e poi la famiglia disgraziata, bhe Lei mi diceva: << dottoressa è mio padre, è la mia famiglia>>. Le radici di ognuno di noi son insite in noi, son nel dna, in ogni goccia di sangue che pervade il nostro corpo.
Allora ti chiedo quando si perde la patria potestà?
Allontanare un minore dalla famiglia come ti ho già detto è molto doloroso e difficile, ma noi giudici per il bene del minore dobbiamo farlo. La patria potestà si perde per motivazioni e fatti seri, certo che se la volontà genitoriale prevale sulla debolezza per esempio un genitore alcolista o tossicodipendente o altro, che poi dimostra scientemente di volersi riscattare e recuperare la dignità personale, il lavoro, la sua famiglia e quindi anche la potestà genitoriale bhe tutto allora è recuperabile. Il minore ha bisogno dei suoi genitori, ha bisogno di risposte e ne ha diritto per la sua crescita, per il suo percorso evolutivo. Il tempo però debbo dire è un fattore essenziale.
Spesso si parla di genitori affidatari o di adozione?
L’affidatario non è il genitore, è una persona che temporaneamente si riveste di tale ruolo per aiutare il minore e la sua famiglia. Spesso si ha una concezione un po’ distorta di questa figura. L’adozione si verifica spesso. E’sicuramente un bene per tanti minori, però bisogna tener conto che son tanti i ragazzi adulti che poi cercano le loro origini e i loro genitori biologici.
La ricerca quindi delle origini e della verità?
Diciamo di sì, sai resta un “buco nero”nel bimbo/a durante la crescita che si forma sempre più dal fatto che ha necessità di risposte e di verità.
Tornando a Lucia, posso chiederti, visto che abbiamo parlato anche di perdono, come ha preso il padre di Lucia il suo perdono?
Il padre di Lucia è deceduto in carcere. Non credo abbia avuto notizia del suo perdono, non so.
Qual è la finalità di questo libro e di questa storia? Ho capito che dentro c’è una Lucia molto forte e coraggiosa; c’è anche una scrittrice giudice che evidenzia i temi del sociale e del malessere minorile ma anche con amore di madre delinea una storia utile per tutti i minori che vivono una violenza simile a quella di Lucia. Può esser un libro che vuol gridare al mondo: “Sveglia! Tuteliamo e Tutelateci! Facciamo Prevenzione”?
Diciamo di sì, serve per far capire che quando si parla di violenza bisogna anche poi rieducare e trattare. Prima si dava credito al reato contro la morale poi contro la persona e finalmente si è arrivati ai diversi interventi legislativi. Nell’opinione collettiva si pensa che più alta è la pena meglio è. In realtà come pena in se stessa forse siamo ancora ad un livello insufficiente, anche per le recidive. Si parla di ristoro alla vittima, di riprovazione sociale. Tutto ciò però non può esser disgiunto dalla rieducazione famigliare. Il sostegno alle famiglie invece abusate è ancora molto lontano, così come è da migliorare quello sulla vittima. Ed allora, secondo me, bisogna un po’uscir fuori dagli schemi e dalle concezioni comuni. Si può esser letto come un grido, un campanello d’allarme, o un modo di dire << ecco in questa storia mi identifico e trovo un imput per chiedere aiuto e ribellarmi>>.
Hai parlato della famiglia di Lucia e di connivenza, ed allora ti chiedo è possibile che ancora ci sia un muro di omertà su questi fatti?
Sai la concezione è “è un fatto privato, di casa”. Bisogna abbattere il muro e costruire delle difese che prevengano.
In Italia e nella nostra Regione Sardegna che si fa concretamente?
Ti faccio l’esempio di Milano: già dal pronto soccorso l’accoglienza alla vittima è totale. Si accoglie la stessa al solo scopo di tutelarla ed offrire dal primo istante supporto. Viene accolta da un pool di esperiti: medici e psicologi. Lo scopo è anche quello dell’attenzione alla persona senza farle sentire il peso di esser vittima. Spesso noi ci troviamo dinnanzi a dei suicidi. In Italia il decesso per suicidio è molto alto. Credo quindi che sia in Italia ma in particolare nella nostra Regione ancora si debba lavorare alacremente per poter offrire un supporto adeguato alle vittime e per fare prevenzione.
