Il tema di Ethna
2004-2005
Ci sono tornata un giorno per colpa del treno. E le cose talvolta tornano da sole, tornano dal passato.
Il binario costrinse il treno a deviare il proprio tragitto e ci fermammo vicino a una casa cantoniera. Assopita in carrozza, attraverso quel poco di finestrino non oscurato dal parasole, riconobbi la luce del mare.
Quel posto si fece sentire dentro da qualche parte: potevo chiudere gli occhi, attendere che il convoglio lasciasse il luogo e con lui ciò che tempo addietro vi avevo vissuto. Invece mi accorsi del capotreno sporto fuori dal vagone, aspettava un segnale.
Afferrai la borsa e mi precipitai di sotto, urtandolo in malo modo. Mi urlò dietro che non era consentito scendere, se non in prossimità della stazione, che stavo contravvenendo alle norme di sicurezza, e mentre mi scongiurava di salire – il treno si sarebbe mosso tra breve –, io proseguii a dritto lungo la ferrovia e dentro il tunnel, in un gesto folle. Per
fortuna ne uscii prima che vi entrasse la motrice. Intravidi tra i cespugli un buco nella recinzione, passai attraverso e scesi il ciglio della strada ferrata fino sulla provinciale.
Le auto sfrecciavano accanto a me sulla curva della litoranea, era rischioso percorrerla a piedi, in controsenso. Trovai lo sterrato che sale al castello, lo infilai di corsa, i tacchi delle scarpe rimasti danneggiati dalle pietre aguzze, sul ciglio della ferrovia, emettevano un rumore sgraziato per ogni passo, intanto il sole del tardo pomeriggio maturava in fretta.
Cosa andavo cercando? Nel 1997, tempo del mio primo soggiorno a Castel Sonnino, ero una persona esaurita, ero la donna che aveva deciso di sgretolare il proprio sistema di vita. Scesa da quel treno, ero oramai la donna che lasciava fare al tempo, alla quale scivolavano via le cose sulla scorza, come se nulla più fosse degno di convocare un senso di appartenenza, di generare consuetudine. Avevo fatto la muta completa almeno due volte, e non mi conoscevo più.