Il conte di Saracino su “Democrazia Oggi”
Democrazia Oggi
2 dicembre 2014
C’era una volta a Nuxenti…
Quando Peppe Tolu abbandona la casa, gli amici, le quotidiane ansie di un’attività sempre più in declino, rivolge ai suoi vicini un messaggio di aperta ostilità, nella neanche tanto profetica visione di un prossimo impoverimento generale, ormai sotto gli occhi di tutti. E sembra voler impedire ogni evoluzione dei sentimenti questa grave rottura che introduce la storia narrata da Gianni Marilotti ne ‘Il conte di Saracino’, Arkadia 2014, proprio mentre si aprono scenari nuovi e stanno maturando i tempi nuovi del cambiamento. Peppe non salva legami, non si aspetta reazioni e, come in un addio alla vita, vuole anzi che si perdano le sue tracce e ogni ricordo di comune passato. Impaurito forse lui stesso da una decisione così categorica e, improvvisamente, così pressante. Lungi dall’essere refugium peccatorum degli scontenti, diviene per il protagonista conoscenza e faticosa rinascita del pensiero la montagna, proprio grazie alla sua prorompente vitalità che, se accoglie uomini e animali e se continua a generare e distribuire una natura intatta, vuole in cambio tenacia e sicura passione. E sono Abdullah, Pissèttu, Mangedda e il vecchio pastore a rafforzare la volontà del protagonista nel Monte della Libertà, anche quando le notti si fanno più buie, il freddo più intenso e la solitudine del tutto insopportabile, nonostante il sostegno del vino. Al punto che niente ci sarebbe da dire se Peppe decidesse di abbandonare una così difficile e insidiosa impresa, come teme in ogni momento il semplice lettore, appena alleviato dai dialoghi densi e ricchi di significato, primi segnali del cambiamento. Abili narratori che al filo delle vicende personali riannodano il ricordo delle cose antiche e del tempo attuale, gli amici favoriscono nel protagonista la ricomposizione del presente con un passato che sembra non debba mai passare, così minaccioso di fronte alle recenti scelte, alle appena acquisite sicurezze. Relazioni più autentiche e una lealtà diversa, che a Peppe sembra di incontrare per la prima volta nella sua vita, e che fa crescere l’amicizia e la orienta verso un nuovo impegno di natura professionale, si può dire, con quel poco che ciascuno di loro sa fare e che la montagna mette in risalto, dandogli anzi valore e sempre accrescendone il pregio. Sono questi i nuovi legami che preparano all’innamoramento, nel racconto di una vita affannosamente passata a combattere l’ostilità degli abitanti di Nuxenti, nella suggestione di un’affettuosa assistenza e di un immediato conforto al malessere della solitudine. Perchè la montagna si riscatti finalmente da un destino di abbandono e sfruttamento incontrollabili, e da una politica ancora chiusa in sé e nelle sue regole ataviche, così facilmente scalzabili ormai solo dalla ‘modernità’ del centro commerciale, che cancella, nel mito del consumismo, gli ultimi segni di sapienza e di solidarietà. E allora, che precipiti nel fondo un paese così estraneo a se stesso, con tutte quelle voci e quel parlare inutile e offensivo, e le aggressioni ai senegalesi, e l’insofferenza per il pensiero autonomo! E Memena e Antonio e Severino e gli antichi amici e i nuxentesi tutti, superficiali, indolenti e litigiosi e così inclini alla sottomissione! Rivelatore di cambiamento nella storia di Gianni Marilotti è già quella surreale ricerca del tesoro della montagna, voce etica e spirito animatore dei luoghi e degli uomini, che si svela e si materializza poco a poco, fino all’imprevedibile finale della storia. E quel miracoloso giardino nascosto dentro la montagna, in cui Peppe, al ‘richiamo del canto fatato di Tacchelinu’ rischia di perdersi, spingendo il suo desiderio di conoscenza fino a identificarsi con la selva stessa. E’ lui il nuovo conte di Saracino ‘senza castelli, nè terre, nè sudditi’, ma vero ‘signore della montagna’, saggio dispensatore di aiuto e di consigli, come usava un tempo. E prendono consistenza i personaggi e si approfondisce man mano il loro profilo umano e psicologico, nel magico assetto del Monte Libertà. Per far posto a un’armonia nuova, che il lettore scopre nel dialogo di Peppe con Pietro e nel diario per i figli, vera scoperta di una scrittura che preme dentro e scorre fluida in quell’intenso desiderio di ‘mettere ordine’, così vistosamente collocato a interrompere il ritmo del racconto, la sua scansione in capitoli e paragrafi. Come fluida e sciolta, essenziale, si avverte la scrittura nel romanzo ‘Il conte di saracino’, anche quando l’uso della lingua sarda rende più esitante la lettura, anche quando il racconto si fa più ricco di immagini e l’enfasi potrebbe essere in agguato. E’ l’intensa partecipazione dello scrittore alle vicende narrate a restituirci con giusta misura il disincanto del paese e il richiamo del mondo pastorale, che mai indulge ad una passata e irripetibile età dell’oro, ad una approssimativa e generica conciliazione tra antico e moderno. Il tono dell’opera si mantiene semmai al riparo dal rischio di sorvolare sulla complessità della storia, sulla complessità delle culture e delle relazioni, per entrare in un presente crudele e irragionevole con lo sguardo critico del racconto letterario, alimentato dalla conoscenza e dal sentimento.
(Gianna Lai)