“Inciampi” su La Stampa
Gli inciampi della vita tra lucciole. bialberi autodifettose e sidecar
Il nuovo libro di Gian Marco Griffi, una raccolta di racconti ironibi, poetici, con punte di virtuosismo
Un malcostume tipico delle patrie lettere è quello di relegare il racconto tra i generi minori e non dargli la stessa importanza del romanzo. Di conseguenza l’autore di racconti rischia di passare inosservato, non degno di attenzione. Questa convinzione è purtroppo alimentata, in deteriore circolo vizioso, sia dagli editori sia dai lettori. Il risultato è che in tal modo si rischia di perdere bei libri, pensando infondatamente che la letteratura sia altrove.
L’anima dello scrittore
Il preambolo serve per cercare di allontanare il pregiudizio nei confronti del racconto almeno davanti al nuovo libro di Gian Marco Griffi, «Inciampi» (Arkadia Editore, Cagliari, 228 pag., 16 euro) che di racconti ne propone ben più rispetto ai 15 titoli nell’indice. «Tutte le riviste della mia vita» di fatto è un romanzo breve costituito da una cornice (il taccuino di un autore di reportage per le riviste più assurde di questo mondo) che racchiude una vera prova di bravura, ovvero un racconto per ciascuna rivista, con temi e stili completamente differenti l’uno dall’altro, con punte di virtuosismo come nei testi ispirati a Gadda e Bolaño. È qualcosa che si era già trovato nel primo libri di Griffi «Più segreti degli angeli sono i suicidi» (pubblicato due anni fa da Bookabook).
Questa però non è la cifra principale della scrittura di Griffi. Fa parte della sua formazione, un lungo apprendistato nutrito da letture forti e orientato da una forte curiosità. È una delle poche concessioni a una «letterarietà» che aggiunge piacere alla lettura, ma che non nasconde mai il fatto che Griffi è uno scrittore in ogni sua cellula. Ciò che fa non è mostrare che sa scrivere, bensì trovare delle storie che ti prendono per il collo e non ti lasciano fino all’ultima parola.
Scherzi dell’esistenza
A differenza del romanzo, la trasfigurazione surreale in questi racconti è parziale. Griffi non rinuncia a trasformare alcuni eventi o personaggi in chiave grottesca o onirica (come il felliniano «Un sogno col mal di sidecar», con la gustosa allegoria delle case editrici) ma l’ordito della narrazione è legato a luoghi, personaggi e vicende reali, a partire dall’alluvione del 1994, o l’ironica insistenza sul «bialbero della felicità», o il terremoto in Irpinia. Il suo Monferrato (Griffi ha vissuto a lungo a Montemagno, dove ha ideato l’hemingwayano bar «Un posto pulito illuminato bene», dove ha scritto anche alcune pagine di questo libro) anche se assume dimensioni mitiche o fantastiche, è quello che conosciamo.
Ciò che Griffi propone è altro, come indicato dal titolo: sono gli inciampi dell’esistenza, scherzi del destino che ti fanno incontrare un tasso morente sul ciglio della strada, una guerra mondiale in cui diventare narcolettici oppure entomologi improvvisati, oppure improbabili scienziati del Cnr che fanno esperimenti gravitazionali con le lucciole, oppure malattie terminali o indisposizioni momentanee, oppure piccoli imbrogli da social media per rimediare una serata a letto o la morte di un amico che spinge una combriccola fino in Bielorussia. Anche in «Le riviste della mia vita» i racconti gravitano su qualcosa che causa un sussulto sul cammino esistenziale, che sia una calamità illustrata o una delicata favola paurosa per bambini, una parabola horror alla Stephen King o una storiella morale sull’invidia irrefrenabile di uno scrittore, un miracolo disastroso o una spia accesa sul cruscotto che diventa metafora della vita stessa.
Griffi è uno scrittore che vorrebbe essere poeta (tra i dedicatari della raccolta ci sono «Tutti i poeti del mondo, vivi e morti; avrei voluto essere uno di voi. Tutti») e tuttavia riesce a esserlo in innumerevoli passi di ciascun racconto, e in particolare nella Storiellla delle cartoline, che può richiamare alla memoria i modi dell’«école du regard», ma imbocca presto un’altra direzione arrivando senza fatica nelle regioni della poesia.
Scuola di vita
Tutti gli inciampi vengono raccontati da Griffi con ironia, talvolta autoironia, anche un po’ di sarcasmo. È il necessario distacco per non cadere nel patetico, per non lasciarsi travolgere dall’ostacolo. Traballare, annaspare magari, ma non cadere. È un modo per trarre lezione dagli accadimenti, anche quelli che toccano più nel profondo e lasciano tracce indelebili. Non necessariamente una «morale», ma la presa d’atto di una realtà che può apparire assurda. E che, dopotutto, vale la pensa di essere raccontata.
Carlo Francesco Conti