Cosa si può fare o migliorare?
Fare ripeto prevenzione. Innanzitutto la prevenzione parte dalla formazione. Formazione e prevenzione non solo nelle scuole, un tempo c’erano degli operatori psicologi in quasi tutte le scuole e ora no. Nelle famiglie bisogna cercare di sensibilizzare su questo tema e parlarne, e poi migliorare la preparazione degli specialisti e quindi specializzare anche gli assistenti sociali. Sai nelle famiglie è forse il lavoro più difficile perché a volte ci troviamo dinnanzi a situazioni particolari, oppure ad adulti cresciuti con modelli di tabù e quindi si invade la sfera personale, oppure genitori che diciamo non hanno tempo e credono che siano solo le istituzioni a dover lavorare. La difficoltà c’è, le motivazioni son tante. La famiglia comunque resta un cardine molto importante se non il più importante. Creare una fitta rete operativa e non solo di dialogo sarebbe già un punto di partenza.
Ti son capitati casi di falso? Ossia che poi erano solo rivalse sui genitori?
Si mi son capitati dei conflitti famigliari, dove il minore getta e costruisce accuse false verso il genitore. Se non si sta attenti si cade in errore, ecco che mi ripeto ma anche i primi che accolgono la notizia di un fatto di reato devono avere gli occhi ben aperti, quindi esser ben preparati.
I servizi sociali come stanno operando sul nostro territorio?
Non tutti i servizi sociali sono presenti nel territorio; gli operatori son pochi e non tutti specializzati. Si avvicendano per quanto possibile ma si rischia a volte di non svolgere un lavoro ben articolato perché alcuni si erigono a giudici ed allora in un ambito molto sensibile come questo bisogna prestare attenzione per svolgere un buon lavoro che però non sia giudicante. Con questo non voglio accusare nessuno ma credo si possa fare di più e meglio. Ecco che avere più operatori con una buona rete che funzioni dove magari alcuni si specializzino in determinati ambiti, bhe sarebbe un’altra storia, un altro meccanismo di lavoro secondo me edificante. L’assistente sociale secondo me per questi delicatissimi compiti, deve avere una qualche sensibilità particolare.
Tornando a Lucia, se posso, vorrei sapere se è vero che ha vissuto un periodo con te e la tua famiglia?
Si Lucia ha vissuto con me e la mia famiglia, si è affezionata tantissimo a tutti noi ma in particolare a Marco. Sai è stato casuale perché io cercavo una golf e un aiuto per Marco; Lei in cambio è stata la golf e l’aiuto per Marco. L’ho aiutata a studiare, prendere la patente, l’ho aiutata anche materialmente. Quando è giunto il tempo di chiederle se volesse far parte integrante della mia famiglia mi ha detto: <<dottoressa la ringrazio ma io una famiglia c’è l’ho, lei è importante per me è stata ed è un punto di riferimento ma una madre c’è l’ho, grazie ma credo che si ora per me di spiccare il volo>>. Oggi Lucia vive fuori Sardegna e lavora.
Che significato avrà per Lucia questo libro?
Diciamo pure che il libro l’ha riscattata. Io in quasi 10 anni che è stata a casa mia non le ho mai chiesto nulla, è stata lei che una sera mi ha raccontato passo passo tutta la sua storia e mi ha chiesto di scriverla per lei. Nel libro ci son delle piccole parti scritte anche da lei, perché è giusto che sia così. Il libro è il suo libro. Un libro che può esser d’aiuto a tanti e di riflessione ad altri. Il perdono e il libro sono le sue valvole di sfogo atte a far superare il senso di colpa che uccide l’abusato.
Quando presenterai il libro di Lucia“Per sempre lasciami”?
In accordo con la casa editrice Arkadia abbiamo organizzato la prima presentazione per venerdì 30 novembre alle ore 18.30 presso l’Unione Sarda. Seguiranno altre presentazioni a livello regionale con lo scopo non solo di promozionare il libro ma anche raccontare la storia di Lucia sperando sia un inizio per parlare apertamente del tema dell’abuso.
(Laura Cabras)