Il desiderio imperfetto
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Con la pancia tutto è più difficile. Alzarsi dal letto; lavarsi, soprattutto le parte intime; vestirsi; allacciarsi le scarpe; salire e scendere i gradini di casa; percorrere le vie che dal borgo portano a Villa De Petri.
L’ultima fatica è passare attraverso il varco nella recinzione del giardino ma, per fortuna, la rete metallica è tagliata, su un lato per circa un metro e alla base che, interrata, non lascia intravedere a occhi distratti la sottile apertura. È ancora così, com’era stata manomessa molti anni prima da lui ed Enrico.
Deve mettersi in ginocchio, sporcarsi, premere con la mano e attraversarla appoggiato sui gomiti, come un soldato. Con la pancia tutto è più difficile, anche perché l’ultima volta che Fabrizio ci era passato il suo ventre non era così gonfio.
Adesso è all’interno della proprietà e non si preoccupa di richiudere quel transito, perché sa di essere solo. Vincenzo De Petri, il grande scrittore, non può essere a casa, ne è sicuro.
Segue lo stradello che porta all’ingresso e si lascia a destra la villa tutta vetri e vedute sul mare. Le bocche di lupo del seminterrato sono chiuse, sigillate da sbarre di ferro. Prosegue nel giardino su un ciottolato pedonale costeggiato da piante d’olivo, di mirto, rosmarino e alloro. Ne avverte il profumo, non può ignorarlo anche se la sua mente è altrove.
Arriva a destinazione, sullo strapiombo, dove ritrova il tavolino quadrato di marmo cementato a terra e due sedie in ferro battuto; rimane in piedi, si sporge e alza lo sguardo.
L’alba è ancora dietro la collina alle sue spalle ma già irradia luce sull’abisso di pace che riempie lo spazio. L’aria morde e salmastra entra nel naso, prende il posto della macchia mediterranea e gli lascia credere, ancora una volta, di trovarsi sulla prua di una nave.