Il mare delle illusioni
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Il Padre Eterno si è divertito a invertire di colpo gli orizzonti. Così, in una tarda mattina del quattro di settembre, i bagnini degli stabilimenti ora scrutano l’entroterra con le mani appoggiate sui fianchi e volgono le spalle al loro mare. I vacanzieri, in preda allo sgomento, saltellano qua e là come mosche sulla passeggiata pedonale del lungomare. I camerieri del Grand Hotel Principe di Piemonte dalla vista privilegiata della terrazza all’ultimo piano si convincono, immobili, che quel mostro prima o poi li possa raggiungere.
Una nube grigia ha oscurato il sole, che va e viene come in un susseguirsi di eclissi. Il sapore dell’aria da salmastro è mutato in affumicato, si deposita sui palati dei turisti e dei viareggini già avvolti nel miasma. Per alcuni di loro è impossibile non correre con la mente a un giorno di fine giugno del 2009. Quella volta però l’odore era diverso, l’aria puzzava di gas di petrolio liquefatto, sapeva di strage.
A mezzogiorno l’incendio pare aver raggiunto il suo apice e nei boschi, delle frazioni tra i Comuni di Camaiore e Massarosa, le lingue di fuoco sovrastano già la coltre di fumo sbuffata senza sosta dalla terra.
Fino a questo momento e per tutta l’estate trascorsa la situazione tra le colline non ha registrato episodi incresciosi. A differenza degli anni precedenti e di quella che oramai è da tutti considerata una consuetudine delle stagioni calde, i telegiornali non hanno ancora riportato alcuna notizia di roghi in Versilia. Ma il veleno è nella coda e un forte vento di Grecale, un’insolita temperatura rovente per il periodo e un clima secco portano a compimento la sciagura.
Tra qualche mese la Protezione Civile concluderà per l’ennesimo atto doloso. Il gesto di un piromane. L’interrogativo sarà dunque sempre il solito: perché?
Pur ammettendo il presupposto che l’interesse del singolo individuo prevalga su quello della collettività, la risposta alla domanda che ognuno si porrà, per l’ennesima volta, fluttuerà di nuovo in un alone di mistero. Quale interesse, pur bieco ed egoistico, può condurre la determinazione di un essere umano a innescare un incendio sulla propria terra? Se è l’avidità a muovere ogni azione, chi può aver tratto profitto da un tale disastro? Questi insoluti precederanno la conta dei danni, forse anche di qualche decesso, in attesa che la vita ordinaria riprenda il proprio corso e il disprezzo dei primi giorni dopo la tragedia svanisca nella memoria di tutti.
Le sirene dei mezzi di soccorso e dei Vigili del Fuoco occupano il campo uditivo dell’infrangersi delle onde sulla spiaggia, delle voci dei bambini, dell’altoparlante di una barca che dal mare offre sconti sui materassi. I suoni di allarme divengono via via più flebili nell’approssimarsi al luogo della sciagura.
Nei bar sul litorale gli anziani imprecano, discutono sordi sui doveri disattesi dalla politica, dagli amministratori locali. Ognuno di loro è convinto di detenere la verità. Per alcuni la colpa è della mafia mentre, per altri, di agricoltori del posto che, in modo maldestro e incosciente, appiccano fuochi sulle proprietà vicine per vendicarsi di annose faide tra confinanti.
Intanto il mare, tormentato dal vento, si ingrossa ancora di più in onde alte e ravvicinate; si frantuma in schiuma grigia sulla spiaggia; prosegue con le sue impurità fino a raggiungere le prime postazioni dei bagnanti. Ma non c’è nessuno a popolare i gazebo, i lettini e le sedie a sdraio degli stabilimenti. L’alta stagione si sta per concludere e la natura si rimpossesserà presto di quel tratto di mare toscano.